Parità/ Lavoro e famiglia - La maternità ormai è un lusso che poche donne che lavorano si possono permettere
Lucia Basso Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2005
Quando le lavoratrici al rientro dall’assenza per maternità si sentono ripetere dal proprio datore di lavoro frasi come: “ non si può più avere fiducia di lei” o: “mi devo ricredere sul suo conto” o ancora: “resti a casa a curare il suo bambino” l’identità femminile va inevitabilmente in frantumi. Alcune di queste donne, di queste madri, rinunciano al lavoro e presentano le dimissioni motivandole da “motivi personali”.
Sembra quanto mai inverosimile come nell’anno 2005, (a 10 anni dalla conferenza mondiale delle donne di Pechino, che ha sancito che i diritti delle donne sono diritti umani), la maternità possa costituire la vera minaccia all’affermazione del principio di uguaglianza per le donne sul lavoro. Ed ancora più grave è che accada tutto questo in un paese dove le norme sanciscono l’alto valore sociale della maternità.
I dati del calo demografico in Italia sono forse la drammatica testimonianza di questo attacco violento ed insensato contro le donne.
La maggior parte delle richieste pervenute agli uffici delle consigliere di parità riguardano casi di discriminazione di carriera al rientro dall’assenza per maternità e congedi parentali, casi di mobbing strategico per indurre le madri alle dimissioni dal lavoro, casi di valutazione negativa a causa delle assenze per congedo di maternità e paternità e soprattutto moltissimi casi di mancata concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, richiesta inoltrata dalle donne al fine di poter conciliare le responsabilità familiari con le responsabilità professionali.
Molti casi di discriminazione sul lavoro che ledono i diritti e la dignità delle donne, inoltre influenzano anche il loro stato di salute psicofisica, minando la loro autostima e ferendo gravemente la loro identità femminile. Spesso infatti diventa urgente il nostro intervento per orientarle verso servizi che consentano loro di ricostruire la loro identità, di arginare e curare malattie psicosomatiche e veri e propri sintomi di un conclamato disagio psichico.
Quando le donne diventano più vulnerabili e smarriscono il senso della loro identità integrata, diventa quanto mai delicato e difficoltoso il nostro compito di adire in giudizio per affermare il principio di non discriminazione e far riconoscere il diritto negato. Prevale in queste donne la strategia di fuga, anche perché scarsa è la solidarietà del contesto organizzativo e dei colleghi, quasi a voler sancire e confermare la diversità e l’estraneità dalle logiche aziendali della collega-madre.
Diventa prioritario ed urgente il compito e l’attività delle consigliere di parità al fine di promuovere un rapido e profondo cambiamento culturale che produca innovazione in grado di “rendere le organizzazioni amiche delle donne”. E’ necessario sperimentare azioni positive che promuovano la redistribuzione delle responsabilità tra i sessi e nuove forme di orario di lavoro, sviluppando metodi e modelli innovativi mirati ad inserire il lavoro part-time più massicciamente di quanto realizzato fino ad ora.
La sfida maggiore consiste nell’innovare l’organizzazione del lavoro promuovendo le donne nei livelli e nei ruoli, nelle posizioni di responsabilità attraverso l’adozione di strategie basate sulla valorizzazione delle competenze femminili e sulla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Un progetto specifico previsto nel mio programma di attività dell’anno in corso effettuerà il monitoraggio e la valutazione dell’impatto prodotto sul clima e sulla cultura aziendale e sui dipendenti, dalla sperimentazione di azioni positive ai sensi dell’art.9 legge 53/2000, per la flessibilità e la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, nelle 12 aziende venete che sono sostenute e finanziate dal Ministero del Lavoro.
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