Peccato che nel gioco delle rappresentazioni, alla fin fine, nessuno abbia mai il coraggio di dire che c'è una differenza: la distanza reale tra chi il potere ce l'ha e chi il potere lo subisce...
È ingenuo pensare che la conoscenza di se stessi porti a un'inclinazione necessaria verso il Bene.
Solo Socrate poteva immaginare la felicità come il risultato di un impegno nella realizzazione autentica di Sè.
Questa eticità del comportamento farebbe del prendersi cura di se stessi la base necessaria per prendersi poi cura del bene collettivo.
Il Male, secondo questa visione, deriverebbe da ignoranza e non comprensione, dall'assenza di strumenti nella crescita di consapevolezza: il disagio sociale, la subalternità, il servilismo sono evidenti manifestazioni di ignoranza – ha ragione Socrate – ma per lui anche la corruzione e la corsa agli onori e alle ricchezze sono addebitabili a una scarsa conoscenza di Sè, del proprio Bene.
Difficile crederlo, perché bisognerebbe accettare la non intenzionalità del Male, che invece è anche una libera scelta e una responsabilità personale.
Socrate non è un filosofo speculativo. E' un uomo che pensa pragmaticamente al benessere della collettività (la polis): dispensa parole nelle strade e nelle piazze senza farsi pagare, non è al servizio né servitore di nessuno. Serve lo Stato e le sue Leggi al punto da accettarle anche se le contraddice e le ritiene ingiuste, qualcosa che per noi è davvero incomprensibile. Ed è, a detta di chi se ne intende, il fondatore dell'Etica.
Per questo noi non la pratichiamo: è incomprensibile.
L'altra sera in televisione ho imparato una parola politica che non conoscevo: "l'ipocrisia democratica" ossia quell'habitus esterno che un buon politico deve indossare per essere rappresentativo: essere equi, giusti, probi, insomma virtuosi, non è un affare della persona – tantomeno dell'anima come piacerebbe a Socrate – non è un'espressione del Sé autentico ma solo una finzione scenica, necessaria, che consente di ottenere la patente di conduzione politica.
Fa' quello che vuoi in privato, qui davanti a tutti devi essere come tutti si aspettano che tu sia.
È il trionfo della mimesi nel senso di simulazione e dissimulazione. Un gioco retorico che consente larghi margini di movimento per i quali oltre a cadere gli universalismi e le trascendenze (le parole con le Maiuscole) i "relativi" non sono reale espressione di pluralità di pensieri e di comportamenti ma sinonimi di adattabilità in virtù della "forza maggioritaria" trainante.
Questa è la "democrazia".
Se politicamente mi costruisco come "imago" del bene collettivo basandomi sul possesso del denaro, sull'importanza dell'apparire, sulla potenza intesa come avidità e come controllo totalitario scateno nei più un'idea di felicità politica (della polis) che coincide con queste rappresentazioni.
L'uomo comune che viene rappresentato dall'uomo di potere si sente in giusto diritto di somigliare a quello dal momento che lui sta lì come "sua rappresentazione". È questo il senso della delega. Ma soprattutto dell'elezione. E questo gioco delle "false" somiglianze, nella nostra società cattolica, mostra da tempo le sue ambiguità irrisolte: non scordiamoci che nonostante Dio ci abbia fatto a sua immagine e somiglianza un papa contemporaneo che si permise di affermare che "Dio è mamma" sollevò un discreto scalpore.
Ma questa è un'altra storia, quella del Neutro Universale Maschile che domina – è il dominus – di tutte le case degli uomini.
Peccato che nel gioco delle rappresentazioni, alla fin fine, nessuno abbia mai il coraggio di dire che c'è una differenza: la distanza reale tra chi il potere ce l'ha (chi è sempre "sopra") e chi il potere lo subisce (ed è sempre "sotto").
Un dettaglio che ovviamente una rappresentazione scenica deve dissimulare, e bene, per rendere credibile la simulazione.
La retorica come analisi dell'immaginario sociale non interessa alla gente che nel benessere materiale - che comprende le donne, come beni mobili, e le case, come beni immobili - vede la rappresentazione possibile di una felicità raggiungibile (terrena), perché il politico è "uno di noi", uno che "ce l'ha fatta" e questa strada maestra è – per via del gioco retorico di cui sopra – possibile a tutti (talmente a tutti che non c'è più bisogno di curricula adeguati).
Questo è il capitalismo democratico.
Amami. Imitami. Seguimi. Un grande "spettacolo di massa".
Come la televisione (commerciale).
Difficile dire che il "re è nudo". Bisognerebbe avere l'anima di Socrate.
Impossibile. Anche perché noi sappiamo che esiste anche l'intenzionalità precisa a conseguire il Male, la libera e ponderata sua scelta.
È una lezione del Cristianesimo inventare il sistema del "perdono", gesto e concetto sconosciuti al mondo del Bene socratico.
Ma come si fa a perdonare l'offesa nel mondo politico? E cosa davvero costituisce un'offesa?
La scena politica è sempre più una replica infinita di offese reciproche. E nessuno chiede scusa.
La piazza in rivolta è piena di gente offesa che non perdona. Chiede a chi offende di andarsene, di abbandonare il trono, di smettere i panni della rappresentanza. Ma non succede nulla. Tantomeno qualcuno chiede scusa.
È sufficiente la forza di chi grida più forte per operare un cambiamento?
Affatto.
Se non cambiano gli immaginari ogni ribaltone è fittizio.
Se non c'è un immaginario capace di creare il nuovo abito di rappresentanza, se non ci sono le basi concrete per una "altra" finzione democratica, quello che resta in gioco e governa è semplicemente un vuoto, ma con una sua forza implacabile di resistenza, un buco nero di cui non si capisce mai bene come funzioni ma che risucchia al suo interno e se implode lo fa in tempi lunghissimi.
Questa non è un'epoca di gentilezza e quindi di perdoni.
Ma un'epoca caratterizzata dalla sistematica strategia della dimenticanza e dell'oblio.
Qui nessuno mai ricorda cosa abbia fatto o cosa abbia detto.
Il vero cambiamento è nell'immaginario di un'altra felicità. Materiale s'intende. Perché quella immateriale è davvero singolare e privata, ad personam.
Io un'idea ce l'ho. Un'idea socratica.
Serve qualcuno che chieda agli studenti cosa sia "sapere" ossia cosa serva ai giovani per realizzare se stessi.
Qualcuno che chieda agli immigrati cosa siano l'esilio e lo sradicamento ossia cosa serva loro per costruire qui una nuova casa senza perdere la propria storia e la propria lingua: appartenenze non cancellabili.
Qualcuno che chieda ai malati cosa sia la guarigione ossia cosa assicuri la qualità della buona vita e la qualità della buona morte: quali forme possa avere.
Qualcuno che chieda alle donne cosa vogliano ossia cosa sia per ognuna di loro essere una donna in casa, al lavoro, nelle relazioni affettive e sociali, nelle possibilità e abilità espressive.
Qualcuno che chieda ai bambini cosa sia l'infanzia ossia cosa serva a ciascuno di loro in termini affettivi e relazionali per abitarla davvero, per poi lasciarla e diventare adulti.
Qualcuno che chieda alle persone che si amano cosa serva al loro amore per essere un'esperienza di vita, di tutela reciproca e di espressione di dignità.
Qualcuno che chieda ai carcerati cosa sia la giustizia ossai cosa serva alle loro vite per comprenderne il valore e cosa serva davvero per non rinunciarci mai.
Qualcuno che faccia domande e che aspetti le risposte possibili dalle persone. Accettando che è finito il tempo delle verità maiuscole (senza nostalgia) e che le differenze sono invece una dinamica conflittuale – e non una falsa illusione pacifista – che va resa capace di compresenza, di coabitazione. Perché una società multiculturale e globalizzata si regge su più dimore: non sulla Casa del Padre né su quella della Madre.
Qualcuno che faccia delle domande il suo programma politico e ricavi dalle risposte il disegno di un altro immaginario da far salire sul trono del potere accettando il rischio che proprio la parola "potere" cambi volto e somigli, che so, a possibilità, a saper fare, a competenza, a qualità.
Il gioco non consiste nello scegliere il meno peggio o solo l'altro sulla sponda opposta.
È un Immaginario logoro e insufficiente a rappresentare la pluralità di quello che siamo: è un calzino bucato, girato e rigirato, che ormai rivela la nudità dell'alluce anche se ci saranno ancora milioni di donne e di uomini pronti a rammendarlo e a dire all'unisono: ma no... non è bucato!
Il gioco vero sta nella capacità di autonomia dai vecchi servilismi: al potere, al partito, alle ideologie, agli interessi dei pochi. Alle logiche delle vecchie rappresentanze che sono solo armi di seduzione di massa che convincono tutti ad andare al supermercato delle occasioni.
Parte da qui il "conosci te stesso".
Solo per questo io darò il mio voto a chi metterà le donne nei posti di potere e non mi prenderà in giro con una lista di preferenze rosa.
Solo per questo io torno a fare politica nelle piazze parlando il linguaggio della differenza e del dialogo e avrò per compagni di strada gli studenti.
Solo per questo io continuerò a pensare alla Cultura come alla Madre della Politica perché è una conduzione verso il bene collettivo, una educazione permanente.
Io voglio ciò che sono: la mia occasione per invecchiare.
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