Cultura/ Cinema. “Sister in law”, - C'è realismo ma anche un pizzico di ironia in “Sister in law”. Il film illustra un’Africa nuova, in marcia verso l’emancipazione dalla violenza
Redazione Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2005
Le vicende di due agguerrite avvocate di un piccolo tribunale del Camerun che combattono contro la violenza ed il maschilismo nord africano, nel drammatico ed insieme ironico film-documentario “Sister in law”.
Selezionato al “Festival internazionale di Toronto” e premiato al “Festival di Cannes”, il film è stato riproposto in questi giorni al “London film festival”.
La telecamera delle autrici, Kim Longinotto e Florence Ayisi, entra nelle storie di una moglie stanca degli abusi del marito, un'adolescente violentata da un vicino e una bimba picchiata da una zia. Decidendo di rompere con la tradizione che le condanna a essere vittime silenziose, le tre si rivolgono a una quarta donna, un magistrato risoluto che le aiuta a presentare il loro caso in tribunale.
«In alcuni paesi dell'Africa, tra cui il Camerun, stanno avvenendo grandi cambiamenti, è in atto una vera e propria battaglia fra valori tradizionali e moderni - spiega l’inglese Kim Longinotto - Questo film documento ne è la conferma». Nel sistema delle leggi camerunesi si stanno provocando dei precedenti interessanti a causa delle vittorie di queste coraggiose donne magistrato. E la regista camerunese Florence Ayisi aggiunge: «Sisters in Law vuole presentare un'immagine diversa da quella che i media danno dei Paesi in via di sviluppo. Noi mostriamo il successo di donne africane che lottano per ottenere giustizia e cambiamenti sociali».
I casi di violenza e abuso sono stati ripresi durante lo svolgimento dei processi. Questo dà allo spettatore l’impressione di entrare nella realtà dei fatti così come si sono svolti. Le registe non interferiscono nello svolgimento narrativo: «Volevo che il pubblico vedesse quello che ho guardato con la telecamera – spiega Longinotto -. Lo scopo dei documentari per me è il fare vivere un'esperienza il più possibile da vicino, senza disturbarlo con la mia presenza».
Ci sono scene girate nell'ufficio del magistrato, in tribunale, nelle prigioni o davanti al consiglio dei saggi che discutono sull'applicazione della sharia, la tradizionale legge musulmana. Ci sono momenti delicati in cui i personaggi rivivono i loro travagli, si confessano, gioiscono, si disperano. «Erano tutti troppo coinvolti in quel che succedeva per badare al fatto che stessimo filmando - dice Longinotto -. Le donne si sentivano rinfrancate dalla nostra presenza che le aiutava nella loro lotta contro una tradizione maschilista e violenta. Mentre gli uomini erano talmente convinti di avere ragione da non provare alcuna vergogna di raccontare davanti alla telecamera la loro versione dei fatti».
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