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La parola che non cede al dolore

La parola che non cede al dolore

Poesia/Cinzia Demi - Ci sono poesie che feriscono e curano, che sono succo e anima

Benassi Luca Domenica, 02/11/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2014

Ci sono poesie che non fanno sconti, che non si prostrano ai troni degli accademici né ai corteggiamenti di chi dirige collane e riviste di letteratura, che non si concedono al pubblico che vuole la faciloneria dell’immagine a effetto, la sonorità scontata, la moda del momento. Ci sono poesie che rifiutano l’ideologia a priori, la stitichezza della scrittura contemporanea, la recensione banale, l’apparenza mediatica dell’oggi che già prelude all’oblio di domani. Ci sono poesie che sono schiaffi dolcissimi e lame che hanno il gusto del dolce appena tagliato, poesie che feriscono e curano, poesie che sono succo e anima. Cinzia Demi ha il dono raro di questa poesia, capace di raccontarci le esperienze più crudeli, la ferocia di un’umanità devastata, con versi di limpidezza e purezza cristalline. “Ero Maddalena”, pubblicato da puntoacapo editore nel 2013 è un poemetto che racconta la vicenda di una donna violentata nella Bologna del ventunesimo secolo, che osserva e vive l’universo civile che la circonda dal punto di vista di chi ha subìto l’umiliazione di un’intimità rubata, macchiata di violenza e dolore. Questa figura, senza nome né vissuto, della quale il poemetto esalta la sensibilità ulcerata dal sopruso, si specchia con la Maddalena evangelica, come un archetipo del peccato e della redenzione, che nel rapporto fisico e spirituale con il divino trova un’ipotesi di salvezza. Della Maddalena vengono ripercorse le scarne vicende nuovo testamentarie e quelle iconografiche e più articolate della tradizione successiva, che la identifica di volta in volta con Maria di Betania o con la peccatrice che unge i capelli del Cristo e gli asciuga i piedi con capelli, fino a vederla santa e venerata in Provenza. Di Maria di Magdala, al di là delle questioni storiche e agiografiche, interessa il percorso di vita, che da un’esistenza vissuta al margine, dove la libertà è peccato e lo stupro la sua conseguenza, arriva all’amore e alla consapevolezza della redenzione. Cinzia Demi costruisce il suo poemetto con un ritmo serrato, portato avanti con una fitta rete di rime, assonanze, immagini che si richiamano le une alle altre, pescando dalla tradizione della narrazione in versi, in particolare in terzine, per innovarla con una lingua dura, rastremata, tagliente. I testi scorrono come sotto l’effetto di una cinghia di trasmissione che non lascia scampo, non consente pause, cedimenti. Maddalena e l’ignota ragazza bolognese si parlano e si specchiano, e in questo dialogo che annulla secoli e civiltà, coinvolgono chi legge mostrando l’assolutezza dell’esperienza umana del dolore e della rinascita.







Bologna mi accoglie

potente nelle sue strade

a quest’ora quasi senza gente



un vento di ponente

deciso mi ha spinto

nella sua direzione



scalza come un bambino

nuda di consolazione

cerco l’antro di un portone



o la fredda scala

la balaustra di una chiesa

il riparo di una prigione







un bacio sì un bacio

sulla bocca me l’ha dato

un saluto una carezza



io buttata per la strada

aggrappata alla ringhiera

di una scala ormai in disuso



con le mani sanguinanti

tremolanti le membra e il cuore

l’ho scambiato per amore



il sudore nella schiena

mi bagnava infradiciava

una marea che non si arresta







chi sono chi ero per carità

pensiero dammi forza

certezza dammi poi ricorda



una salita irta rovinosa

dietro a tutta quella gente

ad un uomo alla sua croce



la sua voce si è fatta fioca

e quella frusta come schiocca

le ferite della carne son le sue



e son le mie me le sento

una ad una e sua madre

che sorreggo mentre cade







ero Maddalena lo sento

lo so ho la sua stessa vena

sono la sua stessa forma



guardate nelle mie mani

che torma di linee di vita

vissuta nello stesso modo



ero Maddalena lo sono

lo fui come convincere

chi mi mette a tacere



lui, il laccio che mi stringe

al ferro lei, l’acqua ghiacciata

che mi inonda la faccia

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