Gabriella Sabbatini - Una scrittura limpida e chiara che ha assimilato la lezione dei grandi autori del Novecento.
Benassi Luca Lunedi, 03/02/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2014
Gabriella Sabbatini è una poetessa decisamente parca nella produzione edita, avendo pubblicato due soli libri, “Sulle ceneri del tempo” (1990) e “L’arancio nel bicchiere” (1995), peraltro in edizione limitata da lei curata anche nella veste grafica. Si tratta di testi che hanno suscitato un certo interesse nella critica e nelle giurie dei premi, e che non si capisce bene perché siano caduti in un oblio colpevole da parte di chi compila antologie e cura testi critici sulla poesia del Novecento. È il destino di chi, contrariamente a quanto accade oggidì nella repubblica delle lettere, non scalpita per entrare in riviste o apparire in continuazione su blog e social network, confidando solo sul valore della parola e sulla profondità umana ed esistenziale che questa ha generato. La verità è che le poesie di Sabbatini ci mostrano una scrittura limpida e chiara, che ha profondamente assimilato la lezione dei grandi autori italiani, russi, francesi, inglesi del Novecento. Ne sono testimonianza gli esergo e le note ai piè di pagina, che rendono conto di letture vaste che lungi dall’essersi fermate al piano della cultura, hanno nutrito uno spirito attento e pieno di vita. Il risultato è una poesia onesta, il cui tema intimista ed esistenziale, di certo dominante nelle due raccolte, si fa subito paradigma del mondo e della contemporaneità. Sabbatini non osserva, non canta, non descrive, piuttosto vive dall’interno le intensità, le delusioni, le contraddizioni di una realtà della quale percepisce lo scarto inevitabile con il proprio essere poeta: “ed io lascerò parlare il tuo nudo sguardo/ per non sentirmi più// fuori posto// in un mondo che taglia i sogni/ e riduce tutto// nello spazio di un momento.” Dietro la scrivania, il monitor di un computer, la pila di documenti si nascondono la fascinazione del sogno, la scintilla dell’incontro che si incendia di eros e di immaginazione, la scheggia tagliente della poesia. Si tratta di una consapevolezza del corpo e dello spirito che sembra fare da contrappunto al senso di irrealtà, solitudine e incompiutezza che braccano questi versi, fino a portare chi legge in un luogo dove il desiderio puro, il magma dell’inconscio e del primordio sembrano dominare la scrittura. Si veda, dal punto di vista semantico, l’uso insistito di termini riferiti all’ acqua: pioggia, palude, mare, ruscello, onde sono elementi che ci portano all’origine della vita, all’acqua del parto, e che la poetessa riesce mescolare nel ‘bicchiere’, nella forma della poesia. Sorprende come questa materia magmatica sia perfettamente padroneggiata da Sabbatini, la quale mostra di avere maturità di scrittura, controllo dei mezzi espressivi, abilità metrica. Endecasillabi e settenari si alternano al verso libero, con una semplicità e una freschezza sorgiva che ci regalano una poetessa carica di umanissimo struggimento.
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