Poesia/ Elena Ribet - E' come se volesse contenere nella sua anima il mondo intero e volesse distillare in una parola il senso dell'esistere ..
Benassi Luca Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2006
Esiste sempre un rischio nel presentare un libro di esordio, nel dare credito ad una poesia di cui si intravedono appena le direttrici ma di cui si ignorano futuri percorsi, maturazioni e sviluppi. Eppure un esordio si saluta sempre con gioia, come la nascita di una nuova vita, e infatti si può paragonare ad un seme appena germogliato che ha già in sé le caratteristiche dell’albero, ma che si ignora se riuscirà a passare la stagione, crescere e dare frutto. Sicuramente il libro di esordio di Elena Ribet contiene una poesia dalle caratteristiche già mature che garantiscono una filigrana stilistica compatta e una tenuta complessiva del macrotesto sotto il profilo tematico, facendo intravedere una voce dal sicuro futuro poetico. Diario dei quattro nomi (edizioni joker, 2005) nasce, per esplicita dichiarazione della poetessa (Un quadernetto con delle rose/ chiuso da un elastico rosso/ cercate quello), dall’esperienza di un diario, intima ricognizione delle proprie crescite e passioni e allo stesso tempo accumulazione di esperienze collettive, letture, viaggi, come testimoniano le epigrafi tratte da romanzi, passi biblici e ricette di cucina.
L’accumulazione è uno degli strumenti stilistici più usati dalla poetessa, attraverso un procedimento di nominazione del reale e successiva rielaborazione in poesia con un’attenzione al dettaglio che ricorda i crepuscolari, ma evita la trappola del banale di tanto minimalismo contemporaneo. Si tratta in realtà di un’acutizzazione dei sensi, a un’attenzione portata fino allo spasmo: l’amore, il dolore, la mancanza diventano allora sensazioni fisiche che travolgono il lettore fino al brivido (ho imparato a veicolare/ tutto con il corpo). Scrive Mauro Ferrari nel risvolto di copertina: L’amore è solida fisicità e carnalità, vita concreta e desiderio di tuffo nell’altro, dono temprato da una vena pensosa e problematica che lo inquadra nella pienezza esperienziale; […] Elena Ribet indaga sul proprio crescere e farsi donna senza minimalismi, con un autobiografismo che però diventa subito universale e si fa quindi nostra esperienza. Ciò che colpisce in una poesia programmaticamente intimista fin dal titolo è la dimensione collettiva che assume nell’affrontare vicende comuni come l’amore e la sofferenza, esemplificazione quotidiana di eros e thanatos, attraverso un linguaggio incisivo, quasi privo d’interpunzioni, potente nelle immagini e mai banale. Il libro ha una compattezza tematica e stilistica notevoli, permettendo una lettura continua che ricorda l’ampio respiro di un poema. Elena parla a se stessa come se volesse contenere nella sua anima il mondo intero, come se volesse distillare in un'unica parola il senso stesso dell’esistere. È un esordio questo che ha colto da subito il significato e la portata del far poesia, e non è da poco. Non rimane che seguire questa voce nella certezza di ulteriori e feconde prove.
(2 aprile 2006)
L’uomo pesce
Per inghiottire il sale
ci va un uomo pesce
della razza che viene dal mare.
Per fare una casa ci va un uomo retto
con un coltello e una buona lama.
Per fare una famiglia
ci va un uomo tranquillo
che vinca le tempeste, le assorba, le trattenga.
Tu sei quiete, giustizia e acqua
*
Viene un tempo della notte
in cui bacio il tuo viso e i tuoi capelli
in cui i nostri corpi si intrecciano
si allacciano in un abbraccio
fino alla fine del sonno.
Io ti porto le mie preghiere
e una modesta poesia.
È molto tempo che ti amo.
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