PARLIAMO DI BIOETICA - La presenza di un pet da coccolare abbatte le barriere difensive e facilita il rapporto con il terapeuta
Moretti Graziana Lunedi, 30/01/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2012
Che la vicinanza degli animali a qualunque livello di frequentazione, dall’approccio casuale alla condivisione esistenziale, sia portatrice di benefici sia nella sfera relazionale sia in quella emotiva non è di alcuna sorpresa e anzi, se ne conoscono gli enormi esiti affettivi, spesso consolatori e talvolta sedativi fin dall’antichità. Da sempre infatti i pet, termine inglese che ha assunto dignità semantica internazionale per definire gli animali d’affezione, campeggiano in quadri, racconti e poesie a testimonianza della forte influenza esercitata da loro sui vari autori. Chi non rimane colpito dall’alchimia di questi incontri interspecie, così magnificamente immortalati nell’arte, il cui fascino eterno è dato proprio dalla capacità dell’artista di riflettere esteticamente l’universale umano? Ma circa dalla metà del secolo scorso è stata elaborata una scienza che fonda il suo statuto epistemologico proprio sulla relazione dell’uomo con gli animali e sulle tecniche per governarne le modalità in modo da farne un veicolo educativo e persino terapeutico. Questo è infatti l’assunto di base della disciplina universalmente conosciuta come Pet Therapy, termine tecnicamente errato e quindi rigettato dagli esperti del settore, ma efficace ad evocare immediatamente la grande portata sociale di quest’ultimo prezioso aiuto che gli animali ci offrono con spontanea prodigalità. Si parla così di Terapie Animale Assistite - termine abbreviato con l’acronimo della sua formulazione anglosassone in AAT - che si suddividono in fisico-riabilitative, laddove l’intervento è mirato alla sfera somatica, e psicoterapeutiche, quando invece insiste sulla psiche, ma in entrambi i casi ci si avvale della relazione ingaggiata con il pet per motivare esercizi e movimenti, così come impegno e volontà che, in assenza di questa stessa relazione, sarebbero sentiti molto più difficili o addirittura disattesi. È intuitivamente più piacevole svolgere movimenti muscolari ripetitivi se inseriti in un progetto, di volta in volta, fisiatrico, neurologico o quant’altro, che coinvolga il gioco con un cane, così come sarà più emozionante cercare di correggere l’assetto posturale sulla groppa di un cavallo, certamente in virtù della finalizzazione del movimento all’interno di un contesto operativo concreto, ma soprattutto per la forza della relazione, che sa rendere tutto accettabile e condiviso. Allo stesso modo è ormai assodato che la presenza di un pet da coccolare e accudire in un setting psicoterapeutico spesso faciliti il rapporto con il terapeuta, perché l’incontro dialogico che il paziente vive con l’animale abbatte le barriere difensive inducendone la condivisione con il professionista.
Esiste poi un altro taglio di questo approccio operativo, l’Educazione Animale Assistita - abbreviata per le medesime ragioni esposte prima in AAE - la cui finalità è prettamente educativa o rieducativa, insistendo quindi su un processo pedagogico, non terapeutico, giova specificarlo, all’interno del quale dovrebbe essere inscritta anche l’ultima espressione di questa relativamente nuova scienza, che consiste nelle più generiche Attività Animale Assistite - AAA - che spesso invece ancora oggi comprendono tutta una serie di incontri poco più che casuali, sprovvisti di un preciso progetto formativo.
Così si evidenzia la prima premessa indispensabile di queste modalità di intervento, la scientificità: nonostante la letteratura divulgativa insista infatti nel porre l’accento sull’effetto sedativo della vicinanza fisica degli animali attraverso il cuddling, termine tecnico per definire tutti gli scambi di effusioni con l’animale stesso, dalla strofinatura del pelo del gatto ad esempio, alle leccate generose del cane, all’abbraccio del collo del cavallo o dell’asino, occorre chiarire che la sola presenza del pet non esaurisce l’intervento che invece necessita di una programmazione scientifica eseguita da un professionista del settore di competenza, quindi un medico nel caso della AAT fisico-riabilitativa, di uno psicoterapeuta nella AAT omonima e di un pedagogista nelle rimanenti, capace di strutturare l’intervento finalizzandolo in base al contesto e quindi di condurlo o coordinarlo monitorandone gli effetti in itinere.
L’altra condizione imprescindibile è la tutela della relazione che per realizzarsi necessita di essere percepita in modo gradevole da entrambe le parti coinvolte, proprio per poter innescare quella magica catena di rimandi e richiami emotivi che ne costituiscono la matrice esistenziale e di rimando il vettore dell’intero processo. Va da sé pertanto che il pet non possa essere prescritto come un mero oggetto terapeutico, ma vissuto come soggetto di incontro, se non per riconoscenza verso un così generoso nuovo contributo degli animali non umani a un’umanità sempre più fragile, ma almeno per il buon esito del trattamento.
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