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La magia e l’eleganza della tenacia

La magia e l’eleganza della tenacia

Birmania - Le birmane sono le più indipendenti delle donne asiatiche. La lenta transizione di un paese che affascina

Di Pietro Maria Elisa Lunedi, 09/07/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2012

Hla Hla lancia conchiglie e snocciola nozioni di numerologia per predire il futuro, accovacciata sul piazzale, all’ombra di una pagoda. Se la Birmania avesse un volto, sarebbe il suo: sguardo magico, lineamenti raffinati, carnagione chiara e luminosa come la madreperla del pettine che trattiene i capelli d’ebano dietro la nuca. Le labbra socchiuse accennano un sorriso da cui traspare il fascino irresistibile delle orientali. Sul viso tracce di thanaka, impasto profumato con proprietà cosmetiche e protettive, ottenuto dalla corteccia della palma di Toddy e stemperato tracciando decorazioni con le dita.

Aung San Suu Kyi è solo la più nota e carismatica tra le donne birmane (48,5% su un totale di oltre 50 milioni persone) che svolgono un ruolo fondamentale per il paese e la cui condizione è poco conosciuta. Sono le prime vittime del regime e sopportano ancora violenze e difficoltà. Molte hanno subito la detenzione per l’impegno politico e socio-culturale, oppure discriminazioni per l’appartenenza a minoranze etniche (35% della popolazione, su un totale di 135 etnie). Journal-Gyaw Ma Ma Lay, la figura più eminente della letteratura birmana moderna, scrittrice, giornalista ed editrice, ha lottato come femminista e nazionalista contro il colonialismo inglese, l’imperialismo giapponese e il regime militare ed è morta in prigione a 65 anni nel 1982. Con l’amnistia del 2011 è stata liberata una trentina di detenute politiche, tra cui Su Su Nway, 41 anni, la prima a vincere una causa contro la legge sul lavoro forzato, ma incarcerata come attivista politica e sindacale, per ritorsione. Le donne Karen e Kachin hanno perso tutti i diritti e più di cento sono state violentate e uccise negli ultimi anni del conflitto etnico aperto dal 1948.

Apparentemente fragili, tuttavia determinate, le birmane sono le più indipendenti delle donne asiatiche, perché hanno sempre goduto di uno statuto sociale e giuridico privilegiato, moderno anche rispetto all’Occidente. La nascita di una femmina è accolta con entusiasmo perché ritenuta più amorevole e ligia la dovere del maschio. La maggioranza intende i rapporti di genere in termini di sostegno e complementarietà, anziché di competizione e se accetta di essere subordinata lo fa spontaneamente.

La legge assicura la parità su molti aspetti: le donne hanno pari diritti di proprietà e successione, dopo le nozze possono mantenere il proprio nome e divorziare unilateralmente, conservando metà del patrimonio accumulato durante il matrimonio e la facoltà di trasferire i beni direttamente ai figli.

In campo religioso restano in condizione di inferiorità: si pensa che raggiungano l’illuminazione solo se hanno la capacità sviluppare un pensiero maschile e rinascere uomo; inoltre sono considerate impure, fonti di tentazione incompatibili con la vita ascetica, perciò in molti luoghi di culto non possono accedere alle immagini sacre, né applicare foglie d’oro votive, ma pregano incessantemente, sgranano rosari, offrono cibo, ghirlande di fiori e frutta, bruciano incensi.

Sono ammesse alla vita monastica, ma subalterne ai monaci: anch’esse vivono di elemosina, ma osservano un numero maggiore di voti, dipendono da un abate e devono obbedire a monaci di ogni età. L’iniziazione avviene tra i 5 e i 15 anni, rasano i capelli e indossano tonache rosa con una stola color seppia, più tardi decidono se ritirarsi in monastero, anche dopo il matrimonio, conservando contatti col marito e diritti di visita dei figli. In Myanmar - il paese più profondamente buddista al mondo - sono il 10% di una comunità monastica di 500mila religiosi che ha segnato la storia del paese partecipando nel 2007 alle proteste pacifiche contro il governo.

#foto5dx#Le birmane vantano il tasso più alto di alfabetizzazione del Sud-est asiatico dall’800 (79%, contro l’89% degli uomini). Fino agli anni ‘50 apprendevano le basi, poi lasciavano la scuola perché potevano solo leggere e scrivere, oggi hanno pari accesso all’istruzione, che è pubblica e obbligatoria dai 5 ai 16 anni di età, in classi miste. Le ragazze sono più brave e numerose dei maschi alle superiori e all’università, ma la possibilità effettiva di progredire negli studi dipende dalle disponibilità economiche. Htay Htay è privilegiata, il padre militare le ha permesso di laurearsi in matematica e lavorare nel settore pubblico dell’import/export, a capo di un gruppo di 16 uomini. Lavoro e controlli erano opprimenti, perciò ha deciso di studiare lingue per diventare guida turistica. Oggi lavora per la seconda agenzia di viaggi del paese, ha comprato casa e vorrebbe adottare un’aiutante per condividere lavoro, casa e famiglia. Un’idea bizzarra dell’adozione, ma preferibile alla vita in orfanotrofio. Phyu Phyu coltiva il sogno di diventare guida tra le bancarelle di Mingun, dove vende souvenir la mattina, mentre il pomeriggio riprende la scuola, che aveva abbandonato per sostenere la famiglia, cedendo il banco ai 6 fratelli, tutti più piccoli di lei.

Nyein Nyein è madre di tre figli, vende ventagli in legno di sandalo, ma lavora anche nella fabbrica di sigari, dove però le preferiscono i bambini: le dita piccole sono più veloci e costano meno. Essere madri non è facile, soprattutto nelle periferie e nei villaggi in cui si è costretti all’esodo forzato. Il tasso di mortalità materna è il terzo più alto del Sud-est asiatico (240 decessi ogni 100mila parti di nati vivi), soprattutto nelle aree rurali, dove fino a 5 famiglie condividono gli spazi nelle long house, palafitte di bambù e teak, senza elettricità e acqua potabile. I bambini sono accuditi da un’unica madre, mentre le altre lavorano.

L’agricoltura è la principale risorsa e occupa il 73% della popolazione attiva, perciò quasi tutte le lavoratrici sono contadine: la quotidianità è scandita dai tempi di luce, distese di campi geometricamente ordinati sono arate dai buoi, dove mietitrici e spigolatrici di varie etnie lavorano insieme. Thida Thida appartiene alla folta schiera delle commercianti che vendono al mercato oppure organizzano assalti veloci alle barche che percorrono l’Ayeyarwady: con le ceste sulla testa attraversano i pontili in precario equilibrio, per intrufolarsi tra i passeggeri e contrattare. Numerose le artigiane e le operaie, soprattutto nella tessitura oppure in laboratori di lacca, oro, gemme e cartiere. Nell’amministrazione pubblica le donne non sono escluse da alti incarichi, ma poche occupano posizioni di rilievo. Aung San Suu Kyi sarà forse la prima al governo. Sono molte le insegnanti, ma si collocano tra i nuovi poveri con lo stipendio minimo degli impiegati pubblici.

Il paese è tra i 10 più poveri al mondo: il reddito annuo medio pro-capite è di 1.200 euro (contro circa 9mila in Thailandia, 8mila in Cina, 3.500 in India e 2.600 in Laos). Per indice di sviluppo umano la Birmania è all’8° posto tra i paesi di livello più basso, dopo Pakistan e Bangladesh, prima di Yemen e Nepal. L’aspettativa di vita per le donne è 59 anni, per gli uomini 56. Il futuro dipende dagli investimenti nella sanità e nell’istruzione, che il governo ha ridotto ai minimi storici.

Ai margini: coltura e traffico di oppio, prostituzione, lavoro forzato e minorile, bambini-soldato.

Il successo della NLD alle elezioni di aprile è solo il primo passo di un lungo, lento e tortuoso cammino verso la democrazia, ma non è decisivo. La Birmania è ancora fragile, nulla è scontato: si temono ritorsioni e inasprimento del regime. In aree inaccessibili ai turisti sono sospesi l’erogazione di energia elettrica e i collegamenti internet. Dal 2010 è stata intrapresa una via di riforme per favorire la riconciliazione interna e la normalizzazione dei rapporti diplomatici ed economici con la comunità internazionale. Tuttavia Usa e Australia hanno soltanto alleggerito le sanzioni, perché non sono ancora soddisfatti tutti i requisiti richiesti e continuano le violazioni dei diritti umani: il conflitto interno prosegue, l’esercito ha rotto i recenti accordi di tregua con minoranze etniche Shan e Kachin; la liberazione dei prigionieri politici non è compiuta, in 13 mesi ne sono stati liberati almeno 300, ma quasi 2mila restano in carcere e per alcuni la pena è solo sospesa nonostante l’amnistia; infine manca trasparenza di governo. È quindi necessario tenere alta l’attenzione sul paese e sostenerlo nel processo di transizione democratica. La svolta decisiva potrà avvenire con le elezioni del 2015 se prima verrà modificata la Costituzione, che concentra il potere nelle gerarchie militari, cui riserva il 25% dei seggi, benché il governo sia formalmente civile dal 2010.



*Testo e foto di Maria Elisa Di Pietro



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