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La Liberazione e la partecipazione

La Liberazione e la partecipazione

Storia/ Intervista a Nadia Spano - Nadia Spano è stata una delle ventuno donne che hanno partecipato ai lavori della Costituente, contribuendo a redigere la Costituzione

Bartolini Tiziana Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2005

“Una mano con le unghie adunche spuntava da un polsino di una divisa tedesca e, ritraendosi lungo la penisola, lasciava solchi insanguinati. Sono passati 60 anni e l’immagine di quel manifesto è vivo nella mia memoria dopo la Liberazione e alla vigilia del referendum che avrebbe decretato la nascita dello Stato italiano”. Nadia Spano, classe 1916, è sintesi mirabile tra la forza della Storia e la modernità della lungimiranza. E’ stata una delle ventuno donne che hanno partecipato ai lavori della Costituente, contribuendo a redigere la Costituzione. La incontriamo alla vigilia del 25 aprile nel suo appartamento romano mentre si accinge a partire per la Sardegna.
Lei arrivò a Napoli nel marzo del 1944. Cosa ricorda di quel periodo?
Togliatti mi affidò la responsabilità del lavoro femminile con gli obiettivi di gettare le basi per una organizzazione di massa delle donne (l’UDI) e di fare un giornale, riprendendo quel “Noi Donne” che aveva avuto origine in Francia negli anni Trenta tra le emigrate antifasciste e le donne che avevano costituito il Comitato internazionale contro il fascismo e la guerra. Insieme a tante altre, tra cui Rosetta Longo, Marisa Rodano, Rita Montagnana, Giuliana Nenni, avviammo un grande lavoro tra le donne.
Le donne furono oggetto di un’attenzione specifica, dunque...
Bisogna mettere in rilievo che la Liberazione è stato un grande avvenimento in cui gran parte della popolazione si sentì direttamente coinvolta. Le forze alleate arrivavano, città per città, dopo che i partigiani le avevano liberate. Così è stato per Roma, per Napoli e per Firenze. Gli italiani non solo non sono stati passivi, ma sono stati capaci di organizzare un movimento che ha coinvolto una grande parte della popolazione senza la quale non sarebbe stato possibile fare la Resistenza. Questo è un elemento importante da valorizzare e tenere presente. In questo contesto le donne, e non solo le staffette e le partigiane, diedero un contributo importante. Vi furono sostegni diffusi nella società che furono di grande aiuto alla Resistenza, penso ad esempio alle suore. Ci sono delle testimonianze di partigiani che sapevano di poter trovare nei conventi possibilità di rifugio e che davano in cambio cibo per i bambini assistiti. Un altro lavoro importante fu fatto dai gruppi di difesa delle donne, che ai vari livelli organizzavano anche delle conferenze di educazione politica (non partitica) per le donne, lavoro che si rivelò molto importante poi per il voto al referendum tra Repubblica e Monarchia.
Cosa pensa della richiesta odierna di riabilitare i repubblichini di Salò?
Certo la Liberazione è stata anche una resa dei conti con i dirigenti della Repubblica di Salò sulla base di una condanna del Comitato di Liberazione Nazionale, che in quel momento rappresentava lo Stato in un Paese distrutto, e che aveva una legittimazione derivante dal rispetto popolare e dalla pluralità della rappresentanza al suo interno. Dunque non ci furono vendette di regime, ma sentenze e poi, subito dopo la Liberazione con l’amnistia si è voluto subito pacificare l’Italia. Si può anche capire che i giovani che andarono con la Repubblica di Salò furono ingannati o vittime di ragioni morali o patriottiche, ma dopo 60 anni un giudizio storico va dato e non possiamo dimenticare o sottovalutare che, se oggi tutti possono parlare liberamente, è perché c’è stata la Resistenza che ha dato libertà di parola anche a loro.
Tornando alle donne. Quale era il clima per loro sessanta anni fa?
Tutti si aspettavano un cambiamento reale e quindi la Costituente interpretò anche questo sentire comune. Le donne volevano da una parte un ritorno ad una vita normale, con le famiglie e la tranquillità, ma allo stesso tempo si aspettavano dei cambiamenti rispetto alla loro condizione di prima della guerra. Il 2005 è anche una tappa importante: sessanta anni del voto alle donne in Italia e ricordo che da parte dei partiti fu un riconoscimento unanime in forza dei meriti acquisiti durante la guerra, cioè l’aver retto l’intelaiatura della società in anni cui gli uomini erano assenti. Noi abbiamo accettato questa impostazione, anche se avremmo dovuto affermare invece il principio del diritto naturale. Tutta la propaganda elettorale per l’assemblea costituente e per il referendum si rivolgeva alle donne che dovevano votare per il prigioniero o per il bambino, per la saggezza amministrativa, cioè sempre per gli altri. Nessun richiamo mai era al diritto di per sé. Va detto, accanto a questo, che le donne su alcune questioni erano guardinghe. Ad esempio vedevano negli americani il pericolo che importassero il divorzio. Per loro in quegli anni, anche se nel ricongiungimento delle famiglie talvolta si ritrovavano due estranei, le donne vedevano la unica possibilità di conservare uno status e di evitare una condizione di povertà.
Per le donne andare al voto fu importante perché, mentre a sinistra si diceva ‘mia moglie vota come dico io’ e nelle parrocchie il prete ammoniva ‘Dio ti vede tuo marito no’, nella cabina elettorale le donne per la prima volta hanno scelto, di dare la fiducia o magari anche da chi farsi influenzare, ma hanno scelto. Sono state libere.
Quale secondo lei il valore del 25 aprile da tramandare ai giovani?
La partecipazione. Per tanti anni con il fascismo e il nazismo, che in una fase sembravano poter essere vincenti, a tutta una generazione è stato precluso il poter partecipare. Poi con la Liberazione si è capito (e anche le donne lo hanno capito) che non si poteva stare a guardare e il valore della Resistenza è che si è organizzata senza che ci fosse un ordine, una direttiva dell’alto. Ognuno, ognuna ha fatto quello che poteva, laddove si trovava. Io mi ribello quando alcuni dicono che i giovani di oggi non sarebbero capaci di fare quello che abbiamo fatto noi. Lo farebbero se si trovassero di fronte alla stessa sfida. Penso che sarebbe un disastro se si dovessero trovare oggi di fronte a quella situazione, perché significherebbe che non abbiamo fatto nulla e che siamo ripiombati in un periodo così oscuro. Oggi la partecipazione delle sfide altrettanto gravi. Diverse. Non c’è bisogno di prendere il fucile, ma forse i libri della scienza, dell’economia. Oggi siamo di fronte ad una situazione che va peggiorando...
... intende economicamente?
Non solo. Siamo di fronte a nuove forme di autoritarismo, come ad esempio quello di fare una guerra preventiva. Vi sono concrete possibilità di ritorno all’indietro e le sfide odierne riguardano non la vita un partigiano, ma l’esistenza di intere popolazioni che muoiono di fame o che non sanno se domani potranno avere l’acqua o che sono inghiottiti a centinaia di migliaia da un maremoto.
La lezione del 25 aprile è che ognuno, nel campo in cui si trova, partecipi, cerchi di capire e di scegliere.
La pace in quegli anni era un valore, e oggi?
Si, era molto sentito e si è prolungato anche dopo. Ricordo le grandi raccolte di firme degli anni ’50. La pace è un bene eterno ed universale e oggi mi pare minacciata da rapporti poco chiari tra nazioni e dagli scontri tra civiltà diverse, che poi invece dovrebbero chiamarsi civiltà umane perché sono tali e ognuna ha dato un contributo all’umanità. I giovani, abituati a viaggiare e a scambi culturali, sentono il problema anche perché ritengono assurdo immaginare di prendere il fucile per uccidere quel ragazzo che è stato o potrebbe essere un compagno di università o di lavoro.
Quale la sua opinione della riforma costituzionale approvata dal Parlamento?
E’ uno scempio e non è una riforma, perché la maggioranza di centrodestra è intervenuta come se si dovesse modificare una legge qualsiasi, calpestando il principio alla base della convivenza civile della Repubblica: la Carta Costituzionale deve essere condivisa perché tutto il Paese deve sentirla sua. Inoltre trovo grave che manchi il bilanciamento dei poteri, che non ci sia la difesa delle minoranze e delle opposizioni e contemporaneamente ci sia una forte concentrazione dei poteri nel premier. Ai giovani bisogna dire che studino la Costituzione, che riflettano e che poi scelgano.

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