In questi giorni abbiamo avuto modo di approfondire il concetto di par condicio come una formula che si presta ad essere liberamente interpretata prima che attuata e che consente un’applicazione multiforme e imprevedibile. Oggi, più che mai, ci è stato chiarito che non dobbiamo avere idee preconcette né su leggi né su regolamenti né... praticamente su nulla. Orpelli ingombranti. Abbiamo altresì constatato che i significati e i termini d’uso sono legati esclusivamente alle decisioni di chi esercita il potere assoluto sulle nostre teste. Potere che, se decide di far coincidere la par condicio ad esempio con la censura, invocando allo scopo la salvaguardia della democrazia, esige da parte nostra tutta l’elasticità mentale possibile per adeguarci, pena fare la figura dei soliti comunisti, brutti e cattivi e per giunta non democratici.
Ciò premesso è il caso di riflettere su quanto in questi giorni, con l’approssimarsi della giornata dell’8 marzo, si è avuto modo di notare in materia di bislacco uso di par condicio. Per la precisione una forma di par condicio applicata ed esibita, come dire, ad personam/leggi donna, ma in maniera insolita. Già da alcuni giorni abbiamo ascoltato sui mezzi di comunicazione che una, mi permetterei di dire martellante programmazione che parla delle donne, sulle donne, con le donne, ha accompagnato tutte o quasi le trasmissioni radio e televisive. E’ stato fornito, va detto, materiale informativo molto interessante che ha attraversato le produzioni femminili in tutti i campi della cultura, della scienza, dell’imprenditoria ma proprio questo zelo ha permesso di far emergere la latitanza operata durante l’intero anno.
Allora mi chiedo se tutto ciò aveva, nella mente dei programmatori, lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica e, in questo caso, ho qualche dubbio, che un intervento di terapia intensiva rappresenti il metodo giusto, soprattutto volendo tener conto anche di coloro che, non essendo ben disposti o addirittura dichiaratamente distaccati dal tema, potrebbero avere esasperato i loro atteggiamenti (immagino se io venissi sottoposta all’ascolto di argomentazioni sul mondo del calcio per 24 ore, spalmate, come abbondante contorno, anche nei quindici giorni contigui. Finirei per reazione con l’aumentare l’insofferenza sul tema calcio senza aumentare di un grammo la volontà di approfondirne la conoscenza).
Se invece, altra ipotesi, da parte dei responsabili del sistema informativo l’intento, fosse quello di autoassolversi tentando di sanare un comportamento colpevole offrendo il classico contentino? sollevandosi così da imbarazzi e sensi di colpa? Ciò confermerebbe la strana e non piacevole sensazione avvertita durante queste lunghe ore di trasmissioni.
Come è possibile che si riproponga questa ritualità da anni, senza avvertirne la goffaggine? da quegli stessi professionisti che durante l’arco dell’anno oscurano il lato positivo e costruttivo del mondo femminile benché sempre pronti a farne emergere altri lati tristi e mortificanti. Improvvisamente un flash e poi il sipario che cala. Vengono in mente quelle impalcature che si montano sulle grandi piazze per un grande concerto, e poi appena finito, si sbaracca e tutto finisce lì, perché era appunto solo un avvenimento, un evento.
Qualcuna di noi penserà, diversamente da me, che, comunque sia, si tratta sempre di una ottima occasione, io invece ho la spiacevole sensazione di alimentare un alibi, faccio fatica ad accettare un’operazione così costruita e non connessa con la pratica di tutti i giorni. Mi sembra proprio l’impropria attuazione di una sorta di par condicio sui “generis” che prevede dieci, quindici giorni di concentrata visibilità alla donna e trecentocinquanta all’altra metà del mondo. Un pari e patta inquietante.
Che l’8 marzo sia diventato una trappola?
Sarebbe bello partire da questa data per fare pressione ininterrotta perché l’8 aprile, l’8 maggio e cosi via ci veda presenti in una reale par condicio applicata a tutte e tutti.
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