Articolo di Gabriella Luccioli pubblicato nel nr 2/2024 di giudicedonna.it
La maternità surrogata reato universale: un assurdo giuridico Gabriella Luccioli (già Presidente della Prima Sezione civile della Corte di Cassazione) nel nr 2/2024 di giudicedonna.it
1. Nel tripudio delle forze di governo, che definiscono la nuova legge una conquista di libertà che ci pone all’avanguardia sul piano dei diritti, o che vedono in essa la fine di una barbarie che sfruttava le donne più vulnerabili e mercificava i bambini, è stato infine dato il via libera anche dal Senato al disegno di legge (S 824, prima firmataria Varchi) volto a rendere la gestazione per altri, secondo la prospettiva dei proponenti, un reato universale. Tra le varie proposte e disegni di legge presentati alle Camere sin dalla passata legislatura la scelta di voto è caduta su quello, di contenuto assai stringato e di semplice articolazione, che non ha altro oggetto che l’estensione della punibilità alle condotte di surrogazione di maternità poste in essere da cittadini all’ estero. Il Parlamento ha dunque scelto di rafforzare la configurazione della surrogazione quale fattispecie criminosa attraverso l’aggiunta al comma 6 dell’ art. 12 della legge n. 40 del 2004 del periodo “Se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all’ estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana”. Non si è quindi intervenuti né sulla struttura della fattispecie né sul trattamento sanzionatorio, che in ragione della sua non elevata consistenza quanto alla pena detentiva è stato generalmente percepito come misura repressiva dell’ esercizio organizzato della pratica in discorso piuttosto che come strumento di dissuasione dei committenti nella loro aspirazione alla genitorialità. Tale intervento normativo, nonostante la sua stringatezza ed apparente linearità, da un lato solleva sul piano tecnico questioni complesse di diritto penale internazionale, dall’ altro lato appare del tutto censurabile sul piano dell’opportunità, in quanto di chiara ispirazione propagandistica e di evidente matrice ideologica, nonché privo di ogni utilità sul piano concreto.
2. Va innanzi tutto rilevato in via generale - come ho già vanamente osservato in sede di audizione al Senato 3- che la conclamata volontà di configurare la gestazione per altri come reato universale, in deroga al principio generale della territorialità, confligge con il dato di fatto che detta pratica nel panorama internazionale è disciplinata in modo assai diversificato, essendo consentita in alcuni Stati solo per fini altruistici, in altri anche per fini commerciali, in altri ancora essendo sanzionata in qualunque sua forma. È appena il caso di ricordare che secondo la comune opinione, confortata dal significato delle parole, costituiscono reati universali quelli percepiti come tali a livello globale, come i crimini di guerra, la pirateria, la tortura, il genocidio, la tratta di persone. Del tutto velleitaria appare, quindi, l’intenzione di istituire un reato universale in relazione ad un fatto che non è universalmente concepito come tale; ancor più assurda si profila la pretesa di universalizzare un reato punito, oltre che con la multa da 600.000 a un milione di euro, con una pena detentiva lieve, tanto da essere da taluno definito come reato bagatellare. Va altresì considerato che secondo la norma generale di cui all’ art. 6, comma 2, c.p. il reato si considera commesso nel territorio dello Stato quando l’azione o l’omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione od omissione. Nell’esperienza giurisprudenziale l’espressione in parte è generalmente intesa in termini assai estesi, ritenendosi sufficiente a radicare la giurisdizione del giudice italiano qualsiasi condotta che si inserisca nella serie causale di comportamenti diretti alla realizzazione dell’ illecito: in ragione dell’ ampio collegamento con la giurisdizione italiana così accolto resta integra la punibilità secondo il nostro ordinamento, oltre che nel caso di nascita e consegna del bambino in Italia, in tutti i casi in cui l’ accordo di surrogazione sia stato concluso in territorio italiano o comunque sia stata posta in essere in Italia qualsiasi attività (ad esempio il pagamento del corrispettivo pattuito) eziologicamente collegata all’ evento della surrogazione. Ed è del tutto evidente che in ipotesi siffatte il radicarsi della giurisdizione italiana si verifica non già perché si è in presenza di un reato universale, ma per il semplice operare del principio di territorialità posto dall’ art. 3 c.p. Si rende necessaria a questo punto una sintetica analisi degli artt. 7 e segg. c.p., concernenti i reati commessi all’ estero.
3. L’ art. 7 c.p. ha attribuito il crisma della universalità ad alcuni specifici reati che esigono la punizione del colpevole, cittadino o straniero, in qualsiasi luogo siano stati commessi, in ragione della loro capacità lesiva di interessi fondamentali dello Stato italiano. Si invoca al riguardo da taluno quale aggancio normativo generale alla universalizzazione della gestazione per altri la previsione di cui al n. 5 di detto art. 7, concernente ogni altro reato per il quale specifiche disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’ applicabilità della legge penale italiana, ma tale argomentazione non appare condivisibile: ed invero la stessa collocazione di detta norma di chiusura induce a ritenere che con essa il legislatore abbia inteso riferirsi non a violazioni di qualsiasi disposizione di legge, ma a violazioni omogenee alle altre previste nello stesso art. 7 ( v. sul punto la Relazione ministeriale al codice penale). Si sostiene generalmente in dottrina che i reati assoggettabili a tale estensione della giurisdizione italiana debbano essere quelli posti a tutela di fondamentali interessi statuali o di interessi di riconosciuto valore universale, come sono quelli di cui agli artt. 501,537, 591, 604, 642 c.p. per i quali è specificamente prevista la punibilità pur se commessi all’ estero. Appare peraltro evidente che la surrogazione di maternità non ha nulla di simile ai reati contro la personalità dello Stato o contro i suoi elementi identificativi, come il sigillo o le monete, che hanno una connotazione intrinsecamente extraterritoriale, o a quelli commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato, con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alle loro funzioni (n. 1 - 4 dell’ art. 7 c.p.). Non senza considerare che la richiamata lieve misura della sanzione prevista per la gestazione per altri rende possibile il ricorso ad istituti deflattivi che consentono di non pervenire ad una sentenza di condanna e in ogni caso di evitare l’esecuzione della pena detentiva. Del tutto estraneo alla previsione in esame è ancora l’art. 8 c.p., secondo il quale è punito secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro della giustizia, il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero un delitto politico non compreso tra quelli indicati nel n. 1 dell’ art. 7, non trattandosi nella specie di delitto politico.
4. Quanto ai delitti comuni commessi dal cittadino all’ estero, regolati dal successivo art. 9 c.p., va ricordato che ai sensi del suo secondo comma qualsiasi delitto comune punito con pena inferiore nel minimo a tre anni, e quindi anche la gestazione per altri, era già punibile se commesso interamente all’ estero da cittadini italiani (sempre che si trovassero nel territorio dello Stato), a richiesta del Ministro della giustizia, ovvero a istanza o a querela della persona offesa. Pertanto, in passato per perseguire il reato di gestazione per altri commesso interamente all’ estero era sufficiente un atto di impulso del Ministro della giustizia, atto che la Corte costituzionale (ord. n. 289 del 1989) ha definito come espressivo di una scelta di politica criminale che non può non spettare ad un organo del potere esecutivo. Ed è indicativa dello scarso interesse a livello politico a perseguire il reato la circostanza che, a quanto risulta, una sola volta è stata effettuata una scelta siffatta ( non dal Ministro, ma) dal Sottosegretario di Stato in relazione ad un caso di surrogazione di maternità realizzata interamente in Ucraina ( v. Cass. pen. 2016 n. 13525). E’ ulteriormente da osservare che secondo la prevalente letteratura scientifica e parte della giurisprudenza, avallata dai lavori preparatori al codice penale, il citato art. 9 c.p. consente di punire un reato comune commesso da cittadini all’ estero solo ove sussista la doppia incriminazione, configurato tale elemento come requisito implicito di punibilità del delitto comune posto in essere dal cittadino fuori dal territorio dello Stato e come strumento regolatore dei rapporti di cooperazione giudiziaria internazionale tra i vari Paesi. Nel caso in esame il Parlamento ha inteso prescindere da tale requisito, non ponendosi la questione della implausibilità di una fattiva collaborazione dello Stato estero per l’accertamento di un fatto considerato lecito nel suo ordinamento. Va in aggiunta considerato che il superamento del requisito della doppia incriminazione apre seri problemi in ordine alla consapevolezza della illiceità e perseguibilità della condotta, tenuto conto delle elaborazioni della Corte costituzionale e della Suprema Corte sui limiti del principio di inescusabilità dell’ ignoranza della legge penale. E’ allora forte il rischio di ridurre l’affermazione della giurisdizione italiana per reati di gestazione per altri commessi interamente all’ estero ad una mera enunciazione simbolica, espressione di uno sterile paternalismo a sua volta espressione di uno Stato etico, di un esasperato panpenalismo e di un accentuato ideologismo.5
5. In conclusione la norma in esame, oltre che incidere in modo disarmonico sulla disciplina generale contenuta negli articoli da 7 a 9 del codice penale, rendendo incondizionatamente punibile il fatto commesso all’estero, si profila come velleitaria ed inutile nella sua pretesa di scoraggiare il turismo procreativo e trova giustificazione soltanto nella finalità di rafforzare lo stigma dell’ illiceità penale della surrogazione di maternità, sulla quale peraltro ogni discussione sembra ormai superata, dopo le chiare posizioni assunte dalla Corte costituzionale nelle pronunce n. 272 del 2017 e n. 33 del 2021 e dalle Sezioni Unite della Cassazione nelle note sentenze n. 12193 del 2019 e n. 38162 del 2022. Essa infine appare del tutto disallineata rispetto alle sollecitazioni più volte indirizzate al legislatore dalla Corte costituzionale a trovare in tempi rapidi, con un intervento da ultimo considerato indifferibile (v. sentenza n. 33 del 2021), uno strumento di definizione dello status dei minori nati da gestazione per altri. Dietro la scelta del Parlamento può leggersi il rifiuto di apprestare soluzioni normative ai problemi scaturiti dall’ utilizzo delle nuove tecniche riproduttive, seguendo una linea politica tesa soltanto alla individuazione del nemico comune da sconfiggere. Una scelta siffatta non solo esprime indifferenza rispetto al dovere di rispondere in sede legislativa ad una esigenza sociale che ha a che fare con i diritti fondamentali delle persone, e in particolare dei bambini, ma segna una grave frattura tra le istituzioni, per il mancato rispetto da parte del decisore politico delle sentenze e dei richiami della Corte costituzionale, che è organo di garanzia dei diritti, e per la mancata volontà di assumere la responsabilità di completare il sistema di tutele del quale detta Corte ha segnalato le carenze, affrontando finalmente la disciplina della maternità surrogata non da un solo lato di visione, ma in tutta la sua complessità ed in tutte le sue implicazioni. Il potere legislativo si è ancora una volta dimostrato incapace di separare la valutazione della fattispecie illecita - come già osservato non più oggetto di discussione - dalle sue ricadute sul rapporto di filiazione e sul destino dei figli, rifiutando di prendersi carico di quei bambini che sono comunque venuti al mondo, che esistono ed hanno il diritto di avere uno status, quello status del quale l’art. 315 c.c. ha sancito inequivocabilmente l’unicità. Questa è la vera priorità: apprestare con spirito laico e senza nascondersi dietro steccati ideologici regole dirette a fornire adeguata tutela a detti minori. Non sembra inutile al riguardo ricordare che il 14 marzo 2023 la Commissione politiche europee del Senato ha approvato una risoluzione che, svolgendo rilievi critici alla proposta di Regolamento europeo in tema di filiazione e certificato europeo di filiazione, dopo aver ampiamente richiamato la recente sentenza delle Sezioni Unite n. 38162 del 2022 ha affermato che appare … condizione essenziale che la proposta preveda esplicitamente la possibilità di invocare la clausola dell’ ordine pubblico in via generale su tutti i casi di filiazione per maternità surrogata, a condizione di assicurare una tutela alternativa ed equivalente, quale quella del citato istituto dell’ adozione in casi particolari, e che ciò valga esplicitamente anche con riguardo al certificato europeo di filiazione.
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