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La Nobel che rifiuta le etichette

La Nobel che rifiuta le etichette

Doris Lessing - Iraniana di nascita e poi vissuta nello Zimbawe, Doris Lessino è stata insignita del Premio Nobel per la letteratura in quanto : “cantrice dell'esperienza femminile, che con scetticismo, passione e potere visionario ha messo sotto

Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2007

Il premio Nobel per la letteratura quest’anno è stato dato a Doris Lessing con questa motivazione: “cantrice dell'esperienza femminile, che con scetticismo, passione e potere visionario ha messo sotto esame una civiltà divisa”. Nata nel 1919 in Iran, dove rimane fino all’età di sei anni, quando si trasferisce nella Rhodesia del Sud, allora colonia inglese e oggi repubblica dello Zimbawe, dove vive sulla propria pelle le conseguenze di schematismi, ghettizzazioni e intolleranze, pur stando dalla parte di “bianchi” privilegiati. A metà secolo lascia l’Africa, con due figli piccoli, alla volta della sconosciuta patria inglese, dove iniziando a scrivere romanzi trova in una originale scrittura la propria complessa identità.
In una intervista di Leda Betti, (pubblicata su "Libertà" il 24 giugno 2003) Doris Lessing si presenta come una ragazzina che non ha frequentato buone scuole, molto nevrotica, sempre in fuga e autodidatta, che non è mai andata d'accordo con sua madre alla quale, ammette, “devo tutto”: le deve l’iniziazione alla letteratura attraverso i classici che la madre riusciva a fare arrivare “dall'Inghilterra, via mare, attraverso Città del Capo”; le deve la difficile capacità di stare da un'altra parte rispetto a quello che la società si aspetta da te.
Uno stile classico e un andamento narrativo mai banale e rivolto a una indagine profonda della psicologia dei singoli personaggi attraversano la sua scrittura. Le opere di Lessing, di ambiente africano o meno, respirano l’aria di più continenti e le sue opinioni si discostano da quelle della massa perché nei suoi intensi quasi novanta anni di vita ha imparato a pensare autonomamente e a ridere di se stessa, come, secondo lei, ogni cittadino e cittadina del mondo dovrebbe imparare a fare dimostrando di essere persone libere, e, in quanto tali, civili.
Tra le mie letture giovanili ho rispolverato un racconto scritto da Lessing negli anni Settanta, che mi sembra emblematico della sua produzione. Il racconto, tratto dal volume “Tra donne”, si intitola “la stanza 19” e rappresenta “il fallimento della razionalità”, ovvero il fallimento dell’idea che possa esistere un modo giusto e unico di organizzare la vita degli individui senza considerare le complesse esigenze interiori di ogni singolo essere umano. La protagonista del racconto è Susan Rawlings, una donna sposata a un uomo “per le numerose affinità che li accomunavano”, madre di quattro figli, e padrona di una grande casa in riva al fiume, dentro la quale cerca invano di trovare un proprio spazio di autonomia, che infine trova in una anonima stanza di un alberghetto per prostitute, che finisce per appartenerle più della sua stessa casa: “quel senso di vuoto le scivolava deliziosamente nelle vene, come fosse il suo stesso sangue”. Scoperta dal marito, atterrito dalla “follia” della moglie, si ritrova costretta ad inventarsi un amante per rassicurarlo. Uscita dal ruolo di madre e moglie si ritrova costretta a indossare il ruolo di amante per non essere considerata pazza ed essere accettata dalla società-marito che le propone un menage a quattro, avendo anche lui un amante.
Una bella metafora della società in cui viviamo oggi: se il modello in cui sei prevista ti sta stretto c’è sempre la possibilità di sfornarne un altro. Ecco forse perché Doris Lessing non ama essere definita icona del femminismo, e crede più nelle trasformazioni dei singoli individui che nei cambiamenti della politica: non vuole essere collocata in nessuna etichetta, solo continuare a cercare un proprio e sempre rinnovato spazio di autonomia, forse per riscattare tutte le Susan Rawlings sprofondate nel suicidio o nella depressione.
Tra le sue opere maggiori ricordiamo 'I figli della violenza', (ciclo di cinque opere, tra cui 'Martha Quest' che narra la storia dell'emancipazione della protagonista e della sua ricerca di identità) e 'Il taccuino d'oro' che registra le inquietudini culturali degli anni '60.

(21 novembre 2007)

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