Mercoledi, 18/04/2018 - Il femminismo, fin dalle sue origini, ha generato un’immensa speranza di cambiamento, a partire dalla denuncia delle regole politiche patriarcali e delle promesse tradite della democrazia rappresentativa, e tuttavia, se il punto di partenza è stato l’esclusione delle donne dal potere, l’obiettivo finale non ha riguardato semplicemente la loro inclusione nella sfera pubblica.
Sottomesse per secoli al potere maschile, definite dalla propria funzione invece che dalla propria coscienza, le donne hanno combattuto per ottenere indipendenza economica, eguaglianza giuridica e libertà sessuale ma la formazione della loro identità ha avuto luogo attraverso un percorso che le ha progressivamente liberate dalle regole coercitive della comunità, della tradizione e degli apparati di potere. La posta in gioco, in altri termini, non è stata solo di ordine politico ma simbolico: ne è derivato il tentativo di trasformare i concetti stessi del politico per renderli idonei a tener conto del ruolo delle donne nella società, attraverso una messa in questione dell’idea stessa di cittadinanza. Da qui la domanda: che cosa resta di tali aspirazioni al cambiamento a cui il sistema democratico avrebbe dovuto adattarsi? Oggi che sembra disegnarsi, nel nostro paese, la mappa di un nuovo potere femminile – contrassegnato dalla crescita del numero di ministre, di deputate e di senatrici – occorrerebbe chiedersi se tale mappa documenti una vera svolta e rappresenti una risposta efficace al gender gap. Si è più volte segnalato il rischio di un’omologazione strisciante rispetto a chi ha detenuto il potere per secoli, assorbendo quindi i difetti dei vertici tradizionali o uniformandosi alla preesistente classe dirigente, anziché rompere gli schemi organizzativi, cambiare il linguaggio, introdurre un’identità e un’energia proprie.
E’ il paradosso di un potere maschile che si rigenera grazie al cambio di genere… Ma occorre ricordare anche il rischio di una polarizzazione che vede, da un lato, nella fascia alta, donne che conquistano posizioni apicali tradizionalmente maschili e, nella fascia media, un complessivo peggioramento delle condizioni della vita quotidiana, a partire proprio da quei diritti che sembravano acquisiti, dai congedi per maternità alla parità salariale. Insomma, uomini e donne sembrano vivere ancora in mondi diversi l’accesso ai quali è mediato da ben diverse opportunità.
E’ venuto ormai il tempo di riflettere per capire se - e in quale misura - tale mutamento, risultato di una fortissima pressione del mondo femminile, compresa l’onda d’urto delle quote rosa, possa aprire un effettivo percorso di eguaglianza, a partire da alcune domande essenziali. Come i movimenti delle donne hanno trasformato il dibattito politico? Il loro rapporto al potere consiste nella sua contestazione o nelle forme di contropotere che sono riusciti ad attivare? Qual è il loro ruolo nello sviluppo della democrazia?
La storia dei movimenti delle donne, a partire dal secondo dopoguerra, mostra in essi l’elemento caratterizzante del cambiamento dei costumi della società contemporanea.
E’ possibile distinguere differenti periodi: innanzitutto la fase della rivendicazione dei diritti civili e politici, dall’immediato dopoguerra fino agli anni ’60, che riprende idealmente le prime lotte emancipazioniste; il movimento delle donne negli anni ’70 collegato alla stagione dei movimenti studenteschi e operai e dissociato sia dai partiti politici tradizionali sia dalle associazioni femminili emancipazioniste: al centro della ricerca teorica dei collettivi femministi è la riappropriazione del corpo in tutti i suoi aspetti, biologico, psichico e le lotte connesse per il diritto alla salute; le riflessioni teoriche delle donne a partire dai primi anni ’80 divise tra due correnti, l’una egualitaria orientata al gender e tesa a storicizzare le differenze sessuali e mostrare come le distinzioni dei ruoli maschili e femminili sia imputabile non alla natura ma alla società e alla politica, e l’altra differenzialista, fortemente impegnata nella rivendicazione della differenza femminile contro ogni omologazione al maschile e nell’affermazione della donna come ‘altro’ rispetto all’uomo.
La stagione odierna, caratterizzata da una nuova ondata che contesta i traguardi raggiunti dalle femministe storiche e sottolinea l’arretramento delle posizioni faticosamente conquistate, va alla ricerca di nuovi obiettivi specie in considerazione della grave crisi economica che colpisce soprattutto le donne.
Oggi i temi fondamentali riguardano il lavoro e il welfare, la partecipazione politica e la democrazia paritaria, la lotta al femminicidio e alle molestie sessuali, la rappresentazione che pubblicità e mass media danno delle donne e appunto intorno a tali obiettivi sembra emergere una nuova stagione di mobilitazione femminile che sta riprendendo vigore nel mondo occidentale e sta muovendo i primi passi nel mondo islamico. Articolo pubblicato ne' IL SECOLO XIX 14 aprile 2018 p.1 e 43
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