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La non-cultura che uccide

La non-cultura che uccide

Stupri / 3 - Staffetta UDI - “Come le guerre, la violenza ha ragioni che nessuno vuol dire e che riguardano interessi molto sostanziosi. Svelare le ragioni è difficile nel frastuono delle finte liti, ma è il compito di chi vuol davvero cambiare”

Stefania Cantatore Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2009

Ci sono guerre disseminate su tutto il pianeta e l'industria che le rende sempre più feroci è fiorente e gode ottima salute: l'onere economico "della riparazione dei danni" anch'esso è un grande affare.
La violenza sulle donne e sui bambini esiste su tutto il pianeta, il sistema che l'accoglie cerca di mantenersi in salute non rinunciando agli affari e facendo utili in tempi assai duri per la politica.
L'affare che le donne e i bambini rappresentano non sempre e non solo è moneta, è qualcosa di più: è la possibilità di spendere i corpi femminili e la loro prole come merce per lo scambio dei favori. È merce di valore anche quando è morte, perché c'è chi su quella morte costruisce "il prestigio dell'incutere timore e rispetto". In guerra ed in pace.
In Italia le donne, e davvero solo donne, hanno fatto sì che "la fatalità colpevole dell'essere le vittime" non fosse più tale e divenisse un problema politico. L'opportunismo che rende immutabile il nostro sistema istituzionale ha fatto bottino di tutto questo, nel modo che oggi vediamo: le parti si fronteggiano, (e forse non solo due parti,) usando l'argomento della violenza come una clava per farsi male, poco e con misura.
Per farsi male poco e con misura, ma soprattutto per veicolare una sempre minor libertà per tutti, usando il dolore delle donne e dei loro figli per recar loro ancora più offesa.
Non voglio dire che nulla sia cambiato, perché finalmente, se pure malamente, i politici, quasi tutti uomini, sono costretti ad affrontare il problema.
E lo affrontano come il medico laureatonon per studio ma per favori di casta, che non sa nulla se non dei sintomi che nemmeno sa lenire.
La violenza sulle donne è un male solo per le donne, è profondo e le sue radici sono le stesse che sostengono la famiglia, l'occupazione, il rapporto con l'ambiente.
C'è voluta fatica, impegno e denaro per ricordare a tutti che è un reato!
Oggi è un reato, c'è una legge che lo dice. Ma la politica non nasce e non finisce nei codici, perché questi riescono a scrivere, nella storia, solo una piccola parte delle regole che determinano la realizzazione dei diritti.
Scrivere una legge è importante e porta alla coscienza collettiva il senso di ciò che è e di ciò che dovrebbe essere, quindi le donne dovranno scriverne ed ancora molte.
Ma c'è di più, e va forse ripetuto che la violenza sessuata è un problema strutturale che tocca in tutti i suoi aspetti il patto sociale, la cultura per esempio.
Di cultura si parla, là dove si decide, non volendo affrontare il problema delle risorse destinate al contrasto della violenza. Di cultura si parla sempre "rivolgendosi al popolo" e mai a se stessi.
Eppure di cultura si deve e si dovrà parlare, se va compiuto un passo oltre, di fronte alle ennesime vittime di una strage mai finita.
Di nuovo, da parte di chi come noi crede che le donne possano essere libere, parlando di regole si deve insistere a svelare quello che il potere non vuol farci vedere: che la complicità è nella cultura ufficiale, non in quella malata e sottaciuta, e si esprime in tutti i toni del lirismo e del sapere "ammesso".
Ci aiutano proprio coloro che liberi nella ricerca e nell'arte mostrano in modo disarmante i loro volti, ignoranti del dolore sul quale costruiscono le proprie vite e i loro successi.
L'esposizione di corpi sempre più acerbi, nella concorrenza per la cattura degli ascolti, la diffusione di sempre più espliciti richiami alla compiacenza come mezzo per ottenere "un posto", convivono con una politica che discute, ed anzi istituisce una commissione, contro la pedofilia e dice di voler occuparsi delle donne prostituite per forza e violenza.
Quanto potenti siano le lobbies dei violenti e dei pedofili, non è difficile capirlo da quanto poco si sia fatto a livello pubblico, ma ancor più si può leggere nella parole di una canzone o nei fotogrammi d'un film d'arte, nelle dichiarazioni ufficiali.
Si tratta di cultura, non può essere né punita né nascosta, va semplicemente svelata.
Il fatto che "tutte le donne lo sanno" e che tutti lo sappiano, è altra cosa dal trovare le parole per dirlo:
In questi giorni una canzone di Gino Paoli ha preso il largo sul mercato: si chiama il Pettirosso e parla di un pedofilo bambino settantenne e di una donna di 11 anni. Si chiama il Pettirosso ed ha la qualità di mostrare che la mentalità indulgente ed autoassolvente del violento non è né clandestina né apertamente scurrile.
In questi giorni il capo del governo ha detto che tutta la questione riguarderebbe "le belle donne" , esponendo verbalmente il vissuto di una classe politica che ancora considera l'agire violento "omaggio alla bellezza". Potremmo nominare ad una ad una nel presente e nel passato la quantità di ipocrisie e sciocchezze dette dai politici e dai personaggi pubblici, e ad una ad una vanno dette.
La cultura cambia, ma se il tempo è troppo lungo lascia sul terreno vittime di carne e sangue, che attendevano il cambiamento.
La cultura cambia, ma quella ufficiale è ferma e crede che basti far finta di discutere le regole che non assume mai.
Come le guerre, la violenza ha ragioni che nessuno vuol dire e che riguardano interessi molto sostanziosi.
Svelare le ragioni è difficile nel frastuono delle finte liti, ma è il compito di chi vuol davvero cambiare.
La Staffetta contro le violenze sarà a Napoli il 14 febbraio, percorrerà tutta la Campania, ha per testimone un'anfora portata da due donne che è destinata a contenere e svelare la cultura che uccide, attraverso piccole e grandi denunce fatte con le parole semplici e dirette delle protagoniste dell'evento: ogni donna che semplicemente voglia.
La Portastaffetta della Campania Stefania Cantatore

(27 gennaio 2009)

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