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La lenta verità del mondo

La lenta verità del mondo

Poesia / Carol Ann Duffy - Una lingua scarna ed essenziale, dai toni spesso ironici, disincantati, colloquiali

Benassi Luca Martedi, 08/09/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2009

Nel 1668, in Inghilterra, il re Carlo II istituì la figura del poeta laureato del Regno. Per secoli l’incarico di poeta laureato è durato tutta la vita. Dal 1999, però, la durata è stata ridotta a 10 anni. Ai poeti reali spetta un assegno annuale di 5700 sterline e una botte di Sherry della Canarie (l’equivalente di circa seicento bottiglie di Jerez). Il loro compito consiste essenzialmente nel comporre versi in occasione di particolari celebrazioni della casata reale. Dalla sua istituzione la figura del poeta laureato è sempre stata ricoperta da un uomo. Il 1 maggio 2009, la regina Elisabetta II ha nominato una donna, la cinquantatreenne Carol Ann Duffy che succede nella carica di ‘poet laureate’ ad Andrew Motion. La Duffy fu sul punto di essere insignita della prestigiosa carica già nel 1999, dopo la morte di Ted Hughes, ma poi le fu preferito il collega Andrew Motion. Il Sunday Times, citando fonti ufficiose di Downing Street, affermò che l’allora Primo Ministro Tony Blair era “preoccupato di avere un poeta laureato omosessuale perché la cosa poteva non essere capita dall’Inghilterra profonda”. Le cose, in dieci anni sono evidentemente cambiate: con la Duffy si tratta della prima donna, la prima scozzese e la prima persona dichiaratamente bisessuale a ricoprire questa carica. Il Premier inglese Gordon Brown ha reso omaggio “al primo poeta laureato del ventunesimo secolo e quindi alla prima donna ad occupare questo incarico”. La neo-poetessa reale ha commentato: “sono felicissima e credo che questa nomina riconosca il modo in cui le donne hanno cambiato il mondo della poesia nel corso degli ultimi quarant’anni. È per questo motivo che ho accettato”.

Carol Ann Duffy (Glasgow, 23 dicembre 1955) si laurea, nel 1977, in filosofia all’Università di Liverpool, dove è influenzata dal poeta Adrian Henri. Fin dalla sua prima raccolta di poesie, ‘Standing female nude’ (1985), la Duffy dà voce a personaggi di emarginati, un tratto che rimane tipico della sua poetica che riflette la perdita, il senso di spaesamento derivato dallo sradicamento dalle sue origini scozzesi, del tempo che fugge con il passare dell’infanzia e dell’adolescenza. All’amore, alla memoria e alla fiducia nel linguaggio sono affidati la costruzione dello sguardo poetico sul reale, con una lingua scarna ed essenziale, dai toni spesso ironici, disincantati, colloquiali. Nelle raccolte ‘The World’s Wife’ (1999) e ‘Feminine Gospel’ (2002) la poetessa riflette sulla condizione femminile nella storia e nella società contemporanea, smaschera e demistifica gli stereotipi maschili, destrutturando il linguaggio, i contenuti e i modi attraverso i quali gli uomini hanno rappresentato la donna come oggetto e non come soggetto culturale. Nel 2005 pubblica ‘Rapture’ (con il quale vince il T. S. Eliot Prize), una serie di poesie più intime che descrivono l’evolversi di una storia d’amore. Dal 1996 insegna poesia alla Metropolitan University di Manchester. Carol Ann Duffy è anche una drammaturga, autrice di testi musicali e di libri di poesia per l’infanzia. Fra le sue opere teatrali si segnalano ‘Take My Husband’ (1982), ‘Cavern of Dreams’ (1984), ‘Little Women, Big Boys’ (1986), ‘Loss’ (1986), ‘Casanova’ (2007).

La Duffy ha dichiarato che donerà il compenso in denaro come ‘poet laureate’ alla Poetry Society. Sullo Sherry però non transige: poiché il suo predecessore non ha ancora ricevuto il suo, la poetessa ha chiesto in anticipo la botte che le spetta.







Nudo di donna in posa



Sei ore così per pochi franchi.

Ventre tette culo alla luce della finestra,

mi succhia via il colore. Ancora un po’ a destra,

Madame. E prova a star ferma.

Sarò rappresentata analiticamente e appesa

in musei importanti. I borghesi rimarranno di stucco

davanti a un’immagine così di una puttana di fiume. La chiamano Arte.



Sarà. Lui si preoccupa del volume, dello spazio.

Io, del prossimo pasto. Stai dimagrendo,

Madame, così non va bene. I miei seni sono

un po’ calati, lo studio è freddo. Nei fondi del tè

vedo la Regina d’Inghilterra che osserva

le mie forme. Magnifica, mormora

passando oltre. Mi viene da ridere. Lui si chiama



Georges.* Mi dicono che sia un genio.

Certe volte non riesce a concentrarsi

e si indurisce al mio calore.

Mi possiede sulla tela mentre affonda il pennello

più volte nei pastelli. Che piccolo uomo,

non hai i soldi per le arti che vendo io.

Tutti e due poveri, ci guadagniamo il pane come possiamo.



Gli chiedo Perché lo fai? Perché

devo. Non c’è altra scelta. Basta chiacchiere.

Il mio sorriso lo confonde. Questi artisti

si prendono troppo sul serio. Di notte mi sazio

di vino e ballo attorno alle sbarre. Quando è finito

me lo mostra orgoglioso, s'accende una sigaretta. Dico

Dodici franchi e prendo lo scialle. Non sembro neppure io.



*Riferimento al pittore cubista francese Georges Braque (1882-1963).







Magari



Che succederebbe se, sul viscido suolo, gli arti

le si riscaldassero, si spostassero, s’agitassero, e a calci

sollevassero lo strato della terra, i cormi sonnacchiosi,

i vermi sornioni, se le braccia si allungassero

ad afferrare la lapide, le sue date incise

sotto il pollice, e la tirassero su? Magari.

I piedi nudi che camminano sul sentiero di ghiaia

tra le tombe, il sudario come bucato

buttato sull’erba, i petali della corona

omaggiati dal bacio alla sposa. Non è morto nessuno. Non

ha pianto nessuno. Nessuno ha dormito se non destato

dalla luce. Se solo potessi spalancare questa pesante porta

lei sarebbe lì nel sole, sporca, stanca,

a chiedersi perché grido, perché corro.







Estasi



Nei tuoi pensieri tutto il giorno, tu nei miei.

Gli uccelli cantano al riparo di un albero.

Al di sopra la preghiera della pioggia, un blu sterminato,

non il paradiso, che non va da nessuna parte, senza fine.

Perché mai le nostre vite si allontanano

da noi stessi, mentre rimaniamo intrappolati nel tempo,

in fila verso la morte? Sembra che nulla possa mutare

lo schema dei nostri giorni, alterare la rima

data da lutto in assonanza con diletto.

Sopraggiunge l’amore, come un volo lesto di uccelli

dalla terra sino al paradiso dopo la pioggia. Un tuo bacio,

rievocato, sfila, come fossero perle, questa catena di parole.

Cieli immensi ci congiungono, unendo qui a lì.

Desiderio e passione nell’aria che pensa.





(8 settembre 2009)

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