appello di 172 donne metalmeccaniche contro l'accordo del 28 giugno tra Confindustria e Cgil Cisl Uil: l'impossibilità di esprimersi col voto, la derogabilità dei contratti nazionali, la detassazione del salario di produttività...
A proposito dell’Accordo del 28 giugno 2011 tra Confindustria e Cgil Cisl Uil
LA LIBERTA’ NON E’ PIU’ NELLE NOSTRE MANI!
Siamo lavoratrici, delegate, sindacaliste metal meccaniche iscritte alla Fiom Cgil che, a partire dal seminario “ Fatica e Libertà” del 17 e 18 aprile 2008, insieme ad altre compagne, hanno dato vita a una rete di donne dentro il sindacato per allargare la rappresentanza e la democrazia in tutti i posti di lavoro, per far valere e contare nella politica sindacale e nella contrattazione la voce e il pensiero femminile.
Oggi sui posti di lavoro ancora troppo piccola e insufficiente è la presenza delle donne nelle rappresentanze elette, ancora minore in quelle nominate e negli organismi dirigenti dei sindacati.
A questa democrazia imperfetta abbiamo sempre opposto la pratica della democrazia della partecipazione e rivendicato il diritto a scegliere in ogni occasione e a far valere le ragioni per cui condividere o no un accordo, un contratto, una proposta sindacale.
Le assemblee, le riunioni, anche di sole donne , ci sono servite per far valere nelle sedi sindacali le nostre idee, anche quando i numeri e i criteri della rappresentanza non erano dalla nostra parte.
Il referendum, la possibilità di votare tutti, donne e uomini, è stato lo strumento attraverso cui esprimere liberamente il nostro giudizio conclusivo su richieste e intese che riguardavano le condizioni di lavoro e di vita.
L’accordo del 28 giugno tra Confindustria e Cgil, Cisl, Uil ci sollecita diverse obiezioni, in particolare non lo condividiamo su tre questioni fondamentali:
LA DEMOCRAZIA
Una RSU, magari composta di soli uomini, non può togliere alle lavoratrici il diritto di poter decidere su accordi che riguardano le loro condizioni di lavoro e che potrebbero peggiorarne la fatica, magari penalizzare la maternità o aumentare i differenziali di genere nei salari e nelle professioni.
Secondo le nuove regole del 28 giugno anche nei casi in cui le sole delegate in una RSU si opponessero ad un accordo contro le donne e discriminatorio, se non fossero la maggioranza, sarebbero poi costrette a far applicare tali accordi ( che in casi estremi potrebbero persino spingere le donne alle dimissioni); e neppure potrebbero promuovere azioni di lotta in seguito, per cambiarli.
L’accordo del 28 giugno quindi ci toglie uno spazio fondamentale di espressione e limita la possibilità di segnare con il nostro impegno il nostro presente e il nostro futuro.
Avremmo voluto, al contrario, un accordo interconfederale che difendesse e facesse avanzare forme di democrazia in cui le donne potessero riconoscersi e agire una pratica collettiva dal basso, alternativa e radicale com’è nel pensiero e nella tradizione delle donne.
Invece per effetto dell’accordo del 28 giugno per poter contare direttamente con un voto e il referendum, bisognerà “sperare” di avere nella propria fabbrica le RSA nominate dai sindacati e non elette dai lavoratori. Un ritorno indietro paradossale, che non favorirà certo il protagonismo delle donne.
Sappiamo bene, infatti, che dove prevalgono logiche di potere e legittimazione dall’alto (le nomine); gli spazi per la presenza femminile si restringono e anche le scarse donne presenti rimangono più spesso condizionate da fedeltà di schieramento che sorrette e legittimate da relazioni femminili.
INDEBOLIMENTO DEL CONTRATTO NAZIONALE E DEROGHE
“ I contratti collettivi aziendali - si legge nel testo dell’accordo‐ possono definire specifiche intese modificative con riferimento agli istituti del contratto collettivo nazionale che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro”.
L’intesa del 28 giugno così sancisce la supremazia della contrattazione di secondo livello, a scapito del contratto nazionale, che può essere modificato in peggio, quindi derogato.
I contratti nazionali sono ispirati a principi di solidarietà e fanno prevalere elementi di garanzia generale dei rapporti di lavoro, rispetto alla valutazione delle prestazioni individuali in funzione della produttività e competitività, che sono da sempre elementi penalizzanti per il lavoro delle donne (basta pensare ai tanti “premi presenza” aziendali che già oggi penalizzano maternità e lavoro di cura).
Derogare al contratto nazionale porterà ad ampliare le differenze e a mettere in difficoltà i più deboli o quelli che la logica della competizione globale e del massimo profitto, considera tali.
Questa scelta avviene inoltre in un momento storico in cui lo stato sociale viene brutalmente attaccato, i servizi diventano inesistenti, cancellato qualsiasi supporto sociale al lavoro di cura e familiare.
Gli effetti della deregolazione del sistema contrattuale sulla già precaria occupazione femminile in Italia, saranno devastanti.
SALARIO DI PRODUTTIVITA’
L’intesa enfatizza la detassazione del “ salario di produttività”, chiedendone l’ulteriore ampliamento ed estensione.
Non ci risulta che tale scelta discenda da una decisione congressuale e/o di un qualsiasi organismo dirigente della CGIL, né che sia uno strumento di equità fiscale.
Si sa, al contrario, che proprio nel cosiddetto salario di produttività nasce e si alimenta gran parte del differenziale salariale tra uomini e donne, a parità di mansione.
Come metal meccaniche abbiamo più volte denunciato ( nel 2008 anche insieme alle donne della FIM) gli effetti perversi della detassazione di queste voci della retribuzione sull’aumento delle discriminazioni salariali tra donne e uomini.
L’accordo del 28 giugno invece “santifica” questa pratica.
Nessuno ha sentito la necessità di confrontarsi con le lavoratrici, le iscritte, le delegate, le sindacaliste del settore industriale per valutare con loro gli effetti di quanto si andava a sottoscrivere, come era già avvenuto nel caso della firma sull'accordo dell' 8 marzo sulla conciliazione degli orari “tra lavoro e famiglia”!
Questa è un’ulteriore dimostrazione del vuoto di democrazia e dell’assenza di pratiche di relazione e riconoscimento fra donne oggi all’interno della CGIL, paradossalmente proprio in un tempo in cui il movimento delle donne riemerge con slancio.
Nella asfittica democrazia di organizzazione invece l’unico spazio che ci viene concesso oggi è quello di una consultazione ex post : prendere o lasciare, quella ex ante non va più di moda…
Anche in questa occasione in cui dobbiamo esprimerci su scelte che non hanno visto il nostro coinvolgimento scegliamo libertà e responsabilità che hanno sempre accompagnato la nostra esperienza e militanza sindacale
Per questo diciamo NO
a questo accordo sbagliato e dannoso
per riconquistare parola e democrazia nel lavoro
e dentro il nostro sindacato
Prime firmatarie:
Agliatis Donata (Frimont Milano);
Amarilla Marinella (Frimont Milano);
Amura Nunzia (Alenia Napoli);
Andreani Luisa (Italpresse, Bagnatica Bergamo);
Antonelli Rosalba (Sevel Atessa Val di Sangro);
Azzi Maria Rosaria (Frimont Milano);
Baioni Rosangela (P.s.e. Milano);
Barbieri Maria Teresa (Ansaldo Sistemi Industriali Milano);
Lascia un Commento