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La lunga marcia di Amelia

La lunga marcia di Amelia

Intervista ad Amelia Boynton Robinson - “Martin Luther King ha aiutato noi tutti a uscire dalla paura, e a farlo non con odio ma con amore. L’odio è paralizzante, impedisce non aiuta la lotta”

Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2006

Amelia Boynton Robinson, 94 anni, un viso sereno e luminoso, per niente stanca, potrebbe andare avanti a parlare per ore nell’aula dell’Università Roma Tre, dove è stata invitata (per iniziativa della Prof. Francesca Brezzi e del Movisol) a presentare l’autobiografia appena tradotta in italiano, racconto della sua lotta per i diritti civili e contro il segregazionismo dei neri. E potrebbe continuare per un’altro secolo a perseguire quello che è stato l’impegno di tutta una vita: lottare per “la vita, la libertà e la ricerca della felicità”, come scrive lei stessa, citando la Costituzione americana. Che non ha voglia di fermarsi, lo si capisce dalla sua attenzione al presente e al futuro del mondo, e dalla prima cosa che ci dice non appena inizia a parlare: “bisogna fermare gli Stati Uniti d’America, che si comportano come un bambino presuntuoso. Le ragioni della guerra in Iraq sono basate su prove false, bisogna chiedere il ritiro immediato delle truppe. Perchè non fate una petizione, un appello ai vostri governanti, anche voi qui in Italia?”.
Ma non eravamo venuti ad ascoltare una storia di tanti anni fa? La storia del tempo in cui Martin Luther King, del quale Amelia è stata compagna di lotte, aveva smosso le coscienze dei suoi simili rifiutandosi “di accettare l’idea che il modo in cui si è ci renda moralmente incapaci di diventare ciò che dovremmo essere”(p. 328).
Amelia, solo dopo essersi accertata che tutti/e fossimo comodamente seduti/e, e non avessimo domande più urgenti da fare inizia a raccontare la sua lunga storia di vita e di battaglie.
Nata in Georgia nel 1911, settima di dieci figli. Il suo impegno politico inizia nel 1921, quando, seduta a cassetta di una carrozza a cavalli, seguiva la madre per le strade di Savannah, “bussando alle porte di casa e suonando il campanello, per informare le donne del diritto di voto che avevano appena conquistato, per dare loro informazioni su come registrarsi e accompagnarle alle urne elettorali”. Poi, nel 1935, si trasferisce a Selma, in Alabama, dove sposa Samuel W. Boynton, di colore come lei, e come lei testardo nel credere possibile “sfidare il sistema insegnando alla gente come fare a stare nella legalità e a pensare con la propria testa, senza avere paura del padrone, del più forte, più ricco, del bianco”.
E nell’autobiografia scrive: “Nella nostra battaglia contro la segregazione, ci scontrammo con così tanto odio e ostilità, ma anche paura, che raccontare alcune di queste storie darà al lettore un’idea di quanto sia insidiosa e diabolica la segregazione tra le razze. Nessuno può giustificarla... alcuni che in passato discriminavano contro i neri oggi si chiedono come abbiano fatto a cascarci così”.
A fianco del marito inizia le molte battaglie contro “le barriere erette per impedire che gli afroamericani diventassero cittadini di prima classe”, a partire da quella per la registrazione al voto, che vedono la loro casa visitata da leader politici e attivisti per l’uguaglianza e le libertà provenienti da tutto il mondo. Tra questi Martin Luther King e Rosa Park, con i quali Amelia sarà alla testa della lunga marcia di 70 Km, partita il 7 marzo 1965, passata alla storia come, la "domenica di sangue", per via della dura repressione della polizia locale, ma anche come l’inizio di “un nuovo ordine”, dato che dopo l’intervento della polizia federale in difesa dei manifestanti, inizia la svolta che vede l’approvazione della legge per i diritti civili. Una svolta cui si è arrivati dopo molte sofferenze e sacrifici di vite umane, e il sostegno di sempre più persone, in America e nel mondo, “alla nostra battaglia per i diritti umani”. Questa battaglia, come Amelia ha ribadito, non deve cessare e va attuata in ogni situazione in cui “la sopportazione cessa di essere una virtù”, e va condotta da parte di tutti e per tutti, senza discriminazioni e parzialità di alcun tipo.
Ma ecco come Amelia Boynton Robinson ha risposto alle domande di “noidonne”.
C’è stato un momento della sua lunga vita di lotte in cui ha desiderato abbandonare tutto?
Ci sono stati momenti molto difficili e momenti di grande debolezza. In particolare ne ricordo due. Il primo è stato quando un uomo di colore è stato accusato di avere violentato una ragazza bianca, e nonostante ci fossero le prove a suo favore, è stato condannato alla sedia elettrica e ucciso. A distanza di pochi giorni un uomo bianco si era recato in casa di una giovane donna nera con l’intento di sedurla e, non avendola trovata, uccide la nonna paralitica. Al processo per l’omicidio viene assolto. Di fronte a questa palese ingiustizia, ho provato odio. Ma, se avessi nutrito questo sentimento non avrei potuto lottare per la libertà e i diritti di tutti. L’odio è paralizzante, impedisce non aiuta la lotta. Mio marito mi diceva “non odio, semmai pena devi provare per questa gente, se odi fai il loro gioco”. E mia sorella Ann, poetessa, scriveva: “chi odia distrugge se stesso prima ancora dell’oggetto del proprio odio”.
Il secondo episodio riguarda invece la persecuzione subita da me e mio marito in persona, per avere voluto sfidare il sistema, aiutando la gente a fare valere i propri diritti e a liberarsi dal giogo dell’ignoranza e dal lavaggio del cervello contro di loro, per farli sentire incapaci. I bianchi, dopo avere in tutti i modi tentato di bloccare la nostra attività professionale sono passati alle maniere forti: uno di loro è entrato in casa armato di bastone, per fortuna siamo riusciti a farlo scappare. Ma nessuno nel quartiere ci ha dato sostegno. Mio marito, in seguito a questo episodio, ha avuto il suo terzo infarto ed è morto. Al suo funerale sono venuti in tanti, anche Martin Luther King era presente. Ma chi poteva immaginarsi che qualcuno aveva segnato i nomi di tutti i presenti, e il lunedì gli operai a contratto sarebbero stati tutti licenziati per avere partecipato al funerale!

Qual è invece l’episodio che le ha dato una marcia in più per continuare?
Nel 1964 quando mi sono candidata al parlamento per il partito democratico, prima donna di colore dell’Alabama. Non ho vinto, ma ho preso moltissimi voti e ho pensato ‘ho vinto perchè ho spezzato un tabù e ho svegliato gli afroamericani a votare e a candidarsi. È stato l’inizio del percorso che ha portato molti afroamericani ad assumere ruoli importanti. Persino a Selma oggi c’è un sindaco di colore.

Quanto è stato importante Martin Luther king nella sua vita?
Martin Luther King ha aiutato noi tutti a uscire dalla paura, e a farlo non con odio ma con amore. E ci ha dato un sogno, una possibile prospettiva migliore. E’ stato per me importante conoscerlo di persona e compiere accanto a lui alcune battaglie, ma la scelta mia e di mio marito, di combattere la segregazione in maniera nonviolenta è stata precedente ed ha un percorso molto lungo nei 30 anni di vita, e di lotta, quotidiana nella nostra città.

In che rapporti si sente con il movimento delle donne?
Mia madre era impegnata per i diritti di cittadinanza delle donne, di tutte le donne, sia nere che bianche. Lei è stata per me il mio modello femminile. Sono stata anche attiva nel Wilpf (Women International League for Peace and Freedom).

Cosa pensa di Condoleeza Rice?
Esempio classico di finta integrazione. È una donna intelligente, molto più di tanti altri che stanno dentro il Congresso.

Ma cosa possiamo fare noi donne per migliorare lo stato delle cose?
Moltissimo. Sono certa che, se ci fosse una donna alla presidenza americana, non saremmo arrivati a questo indegno spettacolo degli Usa diventati nuovo impero romano. Mia madre diceva che “la donna è la corona della creazione divina”. Le donne hanno la forza di aiutare il mondo ad uscire dalla situazione presente. Le donne possono riuscire a spezzare le catene della oppressione attuale, come ad esempio quella oggi presente nel Sud del mondo: da loro può partire tanto per cambiare il mondo intero.

* Ricercatrice presso l’Università Roma Tre, si occupa di studi sulla pace e di genere, in particolare nella prospettiva pedagogica

Amelia Boynton Robinson
Un ponte sul Giordano. La mia lunga marcia con Martin Luther King
Palomar, 2004


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