Login Registrati
La parola impudica

La parola impudica

POESIA / Paola Musa - Paola Musa, una poesia che svela la nudità vera e bruciante della nostra feroce contemporaneità

Benassi Luca Domenica, 17/03/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2013

Il titolo dell’ultimo libro di Paola Musa, “Ore venti e trenta”, rimanda a quel momento della giornata, terminate le fatiche quotidiane e raccolti attorno alla tavola per la cena, in cui si osserva il mondo attraverso l’occhio impietoso ed aggressivo dei telegiornali della sera, una finestra capace di aprire squarci su verità inattese di una civiltà alle soglie dell’agonia e allo stesso tempo di anestetizzare lo spettatore, colto inerme nella sua stanchezza, gettandolo nella dimensione artefatta dello spettacolo. L’analogia però è solo nel titolo, e infatti l’occhio fotografico di Paola Musa è in grado di captare il dettaglio della realtà, raccontare le epifanie degli abitanti delle nostre sterminate periferie, svelandone senza remore o falsi pudori i palpiti, i misteri, i dolorosi affanni, mostrando la nudità vera e bruciante della nostra feroce contemporaneità. Non mancano in questa poesia - nel narrare dei fiorai, casalinghe, insegnanti, immigrati, spose bambine, badanti, drogati - la dimensione della denuncia, i gridi contro l’ingiustizia e la sopraffazione dei più deboli e degli ultimi, come “guizzi improvvisi contenenti schegge di autenticità” (Elisabetta Sgarbi). In questo senso la poesia di Musa è corale, collettiva, e non è un caso che questo libro, pubblicato con una cura e un’attenzione straordinarie per un piccolo editore come Albeggi edizioni, sia il risultato di un progetto che abbina ad ogni testo gli scatti fotografici di sei fotografi e fotografe. Questi versi diventano, allora, subito nostri, si fanno portatori di vita attraverso una lingua lacerante, graffiante e impudica, piena di immagini che rifuggono dall’allegoria per trasportarci in una realtà cruda eppure sorprendentemente lirica (“ecco il muro dei baci/ che porta all’incrocio dei coltelli/ e sfocia nei dilavati portoni incustoditi./ Ecco la breccia per i crepuscoli incipienti/ sui traguardi di un ragazzo ladro”). Ciò accade perché Musa è perfettamente padrona dei mezzi espressivi, di una musicalità ricercata, a tratti portata all’eccesso di cadenze vicine al rap, come nel testo iniziale che dà il titolo alla raccolta, ma sempre attenta ai ritmi e alle armonie, attraverso l’uso delle rime, delle rime interne e delle paronomasie. I versi si aggregano attorno alla forma dispari di settenari ed endecasillabi, spesso nascosti in ipermetri o spezzati in misure minori. Ne emerge una tessitura ricca, fitta di rimandi sonori, di fili rossi che stupiscono e tengono insieme le pagine che scorrono, come un romanzo in versi, le une dopo le altre. Paola Musa, oltre che narratrice e traduttrice, si mostra in questo libro poetessa dotata di una maturità espressiva che di certo ci regalerà ulteriori, feconde prove.





Pausa pranzo



A volte le città del mondo

si danno appuntamento

in queste strade, anche i piccioni

cercano cibo accanto alle panchine

nell’ora placida della pausa pranzo.



Saracinesche di negozi si abbassano,

le voci si allungano nei bar,

qualcuno beve alla fontana.





Forse è solo il caldo, ma sembra pace

il camminare lento, il voltarsi impercettibile

di chi per un momento accoglie sguardi.



Ora una donna filippina parla a un’italiana

di un paio di collants da bancarella

l’italiana non sa le coordinate geografiche

il punto esatto sulla carta, né la lingua ufficiale

ma presto ascolta interessata.



A volte ci accomunano le cose più banali.



Bandite astrazioni e diffidenze,

emergono ecumenici sfiorarsi.





Islam



Da un po’ di tempo la gente

non mi chiama più per nome,

saluta con un cenno e acquista qualche disco

esposto su una cassa.



Da anni sono il portiere del loro pane quotidiano,

riordino i carrelli del supermercato,

le ceste vuote di qualche pancia piena.



Non accetto elemosine, sono un commerciante

cui le commesse talvolta portano un caffè,

un’icona, un marchio d’abitudine confuso

tra le offerte della settimana.



Si faceva caso a me quel tanto che bastava

a farmi sentire un poco a casa,

sebbene mia moglie viva in Bangladesh

e abbia lontano un figlio da sfamare.



Ora il mio nome, non so perché, ma fa paura:

è un vento straniero che si pronuncia Islam.











Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®