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La parità si costruisce anche giocando

La parità si costruisce anche giocando

Well_B_Lab*/PICCOLI STEREOTIPI CRESCONO/4 - La costruzione di identità di genere paritarie si costruisce sin dall’infanzia attraverso il modello educativo che ci propone la famiglia e la scuola

Giovanna Badalassi Lunedi, 03/02/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2014

Il gioco è un’attività umana che fa bene e produce benessere a più livelli, sviluppando anche delle importanti capacità. Per questo l’uomo ha sempre giocato, sin dai tempi più antichi, basti pensare che giochi da tavolo sono stati trovati persino in tombe reali egizie.

Se però giocare è importante ad ogni età, per i più giovani rappresenta un’attività fondamentale per sviluppare le loro capacità e per contribuire alla maturazione della loro personalità, ivi compresa l’identità di genere.

Infatti tutti impariamo a giocare sin da piccoli, ma il modo con il quale il gioco ci viene insegnato è diverso per i maschi e le femmine. Anche le attività ludiche dunque riflettono, ripropongono e sostengono le disparità di genere, poiché riproducono quei differenti stili di vita, responsabilità e impegni che l’essere uomo o donna comporta ancora oggi nella nostra società.

Il ruolo delle donne nelle attività di riproduzione sociale, infatti, si esprime certo al suo massimo livello nel momento in cui si assumono delle responsabilità familiari ma viene coltivato e alimentato sin dai primi anni dell’infanzia con modelli educativi differenti per bambini e bambine. Questa definizione di ruolo diventa così una parte identitaria importante per le donne, che le accompagna fino all’età anziana e che è alla base dei forti squilibri economici e sociali che ancora rileviamo.

Quali sono dunque le differenze di genere che possiamo osservare nel gioco?



La prima differenza è nella diversa quantità di tempo libero che maschi e femmine possono dedicare a questa attività: ad ogni età le donne hanno meno tempo libero degli uomini e quindi meno possibilità di giocare: le donne hanno infatti ogni giorno il 24,5% di tempo libero in meno degli uomini. Questo dato, che accomuna tutte le generazioni, con dei picchi nella fascia di età delle responsabilità familiari, è valido anche per i bambini e gli adolescenti. In un giorno medio settimanale, le bambine tra i 3 e i 13 anni hanno 18’ in meno di tempo libero rispetto ai coetanei, quelle tra i 14 e i 19 ne hanno 47’ di meno. Pare quindi che le aspettative sociali di un maggiore impegno familiare per le donne siano talmente elevate e scontate che anche i modelli educativi in qualche modo si sono evoluti in una forma di addestramento delle bambine ad un maggiore sacrificio dedicato alle incombenze familiari o allo studio a scapito del tempo libero e del gioco. La minore quantità di tempo libero si riflette quindi sulla minore quantità di tempo che le donne, siano bambine o adulte, possono dedicare al gioco.



Una seconda differenza riguarda il genitore con il quale giocano i bambini. Giocare con il papà piuttosto che con la mamma determina una forma di indirizzo da parte del genitore verso la scelta dei giochi dei figli e delle figlie riflettendo un’identità di genere molto polarizzata sui ruoli tradizionali.

Tra madre e padre l’impegno nel gioco con i figli è intanto molto differente: tra i bambini da 3 a 10 anni solo il 35% gioca tutti i giorni con il padre, il 57% invece con la madre.

I maschi inoltre fanno giochi di movimento (correre, pattinare, andare in bicicletta, giocare a palla, escluso il calcio) soprattutto con il padre (56,6%; il 39,6% con la madre), mentre disegnano o colorano soprattutto con la madre (68,5%; il 33,4% con il padre).

Le bambine invece fanno con i padri più giochi di movimento (44,8%) e giocano di più ai videogiochi (25,7%), mentre insieme alle madri si dedicano più spesso ai giochi di ruolo (25%), al disegno (71,8%), ai giochi in attività domestiche (54,7%) e ai giocattoli in generale (43,1%).



Ne consegue che la scelta dei giochi preferiti dai bambini e dalle bambine è fortemente influenzata dall’offerta di gioco da parte dei genitori. Tra i 6 e i 10 anni i maschi giocano infatti soprattutto a pallone (74,2%), ai videogiochi (65,8%), fanno giochi di movimento (51,1%), con le automobiline e i trenini (51,1%), mentre le preferenze delle bambine vanno al disegno (77,7%), alle bambole (67,6%), ai giochi di movimento (64,1%) e ai videogiochi (47,5%).



Certamente la scelta dei bambini e delle bambine è influenzata anche dalla caratterizzazione di genere contenuta nei giochi. In generale, si può osservare una maggiore polarizzazione di genere nei giochi che richiedono l’assunzione di un ruolo sociale o che ricreano un’ambientazione storica, mentre è più frequente trovare giochi neutri e praticati da tutti dove si richiedono soprattutto abilità di calcolo, linguistiche e di relazione.

Un caso di particolare sbilanciamento di genere al maschile si può osservare ad esempio nei videogiochi i quali, tra l’altro, rappresentano un importante canale di alfabetizzazione alle nuove tecnologie per i giovani. Come si può osservare anche dall’esperienza diretta, l’uso dei videogiochi è una prerogativa maschile per il 28,6% dei maschi contro il 14,8% delle femmine, con un picco nella fascia di età tra gli 11 e i 14 anni (l’83,5% dei ragazzi contro il 66,4% delle coetanee).

D’altronde tale caratterizzazione di genere non può stupire se si pensa alla tipologia di offerta dei più famosi videogames. Basta a tal proposito osservare le copertine di quelli più famosi dove gli stereotipi di ruolo sono particolarmente marcati.

Un’analisi di genere sulle caratteristiche fisiche e di ruolo dei protagonisti dei videogames condotta negli USA conferma questa tendenza: su 67 personaggi analizzati, 55 erano uomini vestiti o parzialmente vestiti contro 12 donne.

Gli uomini erano sempre protagonisti (19 personaggi), antagonisti (21), supporter (17), eroi (23), cattivi (23). Il ruolo comunque minoritario delle donne si esprimeva nel ruolo della supporter (13), abbinato o alternato con quello dell’assistente (8) e della persona salvata (5).

Non stupisce a questo punto che ci siano delle ricadute di genere anche nelle opportunità lavorative nel settore: a livello mondiale la maggior parte dei programmatori di videogames sono infatti uomini, mentre le donne occupate nell’industria dei videogames rappresenta solo il 16,4% (Haines, 2004).



Una situazione più equilibrata si può invece osservare invece nei giochi da tavolo:

 il 39% dei maschi e il 38% delle femmine tra i 6 e i 13 anni preferiscono giochi da tavolo

 tra i ragazzi da 11 a 13 anni il 37% dei padri più frequentemente fa giochi da tavolo (monopoli, dama...) con i propri figli siano essi maschi che femmine



La scelta del gioco e delle persone con le quali condividerlo ha dunque delle importanti ricadute nella definizione dell’identità di genere dei bambini e delle bambine. I genitori hanno quindi delle grandi responsabilità nell’offerta di gioco ai propri figli e figlie e possono influenzare in modo significativo la loro capacità di costruire poi in età adulta dei rapporti con l’altro sesso improntati ad una maggiore parità.



giovanna.badalassi@wellblab.it



Fonti:

Addabbo, T. & M.L. Di Tommaso (2011) “Children's Capabilities and Family Characteristics in Italy: Measuring Imagination and Play”, Chapter 7 in Jerome Ballet, Mario Biggeri and FlavioComim (editors) (2011), Children and the Capability Approach, New York, Palgrave Macmillan, ISBN: 978-0-230-28481-4, 2011.



Istat (2011) “Infanzia e vita quotidiana”, Statistiche Report



Peng, W. &Mou, Y. (2009) “ Gender and racial stereotypes in popular videogames”- University of Cambridge, MA and Michigan State University – USA



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