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La Pillola cinquanta anni dopo

La Pillola cinquanta anni dopo

Anticoncezionali e Chiesa
- Nella storia dell’umanità nessun farmaco ha avuto lo stesso impatto sociale della pillola anticoncezionale

Stefania Friggeri Lunedi, 12/07/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2010

“Non ha alcun diritto di essere tollerata dall’autorità civile quella chiesa che sia fondata sul principio che tutti coloro che vi entrano passano per ciò stesso sotto la protezione e al servizio di un altro sovrano. Che altrimenti il magistrato lascerebbe adito all’insediarsi d’una autorità straniera nel proprio paese”. Queste le parole di John Locke (1632-1704), parole profetiche per il nostro paese dove il Vaticano ricorda ai parlamentari il dovere di seguire le indicazioni del magistero (vedi la legge 40, i Dico ecc.) e raccomanda a ginecologi, infermieri e farmacisti di avvalersi dell’obiezione di coscienza per non rispondere alle richieste delle donne che fanno, o hanno fatto, l’amore per puro piacere, lontane da una “maternità sana”. Donne cioè che aspettano il momento giusto, l’uomo giusto, che vedono nel figlio una tappa fondante della loro identità e del loro progetto di vita. Questo profondo mutamento dell’idea di maternità (non un destino ineluttabile ma una scelta e un altissimo investimento) lo dobbiamo alla pillola anticoncezionale, la pillola messa a punto da Pincus esattamente 50 anni fa negli USA dove fu poi caldamente sponsorizzata dalle associazioni femministe, a partite da quella fondata da Maragaret Sanger, la cui madre fu uccisa dai postumi di 18 gravidanze in 22 anni. La pillola arrivò in Europa nel 1961, ma in Italia, essendo ancora in vigore l’art. 553 del Codice Penale che puniva col carcere chiunque facesse propaganda o incitasse pubblicamente a pratiche contro la procreazione, era prescritta come farmaco contro il ciclo irregolare, l’osteoporosi l’acne e simili. L’articolo 553, che accoglieva lo spirito clerico-fascista, venne poi abrogato dalla Corte Costituzionale nel 1971 dietro le pressioni del movimento femminista che, in quegli anni di fermento sociale, mobilitava le donne a scendere in piazza per affermare i loro diritti. In lotta contro una cultura provinciale, patriarcale, incapace di disfarsi degli arcaismi misogini, una cultura che nella separazione fra attività sessuale e attività riproduttiva vedeva giustamente l’avvento di una rivoluzione sessuale, e dunque una rivoluzione sociale. Infatti nella storia dell’umanità nessun farmaco ha avuto lo stesso impatto sociale della pillola: la donna, conquistata la libertà del proprio corpo, non solo ha potuto riformulare il rapporto col partner in termini di parità (anche se il partner era più soddisfatto della possibilità di fare sesso senza rischiare di dovere poi sfamare un pargolo, che non della libertà conquistata dalla compagna), ma ha potuto anche aspirare a nuovi traguardi professionali. Il terremoto provocato dalla pillola nella mentalità e nei costumi generò scosse traumatiche anche nel mondo cattolico, e la Chiesa si espresse pubblicamente attraverso l’ “Humanae vitae”(1968): l’enciclica riproponeva la visione tradizionale di un magistero che, dominato dal tabù del sesso, vedeva nella pillola solo uno strumento di libertinaggio atto a favorire il sesso extra e prematrimoniale. Ma nel 1975, grazie alla mobilitazione delle donne, vennero istituiti i consultori pubblici in cui si faceva informazione e si prescriveva la pillola. Fallita l’opera di moralizzazione attraverso l’autorevolezza della parola, la Chiesa ricorse allora ad un’arma infallibile: la paura; e la pillola venne accusata di far ingrassare, di produrre la cellulite, o addirittura il cancro. E ancora oggi l’ “Osservatore romano” pubblica un articolo dell’Associazione dei medici cattolici che afferma: “gli effetti ecologici devastanti delle tonnellate di ormoni rilasciate nell’ambiente” attraverso l’urina femminile, molto probabilmente sono una delle cause dell’infertilità maschile in occidente (sempre meno spermatozoi nel seme maschile). Non solo: in Italia è nato anche un “femminismo devoto”. Personaggi come la Roccella e la Scaraffia (appoggiate da Comunione e Liberazione, dal Movimento della vita, dal cardinale Ruini), difendono i “diritti naturali” patrocinati dalla gerarchia accusando le donne occidentali di ignorare con quanta violenza le donne del Terzo Mondo vengono colpite dai risultati della tecnoscienza (vedi l’ecografia che svela il sesso del feto). Per sostenere la mitologia della maternità, la supposta “naturalità” di volere dei figli (e dunque l’ “innaturalità” colpevole di non volerli) il neofemminismo devoto si scaglia contro l’onnipotenza scientifica, contro l’addomesticamento del corpo della donna trasformato, sul modello maschile, in un corpo non procreativo su cui il medico-stregone ha il controllo chimico: dalla pillola anticoncezionale durante l’età feconda fino alla terapia ormonale nella terza età. Siamo cioè al paradosso che la donna non è feconda, quando lo è; sembra feconda, quando non lo è più. Ovvero: pur di penalizzare l’aborto e demonizzare i metodi contraccettivi, a partire dalla pillola, non ci si fa scrupolo di strumentalizzare la sensibilità ecologica e la doverosa solidarietà verso le donne più sfortunate. Che dire? Siamo davvero la patria di Machiavelli.





(12 luglio 2010)

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