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La  lista della spesa del caregiver - di Irene Gironi Carnevale

La lista della spesa del caregiver - di Irene Gironi Carnevale

Alcune richieste indispensabili per chi assiste familiari con disabilità gravi, che non sono una malattia ma una condizione

Giovedi, 02/01/2020 - In questo fantastico Paese le parole volano alte, molto lontano dai fatti perché quelli li lasciano fare a chi è costretto, a chi non ha nessuno che lo aiuta e che si deve inventare ogni giorno una tecnica di sopravvivenza per se stesso e per chi assiste. Parlo dei caregiver, mitiche creature metà essere umano (quel che resta) e metà multi funzione: infermiere, facchino, autista, psicologo, accompagnatore, casalinga (lava, stira, fai la spesa, cucina, pulisci), intrattenitore, disbrigatore di pratiche (INPS, bancarie, postali, municipali, ASL) che vive una vita che non è la sua perché si occupa di un familiare disabile. Molto spesso questo ruolo si trasforma in veri e propri “arresti domiciliari” perché l’assistenza latita, scarseggia o è inesistente e la possibilità di avere uno spazio vitale individuale resta una pia illusione.
Una proposta di legge gira per i Palazzi, una proposta risibile e offensiva per tutti quelli che ricoprono questo ruolo, ruolo che non si sono scelti, ma che sono costretti a svolgere perché non c’è alternativa. Appare evidente come nella formulazione di questa legge nessuno abbia veramente capito chi è e cosa fa un caregiver, qual è la mole di lavori usuranti che grava sulle sue spalle con grande rischio di salute fisica e mentale per chi non può permettersi di ammalarsi né di curarsi come gli altri. Come sempre, si fanno leggi dando per scontato, per sentito dire, non si cerca un confronto con i diretti interessati, magari si ascolta qualche associazione di “massa” senza rendersi conto che il meraviglioso mondo delle disabilità ha mille facce e sfaccettature, milioni di situazioni che non possono essere ridotte in poche righe dove si intuisce molto fumo e zero arrosto.
Allora mi sono detta: se per una fortunata combinazione potessi chiedere qualcosa di concreto a chi veramente può decidere e cambiare le cose, cosa chiederei? Ecco la lista della spesa del caregiver.

Queste sono alcune richieste che noi caregiver riteniamo importanti. Non saranno risolutive, ma possono essere un inizio, un modo per dimostrare che le cose si possono e si devono cambiare in meglio perché TUTTI abbiamo diritto a una qualità della vita dignitosa. Noi ci spendiamo quotidianamente con amore, dedizione e tanta fatica per chi nelle nostre case non ce la fa da solo, per chi ha bisogno di assistenza continua e dipende da noi interamente o in gran parte perché ha una disabilità. La disabilità non è una malattia, è una condizione e come tale deve essere considerata e trattata, fin dall’inizio.
A noi mancano le informazioni, le basi per chi improvvisamente si trova ad affrontare il problema di un disabile in famiglia e si dispera perché non sa dove chiedere e cosa chiedere. È necessario attivare, magari nei Municipi, uno sportello dedicato, non l’URP dove di disabilità non si sa nulla, ma proprio uno sportello ad hoc, con qualcuno che sia in grado di fornire tutte le informazioni necessarie per facilitare richieste di assistenza, visite mediche, pratiche INPS, tutto quello che riguarda le persone disabili, con la possibilità di farlo da casa, per telefono o telematicamente perché molto spesso la persona che si assiste non può essere lasciata sola. Lo sportello “dalla A alla Z” che permetta di informarsi e di attivare pratiche di ogni tipo in sinergia con INPS, ASL e Municipio. Nei paesi civili esiste.

La maggior parte di noi caregiver è donna e quasi tutte abbiamo dovuto lasciare il lavoro per occuparci dei nostri figli e congiunti disabili. Questo ha portato un crollo economico dei nostri bilanci, anche perché spesso siamo sole, con alimenti ridicoli, a sostenere oneri “privati” dal momento che l’offerta pubblica è pari a zero, soprattutto se parliamo di disabili adulti e dunque per far fare loro attività utili alla socialità, sport, attività di laboratori o ludiche, paghiamo tutto di tasca nostra e la pensione di invalidità, anche con l’accompagno, non arriva a coprire quasi nulla. Questo anche perché sull’assistenza domiciliare potremmo aprire un capitolo a parte in quanto i tempi sono sempre più ristretti, i tagli che negli anni si sono abbattuti sul welfare da parte di tutti i governi hanno formato una voragine e adesso le poche ore, che anche disabili gravi e gravissimi hanno, non bastano.

E sempre pensando al lavoro perduto, sarebbe il caso di aiutare le caregiver donne, soprattutto, a trovare un impiego, magari qualcosa da poter svolgere a casa, il famoso telelavoro che in Italia non è mai decollato, ma che nei Paesi civili va alla grande anche per categorie di lavoratori standard. L’istituzione di una “banca lavoro” dove le aziende mandano le loro richieste, magari a fronte di qualche vantaggio fiscale per chi assume, e da dove le caregiver possano attingere attraverso un coordinamento gestito da istituzioni e dirette interessate o loro rappresentanti. Questa sarebbe una soluzione non solo per l’aspetto economico, ma anche per dare a chi da molto tempo non si sente altro che un’appendice del proprio congiunto, la possibilità di svolgere un ruolo attivo e diverso dall’assistenza multiforme e alienante che la imprigiona. A questo scopo sarebbe un ulteriore passo avanti far entrare i caregiver nelle “categorie protette” ma non solo a parole e inserire l’attività di caregiver tra i lavori fortemente usuranti perché è universalmente noto che la nostra salute è fragilissima ed esposta a rischi molto maggiori rispetto a tutti gli altri. Inoltre, riconoscere gli anni di impegno come caregiver ai fini della pensione, in ragione di anni “veri e completi”, non con una ridicola elemosina di tre anni di contributi (3!!!) inseriti nella proposta di legge in corso di approvazione.

Vorrei anche suggerire, a proposito dei nostri figli, una legge sull’imprenditoria per disabili perché molti di loro sono perfettamente in grado di svolgere compiti, anche complessi, se messi nelle adeguate condizioni. Ripeto, la disabilità è una condizione, non una patologia e una diversa condizione non necessariamente nega la possibilità di essere parte attiva nella società, nel rispetto dell’Articolo 3 della nostra Costituzione. Così come esiste l’imprenditoria giovanile e quella femminile, attivare una legge per l’imprenditoria dei disabili. L’Italia è piena di iniziative meritorie, dai numerosi progetti di agricoltura sociale, a quelli di laboratori di cucina, pasticceria, sartoria, modelli, tutto però messo in atto solo da privati, con soldi nostri e faticosissime ricerche di fondi, sedi, permessi troppo spesso negati o procrastinati, addirittura negati da una burocrazia ottusa e dannosa.

Ecco, questo mi sembra il minimo sindacale per poter dire che si vuole fare qualcosa e per farlo, la condizione obbligata è far riferimento a noi, alle famiglie che portano questo peso immane perché soltanto noi possiamo parlare con cognizione di causa dei problemi che ogni giorno dobbiamo affrontare. È inutile parlare di “dopo di noi” se il “durante di noi” non esiste: senza il durante non ci può essere dopo e una Nazione civile ha il dovere di rendere dignitosa la vita di chi vive una diversa condizione e di chi li assiste. Siamo stanchi di giornate celebrative, di frettolose comparsate televisive che lasciano il tempo che trovano e servono solo per scaricarsi la coscienza di aver dato voce per pochi secondi a un problema gigantesco, di promesse elettorali perdute nel vento. Vogliamo fatti concreti perché le chiacchiere stanno a zero e noi siamo stanchi, vediamo passare la nostra vita come sabbia che ci scorre tra le dita inesorabilmente, mentre il tempo passa più velocemente di quanto sembri, lasciando dietro di se solo vuoto e silenzio.
Irene Gironi Carnevale

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