Editoriale -
I movimenti delle donne si sono variamente impegnati negli anni per affermare principi - anche recepiti con modifiche alla Costituzione - o per far accettare la doppia preferenza di genere - quando si possono scegliere i/le candidati/e - o per ottenere l’alternanza uomo/donna nelle liste bloccate. Con un salto concettuale rivoluzionario, siamo passate delle quote rosa al 50 e 50. Sul piano formale alcuni risultati si sono ottenuti e pian piano sono arrivate nomine, politicamente corrette, di giunte municipali composte per metà di donne. L’onda d’urto di tanto lavoro ha consentito a molte donne (oltre il 40 per cento) di entrare nell’attuale Parlamento e il governo Renzi è partito con una folta pattuglia di ministre. Pattuglia che si è poi assottigliata. Ma al problema (non risolto) della quantità, oggi si aggiunge quello dei contenuti e del senso che la rappresentanza femminile assume. Questione che si pone tanto per una ministra, quanto per una parlamentare oppure per una sindaca o una consigliera regionale.
L’aumento del protagonismo femminile nella politica comporta una maggiore capacità decisionale che, non avendo indicazioni chiare su obiettivi largamente condivisi, spesso entra in rotta di collisione con le aspettative di molte donne o associazioni. D’altra parte chi è chiamata a gestire deve prendere decisioni sulla base di regole rigide e difficilmente può prescindere dalle logiche delle alleanze o dalle appartenenze che, spesso, le hanno consentito di arrivare dove è. Ne deriva un logoramento della credibilità delle istituzioni e un imbarbarimento delle relazioni (anche personali).
Mentre ci si impegnava per cambiare le regole allo scopo di agevolare l’accesso delle donne nelle assemblee elettive, la politica subiva mutamenti profondi, cambiamenti genetici di meccanismi non scritti che nulla hanno a che vedere con le leggi o con i sistemi elettorali. Il gap tra la politica e i bisogni reali difficilmente si potrà colmare con nuove articolazioni normative se non ci si interroga sulle ragioni che hanno cambiato il sistema dei valori che sono alla base della nostra democrazia. Un processo degenerativo che è andato di pari passo con l’implosione dell’idea di comunità.
Se questo anniversario per noi donne è la sacrosanta rivendicazione di una conquista storica e non una retorica celebrazione, allora facciamo in modo di attingere dalla forza delle madri costituenti e dal sentimento delle migliaia di anonime militanti. Interroghiamoci sul da farsi e ritroviamo, insieme, l’entusiasmo di guardare il mondo con occhi liberi. Ci vuole coraggio, ma va fatto perché abbiamo molto da perdere.
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