La legge sui reati ambientali diventa finalmente realtà
Parliamo di Bioetica - La legge approvata presenta luci e ombre che, però, non oscurano l’indubbio passo in avanti a favore della lotta contro chi pone in serio pericolo
Alberto Virgilio Domenica, 05/07/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2015
“Che una specie ne distrugga un’altra si può forse ritenere parte dell’ordo rerum, ma che una specie distrugga e consumi regolarmente se stessa è privilegio dell’uomo”. Nelle parole significative e forti di Giacomo Leopardi si legge il destino dell’uomo, poco lungimirante, che sacrifica all’altare del contingente la sua dignità e, soprattutto, il futuro dell’umanità. Proprio per questa ragione, in particolare, diventa di stretta attualità il rapporto uomo-ambiente, non solo come logos per gli ecologisti, ma come punto di partenza per recuperare precipitosamente il giusto equilibrio e la qualità della vita come diritto di ogni essere vivente.
La soluzione del problema trova, in linea di principio, risposta nell’obiettivo di tutelare l’ambiente con strumenti opportuni. In questi termini, è basilare far riferimento ad un reticolato normativo che parte dalla Costituzione e, in ottemperanza dei valori in essa espressi, giunge alle norme ordinarie. In sostanza, individuata l’accezione tecnico-giuridica del bene ambiente, è necessario predisporre gli strumenti che garantiscano la protezione di tale valore.
Il tema diventa scottante in quanto il concetto di “ambiente” non può essere scisso da quello di “salute”: quest’ultimo, infatti, rappresenta l’elemento chiave che, giuridicamente, può motivare ancor più l’esigenza di una tutela sul piano sostanziale. Sul punto ci viene in aiuto il combinato disposto degli artt. 9 e 32 della Costituzione, in cui la prima norma richiamata costituisce la premessa che troverà conferma e sviluppo nella seconda. In particolare, nell’art. 9, il riferimento alla tutela del paesaggio deve intendersi non solo nell’accezione più ampia di beni ambientali, ma anche come concetto in cui rientrano tutti gli aspetti relativi al rapporto uomo-natura. Nell’art. 32, invece, vengono alla luce due aspetti, il diritto e l’interesse - distinti ma coordinati tra loro - da cui discende il corollario che individua nella salute un valore supremo e che riconosce, consequenzialmente, all’individuo il diritto a vivere in un ambiente per quanto possibile salubre. L’ambiente, dunque, è un bene culturale da proteggere al pari delle opere artistiche e dei monumenti storici. Tale concetto si evince inconfutabilmente dall’art. 18 d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42.
Tuttavia, per ottenere una risposta concreta alla progressiva distruzione del bene ambiente, occorre predisporre sanzioni più drastiche e strumenti adeguati che garantiscano una migliore difesa nei riguardi di quelle attività criminali che, mediante un business costruito sull’illegalità e l’inciviltà, danneggiano irrimediabilmente la natura - facendo scempio del territorio nazionale - e calpestano la salute e la dignità dell’individuo. Per raggiungere tali obiettivi è necessario non solo prevedere nuove ed efficaci figure di reato che contrastino l’inquinamento e il disastro ambientale, ma occorre soprattutto che tali fattispecie vengano consequenzialmente inserite nel codice penale.
Lo scenario dianzi descritto, particolarmente auspicato non solo dagli ambientalisti, ma anche da tutti coloro che confidano in una risposta concreta nei confronti dei crimini ambientali a danno della salute, ha trovato cittadinanza nel d.d.l. Ecoreati.
Un disegno di legge contraddistinto da un lungo e travagliato iter approvativo, nonostante l’insolita convergenza di intenti tra le distinte fazioni politiche: un aspetto raro che, però, rafforza l’idea di quanto la questione “ambiente” sia stata avvertita a livello nazionale. Il buon senso ha prevalso e il d.d.l. da crisalide ha completato (finalmente!) la metamorfosi, trasformandosi in legge (170 voti favorevoli; 20 contrari e 21 astenuti).
Sotto il profilo tecnico, la legge presenta, prevedibilmente, luci e ombre che, però, non oscurano l’indubbio passo in avanti a favore della lotta contro coloro - in primis, la criminalità organizzata, c.d. ecomafia - che, mediante condotte illecite, pongono in serio pericolo la salute pubblica. Attraverso la nuova normativa, inserita nel libro II del codice penale dopo il titolo VI (VI-bis “Dei delitti contro l’ambiente”), i crimini contro l’ambiente non sono più oggetto di tutela per via riflessa e cioè in riferimento ad una conseguenza dannosa nei riguardi di un soggetto, ma rappresentano, in virtù della loro natura antigiuridica, un’attività illecita da contrastare direttamente, prescindendo dagli effetti, senza dubbio nocivi, sull’ecosistema e sugli esseri umani. Si tratta, in sostanza, più che di una sorta di eco-giustizia, di un atto dovuto di civiltà prima ancora che giuridico.
Per quanto concerne le nuove fattispecie introdotte con gli artt. 452 bisc.p.e seguenti, segnaliamo in particolare l’inquinamento ambientale; il disastro ambientale; traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività; impedimento del controllo; omessa bonifica; la confisca, in ipotesi di condanna, delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che servirono a commettere il reato; il ravvedimento operoso (pensato soprattutto in considerazione delle prevalenti attività illecite svolte dalla criminalità organizzata), che comporta come “premio” la diminuzione della pena dalla metà a due terzi nei riguardi di coloro che si adoperano per scongiurare conseguenze più gravi. Quest’ultimo aspetto sollecita una riflessione. Premesso che l’istituto in esame risulta perfettamente in linea con l'idea di un diritto penale di natura premiale, cioè volto a bilanciare il contributo alla causa (giudiziaria) mediante un notevole alleggerimento della propria posizione sul piano processuale, tuttavia, non posso esimermi dal ritenere comunque eccessiva l’entità del beneficio e dal nutrire, in particolare, seri dubbi sull’ampia discrezionalità nell’applicazione definitiva della pena lasciata all’autorità competente. Forse sarebbe stato più opportuno prevedere una riduzione della pena già determinata e, dunque, nota in origine. Inoltre, l’istituto, in punto di metodo, riporta, purtroppo, la mente al fenomeno del “pentitismo”, fortemente ispirato al cinico assunto che “il fine giustifica i mezzi”. Una sorta di purificazione giuridica, un salvacondotto per chi inquina, che contrasta, in linea di principio, con il monito che si legge (o dovrebbe leggersi) nelle aule dei Tribunali e che recita “la legge è uguale per tutti”.
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