Mondo/ Nora Castro - Nora Castro è la prima donna in Uruguay a presiedere la Camera dei Deputati. Proviene dal Movimento di Partecipazione Popolare (Mpp), partito nato dal Movimento di Liberazione Nazionale-Tupamaros
Angelucci Nadia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2005
Quando le dico che la “nostra” prima Presidenta della Camera dei Deputati era, come lei, una donna che aveva partecipato alla Resistenza contro il fascismo, ed era, come lei, un’insegnante, il viso di Nora Castro si illumina con un sorriso aperto e meravigliato. Mi riceve in uno piccolo studio nel Palazzo Legislativo dove mi accompagna uno dei suoi collaboratori, Ruben Bouvier, 11 anni di carcere durante la dittatura, che, di passo, mi fa anche visitare l’Aula e mi racconta quanto la Presidenta sia apprezzata anche dall’opposizione.
Nora Castro è la prima donna in Uruguay a presiedere la Camera dei Deputati. Proviene dal Movimento di Partecipazione Popolare (Mpp), partito nato dal Movimento di Liberazione Nazionale-Tupamaros
Il Mpp è stato il raggruppamento più votato in Uruguay e fa parte della coalizione di centro-sinistra, Fa-Ep-Nm (Frente Amplio – Encuentro Progresista – Nueva Mayorìa), che ha trionfato, per la prima volta in 174 anni, alle ultime elezioni politiche
Il pacchetto di sigarette in una mano e la tazza di tè nell’altra, Nora Castro si presenta e mi bacia, proprio come si fa tra gli uruguayani, poi comincia a rispondere alle mie domande con voce roca, profonda e decisa. Le parole che più spesso ricorrono nelle sue risposte sono: coerenza, assunzione di responsabilità e legame con il popolo. La sua intera vita dice di una donna dal carattere forte che ha inseguito a lungo sogni e utopie.
Lei ha cominciato ad interessarsi alla politica molto giovane. Ho letto che fu espulsa dal liceo proprio per la sua militanza. Come è nata questa passione che l’ha accompagnata per tutta la vita?
Dal mio punto di vista una persona, nascendo, porta con sé la sua carica biologica e genetica e tutto il resto è solo debito, debito sociale e collettivo, tanto per i successi che per gli errori. Per questo a volte ho detto che mi sento un debito con le gambe. Sicuramente è stata importante la figura di mia madre che è rimasta sola molto giovane, con me e mia sorella ancora piccole. Apparteneva all’area più progressista del Partito Colorado (uno dei due partiti tradizionali, insieme ai Blancos, protagonista della vita politica dell’Uruguay fin dalla lotta per l’indipendenza); era una maestra, colta e studiosa, di classe media impoverita, ma di grande apertura mentale; la sua più cara amica era una professoressa di storia, comunista. Questo mi ha permesso di accedere ancora piccola, gran privilegio a quei tempi e, se penso ai giovani del mio paese, anche adesso, ad una biblioteca abbastanza completa nella mia casa e, attraverso questa professoressa e i suoi compagni, a tutti i classici, soprattutto del marxismo-leninismo e anche al mondo della storia dell’arte e della letteratura.
Un altro scenario sono le sedi dei più forti partiti di sinistra in quel momento in Uruguay, il Partito comunista e quello socialista; in special modo ricordo un piccolo locale del partito socialista, quasi un garage, che si trovava a meno di un isolato da casa mia dove il sabato pomeriggio si organizzavano riunioni di quartiere; sono sempre stata molto curiosa e sin da bambina mi avvicinai a questi incontri, probabilmente non capivo nulla di quello che si discuteva ma qualcosa deve essere rimasto. Ricordo di aver conosciuto lì Raul Sendic (carismatico fondatore e principale leader della guerriglia Tupamara); ero molto piccola e ho presente quest’uomo che parlava molto lentamente e che, nella mia immaginazione, sapeva quasi tutto…Da un altro punto di vista penso che una persona apprende nella misura in cui si coinvolge nelle lotte sociali. Avevo 11 anni quando in questo paese si lottava per la legge di Riforma Organica dell’Università. La mia casa era molto vicina all’università e anche se, ovviamente, non mi lasciavano partecipare, io vedevo gli studenti che si riunivano nella nostra casa a preparare gli striscioni e poi andai ad alcune manifestazioni con mia madre. La prima volta che assistei direttamente alla repressione degli studenti, che a quel tempo si faceva a cavallo, fu in una di queste manifestazioni e quando cominciò una carica mia madre mi fece nascondere sotto una macchina parcheggiata perché non mi colpissero.
Più avanti, a 15 anni nella scuola secondaria, c’erano due anarchici, uno Rodriguez che ancora lavora come maestro, e l’altro Gustavo Izuarralde, un compagno desaparecido nella tortura. Grazie a loro, che ci stimolavano molto a leggere e a mantenere la mente aperta, entrò nella mia formazione anche il pensiero anarchico.
Lei si è definita, fino al 1971, indipendente di sinistra. Poi decide di entrare nel Movimento di Liberazione Nazionale Tupamaros (MLN). Come avviene questo passaggio?
Negli anni sessanta, mentre io stavo studiando per diventare maestra, iniziarono le prime marce dei cañeros (braccianti agricoli, tagliatori di canna da zucchero. Con loro, nella zona di Bella Uniòn – dipartimento di Antigas-, Raùl Sendic, fondatore del MNL, iniziò la sua azione politica organizzandoli sindacalmente e politicamente) del Nord guidati da Raul Sendic e cominciarono anche i primi coordinamenti tra il movimento studentesco e quello appunto dei cañeros che marcavano, a livello di lotta sociale e sindacale, un orientamento molto differente da quello fino a quel punto tenuto dal sindacato, che era quello del Partito Comunista. Contemporaneamente, all’interno del percorso formativo che stavo seguendo, partecipai ad un’altra esperienza che mi segnò fortemente: il lavoro socio-pedagogico che noi, studenti e professori, facevamo nelle zone rurali più povere del paese. Questi due eventi ebbero una forte influenza su di me e sulle mie scelte. In mezzo a tutto questo fermento sociale e politico mi accaddero delle cose a livello personale: nella mia famiglia di quel momento i miei cognati vengono arrestati, torturati, io mi faccio carico della loro figlia e questa esperienza si somma alle altre e mi fa conoscere un ulteriore aspetto della lotta che è quello della persecuzione politica. Così, nel 1971, entro nel MNL e il movimento mi chiede di impegnarmi proprio dove avevo più esperienza, cioè nel lavoro con le masse; questo non vuol dire che non abbia avuto compiti specifici in altri tipi di azioni ma il mio ruolo principale era questo.
Che cosa succede durante la dittatura? Quale è il suo ruolo e il suo impegno in questo periodo?
Non sono mai passata totalmente alla clandestinità. Molte volte, durante i tredici anni di dittatura, ho dovuto cambiare domicilio, sparire per un po’, anche se non ho mai lasciato il paese. Appartengo a quella specie “rara” di persone che sono riuscite a rimanere nel paese, ad aiutare i detenuti, a tenere i contatti con gli esuli, a cercare di informare e di vivere. Durante questo periodo ho lavorato come maestra in maniera molto discontinua: sono stata oggetto di otto inchieste. Sono stati anni in cui sono rimasta praticamente senza contatti, l’unico legame che avevo era con un’altra insegnante ma anche lei era molto isolata e le nostre riflessioni erano limitate perché non sapevamo cosa stesse realmente accadendo. In questo modo passarono gli anni, a volte mi chiedo come passarono, a volte mi dico che è meglio non ricordare. Cosi è trascorsa la dittatura, con tutto quello che significa l’impatto delle perdite e ancora di più quando non puoi mostrare il dolore che provi perché la tua sofferenza può mettere in pericolo la vita di qualcun altro o la tua. Ripresi la militanza, sempre nella clandestinità, al principio degli anni ottanta quando cominciò a riorganizzarsi il movimento sindacale.
Il giorno della sua elezione come Presidenta della Camera una deputata del Frente Amplio ha ricordato un episodio che lei le aveva raccontato: cinque giovani che viaggiavano su una macchina. Di quei cinque ragazzi solo lei è viva.
Io ho il duro privilegio di essere viva. Gli altri compagni no. Questo mio privilegio poggia sulle spalle del popolo e, in particolare, di persone, con un nome e un cognome, che ora non ci sono più. E quando ti rendi conto che sei viva e che sei dove sei perché a un altro è toccato lasciare quello che tu oggi hai …..
Negli anni in cui lei si impegna nella lotta sociale e politica nel MLN, diventa molto visibile nel mondo il movimento femminista. Non le è mancato il confronto diretto con altre donne sulla questione di genere?
No, affatto. Per me la contraddizione centrale non è mai stata tra uomini e donne. Per me la contraddizione centrale è tra l’impero e la nazione o, se vuoi, tra l’oligarchia e il popolo. Dentro questa antinomia ci sono molte discriminazioni tra cui quella di genere che è una delle più potenti. Io stessa ci ho messo molto tempo a rendermi conto che avevo incorporato molti elementi di questa matrice egemonica: ho dovuto riconoscere che c’era questo problema nel senso dell’autenticità del mio discorso, della coerenza. Nella misura in cui ho cominciato a riconoscere questo problema ho dovuto decostruire e ricostruire e questo non è facile soprattutto in un ambiente che continua ad essere molto discriminante. Se mi chiedi se sono femminista ti dico di no, almeno nella maniera corrente. Certamente riconosco tutti i temi di discriminazione delle donne, lotto contro queste situazioni.
E quali sono secondo lei le più forti discriminazioni nei confronti delle donne in questo momento? Quali sono le lotte che le donne dovrebbero portare avanti ora?
Nel nostro paese abbiamo tre ordini di problemi. Prima di tutto c’è una negazione della discriminazione; la disparità è ancora invisibile a gran parte della popolazione. Un’altra cosa è la necessità di intendere che la questione di genere è iscritta in una discriminazione più ampia. E ancora, far capire che il punto di vista femminile, il ruolo femminile non deve essere ristretto al prolungamento del lavoro riproduttivo. E una lotta che deve essere fatta nelle teste degli uomini e delle donne.
Quale figura di donna sudamericana indicherebbe come simbolica?
Rigoberta Menchù. E’ un’antimperialista, è una lottatrice dei diritti delle differenti etnie. E’ una donna che chiaramente ha dato uno sguardo distinto a tutti questi temi con una coerenza totale e un’umiltà molto grande.
Il 15 febbraio, giornata in cui lei ha assunto la presidenza della Camera e in cui si è insediato il nuovo Parlamento, ha avuto un significato speciale. E’ stato un giorno di festa per tutto il popolo. Sono rimasta molto colpita vedendo quanta gente si è riunita fuori dal Parlamento a festeggiare e a cantare l’inno nazionale, per un momento ho avuto la sensazione che questa massa festante sarebbe entrata nel Palazzo. Come è stata per lei questa giornata?
Senza dubbio è stata una delle cose più forti che mi sono successe nella vita. Quando, dopo la cerimonia, il giuramento, la mia elezione, il discorso, siamo usciti a salutare le persone che erano riunite fuori la folla ci chiamava e ci diceva “Non ci tradite!”; questo è troppo duro da sostenere per un essere umano! Queste parole, che tra l’altro fanno parte del linguaggio popolare, sono rimaste stampate nelle mia mente. Per quanto riguarda l’inno nazionale ti racconto un aneddoto: durante la dittatura l’inno fu imposto dai militari; ma contemporaneamente la gente scoprì che durante la sua esecuzione i soldati dovevano serrare le fila. Allora, quando abbiamo ricominciato a uscire per manifestare, negli ultimi anni di dittatura, ci mettevamo a cantare l’inno per sconcertare i militari che, a quel punto, non sapevano che fare; continuavano le cariche ma almeno avevamo un po’ più di tempo per scappare. Forse tante persone non sono a conoscenza di questa cosa ma quelli della mia generazione sicuramente la ricordano.
Lei ha passato tutta la sua vita “all’opposizione”. Ora che siete al governo quali ideali per i quali ha combattuto pensa che potrete realizzare?
Noi sappiamo molto chiaramente che essere arrivati al Governo non significa avere il potere. Lo stesso concetto di potere è cambiato nella mia percezione attraverso gli anni. Quando ero giovane si parlava di conquistare il potere in termini di “prendere il palazzo d’inverno della Rivoluzione d’ottobre”. In realtà era un grande errore; poi abbiamo scoperto che il potere è presente tutti i giorni in tutte le cose; ora lavoriamo ad una costruzione permanente di devoluzione del potere a chi realmente appartiene. Penso che dal punto in cui siamo ora quello che più ci può soddisfare, dal punto di vista della coerenza, è riuscire a contribuire a questo processo di devoluzione. La coerenza è per me un valore importante e perduto in questa società tanto globalizzata. Ha a che vedere con una cosa molto antica che è il valore della parole; io dico sempre che l’albero della coerenza ha due rami: uno è la coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa e l’altro la coerenza tra la vita privata e la pubblica.
Come è fare la Presidenta?
Non è facile per me. E’ un ruolo complesso che ha molto poco a che vedere con la mia vita personale, sia dal punto di vista degli spazi sia da quello del protocollo. Questo è il compito che mi è stato assegnato e cerco di farlo nella migliore maniera possibile. Io sono molto rigorosa e autoesigente e penso che questo mi aiuti. E’ importante che in questo sia supportata da un collettivo di persone molte diverse. Mi mancano alcune cose della militanza di base anche se cerco permanentemente di mantenere questo contatto. I compagni mi prendono in giro e dicono che quando ho la possibilità di passare del tempo con la gente mi ricarico.
Dopo trent’anni di impegno politico e sociale quali sono, oggi, gli obiettivi per cui si batte?
Io continuo a pensare che il cammino sia verso la liberazione nazionale e il socialismo e che la tappa che stiamo attraversando deve essere sfruttata fino in fondo perché sia un gradino nella realizzazione di questo processo.
Lascia un Commento