Festival delle Colline torinesi / 2 - “Il segreto del teatro è anche questo: collocarsi al confine fra realtà e finzione e organizzare un gioco che afferri lo spettatore”
Mirella Caveggia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2008
Il suo palcoscenico è una casa qualunque, non importa dove; la sua voce è quella della propria coscienza messa a nudo da ricordi che lì per lì affiorano delicati come ninfee prima di trasformarsi in torbida poltiglia. Roberta Bosetti, attrice italiana che vive in Australia, da tempo si vale di una formula forse unica nella rappresentazione drammatica.
Come in questo lavoro del Festival delle Colline torinesi che si chiama “La natura delle cose”, Roberta Bosetti nell’appartamento prescelto di volta in volta accoglie poche persone, una decina al massimo. Nel tinello o in cucina offre una piccola cena, un aperitivo o un caffé e con l’affabilità riservata di una brava padrona di casa, avvia una conversazione che porta i suoi interlocutori a discorrere. Chi conosce la sua arte di penetrare la propria anima insieme a quella dei suoi compagni di un viaggio sa che il momento del commiato lascerà una traccia di sgomento, di forte disagio davanti a un passato lacerante che ha chiesto di affacciarsi per una condivisione umana. Ma anche per accendere un lampo di riflessione sui nodi e sulla complessità di quei luoghi della vita, come l’ambiente domestico e gli affetti familiari, che qualche volta rivelano un volto deforme e pauroso.
L’ultimo incontro – non si può definirlo spettacolo anche se si tratta di teatro autentico – si avvia su una domanda: quali sono i primi oggetti che vengono in mente pensando alla nostra casa d’infanzia? Ognuno darà una sua vaga o precisa risposta. Anche lei accenna al suo primo ricordo, una tovaglia verdina forse di canapa dalla trama grossa dove una bambina di dieci anni puntava gli occhi davanti a una porzione di fegato che non riusciva a inghiottire. A questo particolare l’attrice ne aggiunge altri estratti a caso da una memoria gremita di confusione, di freni e forse di particolari malati.
Una brutta verità o una bella invenzione teatrale? Quella casa, mostrata in una serie rapidissima di diapositive è quella di un’infanzia oscurata da un’ombra o è un’abitazione qualsiasi, scelta per dare uno sfondo di una banale normalità alle pieghe turpi di episodi del tutto normali? Con Roberta Bosetti, che confeziona con bravura le sue pagine misteriose insieme a Renato Cuocolo, non si sa mai nulla. Né si può chiedere luce. Il segreto del teatro è anche questo: collocarsi al confine fra realtà e finzione e organizzare un gioco che afferri lo spettatore. La reiterazione del tema toglie un po’ di smalto alla resa, gli altri monologhi erano più compatti e più intenso di quest’ultimo, che sminuzza il racconto in troppi frammenti. Tuttavia ha una tale capacità di addensare le emozioni e richiamarle in chi assiste alla confessione di un dolore ormai lontano e forse superato, che rimane sempre raccomandabile l’esperienza di questa singolare espressione teatrale ravvicinata e compenetrata.
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