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La guerra, l’embrione e l’ordine cristiano

La guerra, l’embrione e l’ordine cristiano

La Chiesa - Da Agostino a Papa Francesco la vita e la morte secondo la Chiesa nei secoli

Stefania Friggeri Domenica, 09/06/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2013

Qualche tempo fa, spinti da opportuna resipiscenza, i “telespettatori cattolici” hanno ritirato la querela nei confronti di Corrado Guzzanti reo di avere offeso i sentimenti dei fedeli: Guzzanti, nei panni di un chierico, risponde con velenosa franchezza e cinismo alle domande che una voce gli pone intorno ai temi “sensibili”. La satira, fra gli altri punti, tocca il tema della sacralità della vita “dal momento del concepimento alla nascita”. E dopo?… “Di quel che accade dopo - risponde il ‘prete’ Guzzanti - non me ne importa niente”. E invece sul “non uccidere” la Chiesa ha riflettuto intensamente, anzi nei primi tempi i vescovi avevano incoraggiato i cristiani a dimettersi dal servizio militare. Il tema della guerra infatti ha sempre interrogato lo spirito cristiano ed è stato Agostino a dichiarare: “si fa la guerra per raggiungere la pace”, parole ripetute dai guerrafondai di ogni epoca ma che vanno contestualizzate: “Agostino parla qui da vescovo, ossia da autorità con responsabilità civili e politiche in un’età in cui la pressione dei barbari sui territori dell’impero romano si è fatta incombente” (M.T. Fumagalli Beonio Brocchieri). Anche a Norimberga i criminali nazisti si sono difesi con le parole di Agostino: “Un soldato che uccide per obbedire alla legittima autorità non deve temere la punizione”. Nasce così il concetto di “guerra giusta”, “dovuta all’invasione del nemico, sotto il comando di un’autorità legittima, esente da atti di vendetta, crudeltà e saccheggi” (ivi), un concetto che verrà esteso fino a giustificare la guerra che “allarga i confini del regno di Cristo”, vedi la reconquista della Spagna musulmana, le Crociate in Terrasanta e la conquista dell’America. Imprese la cui distanza dal nostro mondo non è solo temporale, ma profondamente culturale e nel modo di sentire. Dice infatti del cavaliere crociato Bernardo di Chiaravalle: “Con serenità uccide con serenità muore”, famosa poi è la scena del massacro in Gerusalemme conquistata: “percorsero strade e piazze uccidendo indistintamente tutti gli infedeli senza riguardo a età o rango…inondando di sangue le strade…Poi deposero le armi, si cambiarono le vesti, si lavarono e camminando a piedi nudi con cuore umile, gemendo, piangevano con devozione”. Frutto della guerra giusta anche il genocidio degli indios, legittimato sia dalla provvidenziale conversione dei nativi, sia dalla convinzione che fosse giusto muovere guerra contro popoli primitivi che non sapevano, né si preoccupavano, di sfruttare le risorse naturali a loro disposizione (teoria poi ripresa a giustificazione delle imprese coloniali). Nella Chiesa però non sono mancate mai le voci di dissenso, minoritarie e spesso perseguitate, anzi l’orrore per i disastri economici e morali provocati dalla guerra, anche per effetto di armi sempre più micidiali, porta a rivisitare il concetto di guerra giusta; anche se, rivendicando a sé il compito di guida dell’umanità, la Chiesa avrà una posizione oscillante verso le Nazioni Unite nate dopo il massacro della prima guerra mondiale. Il peso della storia infatti sempre influisce sui temi mondani: vedi Pio XI che, pur apertamente ostile al nazionalismo, giudica l’aggressione all’Etiopia una “intrapresa per assicurare la sicurezza materiale al paese”; o Pio XII che, individuato nel comunismo un pericolo incombente per la cristianità, benedice la vittoria di Franco (“I disegni della Provvidenza si sono manifestati ancora una volta sull’eroica Spagna”) e durante la Seconda Guerra Mondiale, di fronte allo scenario inedito di una devastazione senza precedenti e delle persecuzioni di massa, usa parole giudicate inadeguate da molti fedeli. Finalmente, nel clima del Concilio Vaticano II, Papa Roncalli, pur ostile al comunismo, rifiuta l’idea di crociata ed invita la cristianità ad aprirsi alla “ricerca di un contatto il più diretto possibile con gli uomini di buona volontà” (Martini). E la sua “Pacem in terris”(1963) definisce la guerra “alienum a ratione” ed esorta a porre fine alla corsa agli armamenti. Con la “Populorum progressio” il successore, Paolo VI, accogliendo il bisogno di libertà e progresso del Terzo Mondo, dichiara: “Sviluppo è il nuovo nome della pace”. Contraddittoria la figura di Papa Wojty³a, che si attiva per liberare la sua Polonia dal comunismo e giustifica la “guerra umanitaria” in Jugoslavia, ma poi si schiera con passione e durezza contro la Guerra del Golfo. Quanto a Ratzinger, la sua visione pessimistica di un’umanità corrotta (che vuol dire divorzio, eutanasia e aborto) lo induce a predicare che l’umanità può costruire la pace solo abbracciando i principi morali della Chiesa. Ora vedremo se anche per papa Francesco i ginecologi obiettori sono da considerare pacifisti. Ma è facile osservare che l’ordine cristiano presente per secoli non ha garantito la pace e che tuttora l’Italia, portaerei naturale delle guerre per difendere gli interessi dell’Occidente, è fra i maggiori produttori di armi tecnologicamente avanzate. E questo quando ormai “il potere dell’uomo sulla natura inquieta l’uomo stesso, perché il suo potere di fare è enormemente superiore al suo potere di ‘prevedere’ e di ‘governare’ la propria storia” (Umberto Galimberti). Ovvero: poiché la modernità ci chiama a governare un potere sulla vita fino a ieri inimmaginabile, le donne più che ai teologi che discettano sulla procreazione eterologa, siano riconoscenti a Pax Christi che denuncia la follia criminale delle armi di distruzione di massa.





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