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La geografa della speranza

La geografa della speranza

Uruguay/ Desaparecidos - Il nuovo governo del Paese sudamericano vuole rendere giustizia alle vittime del precedente regime totalitario

Angelucci Nadia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2005

Il primo marzo Tabarè Vàzquez, medico oncologo, originario di uno dei quartieri più umili di Montevideo, leader del Frente Amplio-Encuentro Progresista-Nueva Mayorìa, ha assunto ufficialmente l’incarico di Presidente della Repubblica del piccolo paese sudamericano, a capo di maggioranza, per la prima volta in 174 anni di vita della Repubblica Orientale del Uruguay, di centro sinistra.
La giornata è stata una grande festa popolare iniziata a mezzanotte con fuochi d’artificio e proseguita per più di 24 ore con cerimonie, cortei e un vero e proprio bagno di folla per il nuovo Presidente, alla presenza dei suoi cittadini e dei capi di stato dei maggiori paesi del sudamerica: Lula per il Brasile, Lagos per il Cile, Chavez per il Venezuela, Kirchner per l’Argentina. Ma è stata anche, e soprattutto, la giornata degli impegni; Vàzquez, dalla scalinata del Palazzo del Parlamento, ha rivolto il suo primo discorso ufficiale alla nazione tracciando le linee guida del suo governo e indicando le priorità. Ha parlato dettagliatamente di tutti i provvedimenti da prendere in ogni Ministero, focalizzando l’attenzione sul Piano di Emergenza Sociale che, ha detto, è una misura per restituire, prima di tutto, ai più poveri di questo paese quello che hanno perduto e che sarà coordinato da un Dicastero ad hoc la cui incaricata è Marina Arismendi, segretaria del Partito comunista uruguayano. Ha elencato poi, a sostegno delle sue parole, le cifre della povertà in Uruguay: la percentuale delle persone povere che è passata dal 18% del 2000 al 31% del 2003; l’incidenza dell’indigenza sulla popolazione infantile da 0 a 5 anni che era il 41% nel 2000 e si è trasformata drammaticamente nel 57% nel 2003; la caduta dell’indice di Sviluppo Umano del paese dal 37° posto nel 2000 al 46° del 2003; l’incremento del debito che è passato dal 8 milioni e 500 mila dollari del 1999 a 13 milioni e 500 mila dollari del 2004; il quasi dimezzamento della produzione di beni e servizi, da 21 milioni di dollari del 1999 al 13 milioni del 2004. Un discorso molto appassionato quello del Presidente che non ha voluto nascondere le difficoltà di attuazione del suo programma e che ha chiesto ai cittadini di non lasciar solo il Governo. Un discorso che è stato concluso, con un’enorme sorpresa per gli uruguayani, con un riferimento chiaro e forte al tema dei diritti umani, dei reati di lesa umanità e di sparizione di persone durante la dittatura (1973-1985). L’argomento, infatti, per quanto sentito dalla popolazione, è molto controverso e, all’interno delle stesso Frente Amplio, Encuentro Progresista, Nueva Mayorìa, ci sono posizioni differenti; molti preferirebbero non riaprire questo tema così duro della storia uruguayana a cui ha messo praticamente fine la Legge di Caducità della Pretesa Punitiva dello Stato, votata dal primo Parlamento post dittatura, e che ha funzionato, soprattutto per volere dei precedenti Presidenti, come una specie di amnistia generalizzata. Tabarè Vàzquez ha promesso che, muovendosi all’interno di quanto gli è permesso dalla Legge di Caducità, darà impulso alla ricerca sulla sorte dei cittadini desaparecidos avvalendosi della collaborazione di un gruppo di ricercatori universitari che, utilizzando delle foto aeree, ha comprovato dei movimenti di terra sospetti in alcune caserme che durante la dittature militare sono state teatro di detenzioni e torture.
“Nunca màs, mai più - ha concluso Vàzquez - è fondamentale saldare quanto prima e nel miglior modo questa macchia del nostro passato e lo faremo”.






Ofelia Gutiérrez, geografa, lavora nel Dipartimento di Geografia e Scienze Ambientali della Facoltà di Ingegneria e non si sarebbe mai aspettata di essere nominata nel discorso inaugurale del nuovo Presidente. Ofelia è una delle integranti del gruppo di esperti che, utilizzando foto aeree realizzate dalla Municipalità di Montevideo dal 1945 al 2000, ha trovato evidenze di movimenti di terra non abituali e non giustificati nella Caserma “Batallon 13” dove si suppone ci sia, o ci sia stato, un cimitero clandestino di prigionieri politici desaparecidos. E’ la prima volta che si usa un metodo come questo applicandolo alla ricerca di cimiteri clandestini. Il neopresidente uruguayano Tabaré Vàzquez, nel suo discorso di insediamento, si è riferito direttamente al lavoro di questi universitari, dichiarando che per il nuovo Governo di centrosinistra sarà una priorità affrontare questo tema e permettere l’ingresso, fino ad ora impedito, a questi studiosi nelle caserme “Batallon 13” e Batallon 14”.
Come è cominciata tutta questa storia? Come mai il vostro gruppo si è trovato ad investigare su questo caso? Chi ha avuto l’idea?
L’inizio di questa storia è, in un certo senso, comico. Alejandro Recarey, giudice supplente nel giudizio sul caso di sparizione della cittadina uruguaya Elena Quinteros (maestra e militante di sinistra fu sequestrata nel 1976 da agenti uruguayani e mai più ritrovata), vede in televisione, su Discovery Channel, un programma sulla ricostruzione di famosi casi giudiziari risolti grazie a differenti tecniche scientifiche e, in particolare, al ritrovamento di cadaveri studiando movimenti di terra. Qualche tempo dopo convoca un team di persone tra cui me, Daniel Panario professore di geomorfologia e Elisabeth Onega antropologa e ci chiede se sarebbe stato possibile, a distanza di trenta anni dalla sparizione della Quinteros, fare un lavoro simile sul “Batallon 13” l’ultimo posto dove, secondo testimonianze, è stata vista Elena Quinteros. Abbiamo detto al giudice che ciò era possibile e abbiamo cominciato a lavorare con le foto aeree, dato che i militari impediscono l’accesso alla Caserma.
È stato difficile accedere alle foto?
No, assolutamente. Prima di tutto perché c’era un ordine giudiziario. Le foto che abbiamo analizzato vanno dal 1945 al 2000 e sono foto realizzate dal Comune, con una particolare macchina fotografica montata su aerei che, guarda caso, appartenevano ai militari. Lo stesso esercito ha nei suoi archivi la stessa collezione di foto; abbiamo chiesto conferma e ci hanno risposto che è così.
Che evidenze avete trovato in questo primo studio?
Abbiamo effettuato uno studio molto preciso sulle abitudini e le pratiche più comuni della caserma e le abbiamo incrociate con delle evidenze di movimenti di terra. Purtroppo è chiaro, e nel libro che riporta l’intero studio lo abbiamo spiegato dettagliatamente, che ci sono stati, nei periodi delle sparizioni e poi nel primo periodo di transizione democratica, movimenti di terra sospetti; sospetti nel senso di atipici e non spiegabili secondo una logica. Abbiamo incrociato questi dettagli con le testimonianze che avevamo a disposizione, soprattutto dichiarazioni che ex militari hanno fatto negli anni passati, e abbiamo indicato quelli che sono, secondo noi, i siti più probabili.
A parte il Comune, che vi ha fornito le foto, chi altro vi ha aiutato?
All’inizio è stato difficile. La questione era molto delicata e se avessimo sbagliato qualcosa sarebbe stato un discredito enorme, così c’era molta diffidenza intorno a noi. Anche le organizzazioni di diritti umani volevano tenersi fuori da questa storia per non rimanere male, nel caso in cui le cose non avessero preso la piega che poi, invece, hanno preso. Adesso invece, proprio in questi ultimi giorni, dopo il discorso del Presidente, stiamo ricevendo molte proposte di collaborazione, anche di privati cittadini che ci vengono a raccontare cose che hanno visto; ci dicono “Io so questa cosa, per tanti anni me la sono tenuta dentro ma mi costava, ora finalmente posso raccontarla a qualcuno.” In un certo senso questa cosa sta funzionando anche come uno sfogo collettivo, un processo di partecipazione della società civile.
C’è stato qualche momento in cui avete avuto paura o vi siete sentiti minacciati?
Direi di no, non so se per incoscienza. Ci sono state delle volte, ad esempio, in cui mi sembrava di avere il telefono controllato; allora ne approfittavo per mandare messaggi a chi, secondo me, lo stava controllando, dicendo “Un esercito democratico come il nostro sicuramente collaborerà e si lascerà dietro questi anni così bui…”. Non so se il messaggio è arrivato…
Dove eri quando il Presidente vi ha citati nel suo discorso e come ti sei sentita?
Ero a casa, appena tornata dal lavoro. In realtà ero passata in taxi sulla piazza del Parlamento e avevo lasciato il mio collega li’…ero molto stanca. Ho seguito il discorso in televisione; all’inizio ero un po’ delusa; i minuti passavano e non c’era nessun accenno al tema dei diritti umani. Poi è venuto il riferimento così diretto al nostro lavoro e mi sono detta “Sta parlando di noi!”. Ci aspettavamo e, a dire la verità avevamo avuto conferme extraufficiali, che nelle prime settimane di Governo il tema sarebbe stato affrontato ma addirittura nel discorso di insediamento..E’ stata un’emozione fortissima. Poi ha cominciato a squillare il telefono…
Quali sono i prossimi passi?
Adesso stiamo studiando le foto del “Batallon 14” (l’altro probabile cimitero clandestino ndr), facendo, sostanzialmente, lo stesso lavoro di individuazione dei siti. Stiamo aspettando, e dovrebbe essere entro il 20 marzo, l’autorizzazione ad entrare nelle caserme e cominciare il lavoro di osservazione e ricerca nei siti individuati. Si integrerà con noi anche un gruppo di esperti argentini, che purtroppo, a causa della terribile storia del loro paese, tanto simile alla nostra, sono i maggiori esperti in questo tema.
Cosa sperate di trovare?
Un pezzo di osso, un dente, un capello, un unghia…con il DNA possiamo risalire all’identità. Ma, anche nel caso in cui non trovassimo nulla, solo evidenze di movimenti di terra, andremo avanti, lo ha promesso il Presidente. Ma qualcosa troveremo, il crimine perfetto non esiste e per quanto abbiano potuto ripulire qualche traccia ci deve essere.
In questi giorni, dopo l’annuncio di Vàzquez che si entrerà nelle caserme, da parte di ex militari è stato detto che voi stessi potreste mettere un pezzo di osso, un dente, un capello. Cosa rispondete a queste insinuazioni?
A parte il fatto che dovremmo procurarci il materiale organico di persone scomparse e mi sembra difficile… Stiamo pensando, come misura di sicurezza, di installare delle telecamere che filmino notte e giorno i siti in questione e che riprendano il nostro lavoro. In effetti in questi giorni ci stiamo arrovellando proprio su questo; non vogliamo che il nostro lavoro sia invalidato da insinuazioni come queste.
Tu sei una donna che ha scelto come lavoro della sua vita la scienza: come ti senti a trovarti coinvolta in un tema così terribilmente umano?
Durante la dittatura ero adolescente, vivevo in un paesino nella zona interna dell’Uruguay e non mi ero mai resa conto di quello che stava succedendo. Credevo a quello che ci veniva raccontato. Più tardi, quando sono venuta a Montevideo per fare l’università, durante la transizione democratica, mi è capitato di conoscere molte persone di sinistra, i famosi sovversivi, ed erano persone normali con idee che condividevo appieno; ti dirò di più i miei migliori professori erano di sinistra… Così ho cominciato a capire, in ritardo. Mi sento, personalmente, in debito con quello che è successo…io vivevo completamente fuori dalla realtà mentre c’era gente che soffriva e pagava in prima persona. Affrontare questo lavoro è stato duro; a volte, d’inverno, la sera, mentre lavoravo, realizzavo improvvisamente che le foto che avevo in mano e che stavo analizzando erano foto di gente morta, uccisa, scomparsa mentre io conducevo una vita normale. Sento di avere un debito e una responsabilità nei loro confronti. E mi emoziono e mi commuovo molto ogni volta che penso a questo.

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