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La Lotta comincia adesso

La Lotta comincia adesso

Le mille e una rivolta/2 - In Tunisia Halima Jouini, esponente del principale sindacato tunisino, l’UGTT e membro del comitato esecutivo dell’Associazione delle Donne democratiche (AFDT)

Dalla Negra Cecilia Lunedi, 09/05/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2011

La parola d’ordine è “se tornano loro torniamo anche noi”. ‘Loro’ sono gli uomini che hanno permesso al regime di Zine El-Abidine Ben Ali di sopravvivere per 23 anni. ‘Noi’ le donne e gli uomini che hanno dato vita a una rivolta senza leader che si è fatta rivoluzione. Nelle piazze di Sid Bousidi e Kasserine, dove le proteste sono esplose per risalire fino a Tunisi, i presidi permanenti dei giovani sono ancora in corso. Ma al posto di manifesti e striscioni, ad essere esposti sono diplomi scolastici e certificati di laurea, privi di valore laddove il futuro viene negato in partenza. È una sorta di questione meridionale tunisina che si è sviluppata in queste zone interne del Paese, tagliate fuori dal business del turismo costiero, dimenticate nei piani di rinnovamento infrastrutturale, dove la disoccupazione giovanile, negli ultimi anni, è schizzata alle stelle. È qui che Mohamed Bouazizi, classe ’84, venditore ambulante laureato, si è dato fuoco il 17 dicembre 2010, diventando il simbolo di una rivolta mossa prima di tutto contro il peggiore dei ricatti. Quello che pretendeva di imporre al popolo la scelta tra pane e diritti, tra dignità e libertà. Ma la fase attuale è delicata, la rivoluzione ancora in divenire, e con la fuga del dittatore, il 14 gennaio 2011, un’epoca si è chiusa per far posto al futuro. Il lavoro vero comincia adesso, e la data di scadenza attesa è quella del 24 luglio, quando si svolgeranno le elezioni per l’Assemblea Costituente che dovrà scrivere le regole della nuova Tunisia. Consapevoli dell’importanza storica di questa occasione, e preoccupate per come andrà a finire, sono soprattutto le donne, vere protagoniste di una rivolta che le ha viste al centro della scena politica: lavoratrici, studentesse, sindacaliste o militanti di lungo corso, che hanno lottato contro una duplice oppressione maschile: quella del RCD (Rassemblement Constitutionnel Démocratique), il partito unico di Ben Ali; e quella degli integralisti, seppur marginali in un Paese che ha conosciuto, in passato, il riformismo di Habib Bourguiba. Tra queste donne anche Halima Jouini, esponente del principale sindacato tunisino, l’UGTT, e membro del comitato esecutivo dell’Associazione delle Donne democratiche (AFDT). E’ proprio verso il sindacato che muove le prime critiche: “E’ ancora troppo maschilista, c’è tanto da lavorare”. Ci tiene a ricostruire il percorso di questa rivoluzione, degna conclusione di un lungo cammino di lotta, che aveva già conosciuto un apice nel 2008, quando erano state le donne impiegate nel bacino minerario e nel settore tessile ad organizzare sit-in e proteste per rivendicare uguaglianza, dignità, parità salariale.



Halima, qual è stato il ruolo delle associazioni femministe e delle donne nella rivoluzione che ha portato al rovesciamento del regime?

Assolutamente centrale, la nostra associazione come altre è stata al fianco della rivolta sin dall’inizio. Anche nel 2008, durante le proteste delle lavoratrici, sono stati i nostri legali ad assisterle e le nostre militanti ad organizzare giornate di solidarietà e di lotta a Tunisi. Abbiamo accompagnato e tentato di proteggere le nostre attiviste, impegnate in prima linea contro la repressione del regime. Con l’Afdt siamo all’interno della Marcia mondiale delle donne contro la povertà e la violenza, una rete femminista internazionale che raccoglie oltre 600 organizzazioni, e abbiamo partecipato alla costruzione dell’ultimo Forum Sociale di Dakar. È dentro questa dinamica che siamo sempre state, ed è qui che continuiamo a lottare. Siamo militanti femministe e laiche, e pensiamo che i diritti umani e quelli delle donne non possano essere separati in un percorso di rivendicazione, così come non possono esserlo i diritti sociali da quelli civili, economici e culturali. Questo il nostro popolo lo ha compreso, ed è su questa interconnessione che ha impostato la propria lotta.



Esistono delle connessioni tra i movimenti femministi tunisini e quelli presenti negli altri paesi del Maghreb che sono stati al centro delle rivolte di questi mesi?


Moltissime naturalmente. Partiamo dal presupposto che marginalizzazione, oppressione e maschilismo siano dei disvalori universali, che ci legano tutte. Il sistema sociale patriarcale è una forma di discriminazione globale, ma dobbiamo tenere presente che può assumere aspetti differenti a seconda delle aree geografiche. Noi conosciamo le dinamiche tipiche della mentalità maschile e patriarcale tunisina ed è probabile che siano molto simili a quelle che subiscono le donne egiziane, marocchine o palestinesi. Ecco perché è importante costruire una connessione ancora più specifica fra i paesi del Maghreb e del mondo arabo.



Qual è stato il punto centrale della vostra riflessione collettiva?


Abbiamo riflettuto a lungo su come le religioni possano essere un veicolo primario di discriminazione e oppressione delle donne, così come la lingua e la grammatica sono spesso strumenti di potere dei sistemi sociali androcratici. Allora cerchiamo di costruire dei ponti tra noi e tra i diversi Paesi in modo che la caratterizzazione delle nostre lotte non sia un limite all’aspirazione universale delle rivendicazioni femminili, ma un valore aggiunto. Essere protagoniste delle battaglie per la dignità, la libertà e l’uguaglianza fa parte del ruolo che abbiamo assunto, e c’è ancora tanto da lavorare, anche in Tunisia. Nel mio sindacato il 50% degli attivisti sono donne e i settori più battaglieri e organizzati sono quelli che vedono una maggiore partecipazione femminile. Eppure la stessa percentuale non vale per i ruoli di rappresentanza dirigenziale. Rivendichiamo un’uguaglianza ancora da costruire e la fine di tutte le discriminazioni. Lo facciamo come femministe, e speriamo che il sindacato lotti al nostro fianco.



Quali sono le vostre priorità in questa fase e cosa temete di più?


E’ un momento delicato, nel quale rischiamo di perdere tutte le conquiste ottenute finora. Abbiamo paura che il RCD si riorganizzi e si presenti alle elezioni con altre sigle, e che gli integralisti escano rafforzati dal percorso rivoluzionario. Soprattutto temiamo che anche i nostri compagni più radicali siano tentati di scendere a compromessi elettorali sacrificando le questioni femminili. Noi questo non possiamo permetterlo. La nostra priorità è definire una Costituzione, questo è il momento di scrivere la storia, non ce ne sarà un altro. Dobbiamo farlo per i nostri figli, che possano vivere liberi e consapevoli dei propri diritti; per questa generazione piena di vita e di speranza, perché la mia ha pagato un prezzo troppo alto. Fare la rivoluzione è semplice: difficile è portare a termine gli obiettivi che ci siamo posti. Per noi tunisine la lotta comincia adesso.



Fotografie di Raffaella Chiodo Karpinsky

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