Login Registrati
La mitica Patti

La mitica Patti

la storia di una classe e di una bambina in particolare, nella scuola elementare"Gaetano Lodi"di Crevalcore, che sarà inagibile per due anni almeno a causa del terremoto

Martedi, 07/08/2012 - LA MITICA PATTI



Quando si formavano le classi era il momento dell’alta politica nel circoscritto mondo che ruotava intorno alla scuola: il direttore, le maestre, le segretarie, e le mamme. Poiché le maestre erano tutte crevalcoresi, tranne qualche rara eccezione da Bologna -e allora era un patema, perché quella lì mica rimane cinque anni-, le grandi manovre avvenivano da Calimero, il fruttivendolo vicino al campanile, o nei forni, o sotto i portici. Il figlio tanto timido non poteva stare assolutamente con il maleducato figlio della tale che lo lasciava sempre in strada, la quale tale soffriva per l’eventualità che il suo figliuolo capitasse dalle maestre X e Y, di cui alcuni dicevano che non facessero rispettare le regole. Le maestre ostentavano il più grande segreto professionale, poi, tra un etto di prezzemolo e un chilo di pesche, chiedevano se fosse vero che, alla materna, il figlio di Tizio e Caia avesse rotto più di un vetro calciando violentissimamente un pallone di spugna. In base all’ultima circolare del Ministero della pubblica istruzione il tempo utile poteva essere di un mese o prolungarsi per tutta l’estate. Comunque, un bel giorno, gli elenchi comparivano appuntati al portone di via XXV Aprile, quello al fondo del portico dove le maestre lasciavano le biciclette e che portava direttamente in segreteria. Si sa di qualche deprecabile caso di elenchi modificati dopo una visita di Sempronio in direzione, ma alla fine le classi erano normalmente composte secondo la regola aurea dei tre terzi: un terzo che ama i libri, un terzo che li ama se li ama chi li propone, un terzo che ne farebbe a meno e in futuro chi lo sa.

Quella classe fu quasi un miracolo. Fu perché quelle maestre avevano avuto durante l’estate altro da fare e aspettavano di guardare i bambini negli occhi per cominciare a conoscerli? Forse no, ma fecero bene ugualmente. Avevano ricevuto molti avvertimenti, peraltro non cercati, a proposito di Fabio: sarebbe fuggito dall’aula attraverso le finestre, avrebbe picchiato e urlato. Il primo giorno di scuola Fabio pianse immobile nel suo banco quando la mamma se ne andò; in cinque anni di scuola non sfiorò mai nessuno e fu anche uno scolaro discreto, portato, come si dice, per la matematica.

Forse la ragione stava nel numero ridotto di alunni. Allora, per un bambino che aveva bisogno si creava un gruppo, e un gruppo lo crei se hai tempo per tutti. Facciamo i conti: quegli alunni erano sedici; otto ore al giorno delle maestre diviso sedici dà esattamente trenta minuti a testa; ai più autonomi ne bastano quindici e agli altri resta il tempo necessario. Molto probabilmente però fu merito di quelle mamme, mamme di femmine in maggioranza: undici contro cinque. Non si erano fermate più di tanto nei crocchi della piazza, ma avevano frequentato assiduamente le riunioni di sezione della scuola materna; confrontandosi con dade eccezionali avevano capito che anche le bambine possono scegliere. Perciò quelle bambine erano un mazzo di fiori diversi: c’era la rosa e c’era il tulipano, e la viola, e la dalia, e c’era la mitica Patti. Se pensi all’equilibrio pensi a lei. Stava al centro esatto delle cose in ogni situazione. Se la consegna di un esercizio non era chiara, chiedeva subito ad alta voce, anche per gli altri, le spiegazioni necessarie; se la maestra sottoponeva alla classe un problema, aspettava un poco, ascoltava gli altri, poi, con logica perfetta esponeva la sua ipotesi; stava seduta senza fastidio per tutto il tempo necessario, ma amava correre, saltare, giocare a calcio e alla lotta; ed era forte, come Andrea, il più forte dei maschi, ma più forte ancora, perché non si lamentava mai, non era permalosa ed era giusta. Non c’erano invidie nei suoi confronti.

Era finita la prima elementare. A metà delle vacanze estive la maestra del mattino ricevette una lettera di Patrizia, un foglio a righe larghe, strappato da un quaderno. Proposta per l’inizio dell’anno scolastico, si intitolava, seguiva il piano dettagliato di una giornata da passare presso l’azienda agricola di Mirco il grillo, la cui madre era stata incaricata di recapitare la lettera.

Il primo di settembre alla seconda bi fu assegnata una nuova maestra titolare; come tante era del paese, giovane, riccetta; se l’osservavi bene i ricci si disponevano secondo forme familiari: un due sulla fronte, un sei dietro le orecchie, tanti otto sulla nuca; il fatto è che la nuova maestra amava i numeri. La ex-maestra del mattino, d’ora in poi pari diritti e pari responsabilità, pensava di essersi aggiornata a sufficienza sui nuovi metodi di insegnamento della matematica e aveva inserito nella programmazione con spirito battagliero l’insiemistica e la topologia, ma dovette, un po’ di malavoglia, rimettersi a studiare: per comprendere l’arcano del sistema decimale, la classe, nel primo quadrimestre, si sarebbe dedicata al calcolo multibase. Era iniziata o no la rivoluzione informatica? Pochi lo sapevano, ma la maestra riccetta sì. Gli alunni della seconda bi avrebbero sperimentato il sistema binario, e quello ternario e quello quaternario e via di seguito nella serie delle nove cifre, fino a conquistare la vetta del raggruppamento per dieci, che poi sarebbe quello delle dita delle due mani che madre natura ci ha dato. Lei non arrivò mai alla scioltezza della collega che chiamava uno.uno bambini in base due alla lavagna per avere tre alunni, oppure segnalava che alla ricreazione mancavano uno.due.zero minuti in base tre, per significare che dovevano aspettare ancora un quarto d’ora. Anche i bambini non erano sempre ben disposti e sospetto che dipendesse anche da qualche sbuffo in più delle pur pazientissime mamme, ma apprendevano e in fondo si divertivano a manipolare e raggruppare tappi e bottoni e animaletti di plastica e altri piccoli oggetti a centinaia. Ovviamente nella programmazione del primo quadrimestre era stata inserita anche la proposta di Patrizia, la cui lettera stava trionfalmente fissata con lo scotch allo sportello dell’armadio metallico.

L’uva era ormai matura e quel sabato le due maestre individuarono le articolazioni del piccolo progetto intitolato Una giornata in una azienda agricola: la ex-maestra del mattino avrebbe curato in particolare l’elaborazione di un questionario da sottoporre alla conduttrice, vale a dire la mamma di Mirco il grillo, la maestra riccetta gli aspetti quantitativi; tenendo conto che si stava approfondendo la moltiplicazione si sarebbe potuto indagare quante viti per quanti filari, oppure quante cassette vuote per ogni pila. Fece di più: assegnò ai bambini il compito di informarsi presso la mensa interna di cosa avrebbe contenuto ogni sacchetto del pranzo al sacco, e poi di calcolare in tutte le basi fino alla sette, erano arrivati lì, il totale del vettovagliamento necessario alla classe. L’uscita si sarebbe svolta il venerdì; avrebbe lasciato loro una mezz’ora tutti i giorni fino al giovedì per lavorare a gruppi alla soluzione del problema; la mattina successiva i rappresentanti dei gruppi, democraticamente eletti, avrebbero consegnato alla cuoche la lista completa. Ora, considerato che nel sacchetto ci sarebbero stai due panini con tre fette di mortadella ciascuno, una mela, un formaggino e una confezione con quattro biscotti farciti al cioccolato per la merenda, il lavoro era veramente troppo. Per Giulietta, ad esempio, che non finiva mai di raggruppare gli oggetti; regolarmente ne trovava uno davvero interessante e si metteva a disegnarlo; o per Daniele, perennemente mobile nella gabbia del banco il cui ripiano traballante avrebbe fatto cascare i tappi e disintegrare i gruppi.

La ricreazione del lunedì non fu serena.

-Potrebbero metterci una cioccolata nel sacchetto, faremmo prima!-così Laura.

-Meglio un pollo arrosto! Sempre uno è, ma almeno si mangia!- replicò Fabio.

-Chissà cosa importa alle cuoche di sapere quante fette di mortadella in base cinque devono preparare!- aggiunse Matteo e, pericolosamente Elisa – A me non piace neanche la campagna, è piena di zanzare!

La situazione stava precipitando. Per fortuna c’era chi aveva buone orecchie e cervello ottimo.

La mitica Patti aveva inventato per quella mezz’ora un percorso a ostacoli: si doveva partire dallo scivolo in cemento, cadere nella buca della sabbia, correre al castello e appendersi a testa in giù, camminare senza cadere sull’asse di equilibrio e poi ricominciare. Non c’era soddisfazione però se neanche Matteo e Fabio si impegnavano seriamente e ogni tanto se ne andavano a brontolare nei gruppetti. Al ritorno in aula era anche un po’ arrabbiata, ma pacatamente alzò la mano e propose di risolvere il problema vettovaglie insieme, a classe intera. La maestra fu irremovibile. Si definirono i gruppi e il primo giorno servì per mettersi d’accordo se partire dalle fette di mortadella o dai biscotti; mele e formaggini non erano un problema, sempre sedici erano, anche se, in base due…Il giorno successivo i gruppi più veloci avevano terminato il calcolo di un prodotto, gli altri annaspavano. Non potevano passarsi i risultati, perché la maestra passava tra i banchi; diceva buone parole ai più scoraggiati, ma alla fine della mezz’ora avrebbe ritirato gli elaborati. Anche Patrizia era in agitazione; da tempo pregustava il successo della sua iniziativa, era sicura che sarebbe stata una bellissima giornata; la mamma di Mirco le aveva perfino promesso che li avrebbe portati a fare un giretto sul trattore. Bisognava agire. Il mercoledì pomeriggio chiamò i compagni nell’angolo più lontano del cortile ed espose il suo piano. Dovevano mettersi a sedere in cerchio, far finta di giocare al fazzoletto; un bambino avrebbe chiesto il permesso di rientrare in aula per procurarsi dei fogli e dei pennarelli da distribuire ai capigruppo, poi i più bravi in aritmetica avrebbero fatto i calcoli aiutandosi con dei sassi e i capigruppo avrebbero trascritto i risultati; il lavoro sarebbe continuato anche il giorno dopo. Con qualche mugugno la proposta fu accettata. Fu un valido esperimento di autonomia didattica: anche chi fino ad ora non ci aveva capito poi molto, alla brezza dei platani si sentì risvegliare, e comprese che c’era un suo fascino nel giocare con dei sassi che diventavano cifre, che valevano ora in un modo ora in un altro, per la potenza di una combinazione volontaria. La cuoca Elvira era stata opportunamente istruita dalle maestre, ma quando, il venerdì mattina, le fu consegnata dai capigruppo la lista con la quantità delle fette di mortadella replicata sette volte e così per i biscotti e per tutto il resto, si lasciò sfuggire un infastidito: -Ma che lavoro!

Non era un apprezzamento e i bambini reagirono: -Sì, abbiamo lavorato tanto! E tu lo sapresti dire quante patate in base sei mangeremo oggi in mensa, visto che ci sarà il puré?



Giugno 2012

Carla Righi

Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®