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La forza delle testimonianze femminili raccolte da Nuto Revelli

La forza delle testimonianze femminili raccolte da Nuto Revelli

'L’Anello Forte', in scena a Roma fino al 27 febbraio con la regia di Anna di Francisca, è uno spettacolo riuscito e splendidamente interpretato

Venerdi, 25/02/2022 -

L’Anello Forte
Dall’omonimo testo di Nuto Revelli
Drammaturgia, regia e video di Anna Di Francisca
Interpretato da Laura Curino e Lucia Vasini
A Roma, alla Sala Umberto. Fino al 27 febbraio
Note in margine allo spettacolo.
di Gabriella Romano

Sala piena e applausi generosi: in tempi di Covid è davvero un risultato che scalda il cuore. La gente ricomincia ad avere voglia di uscire, di socializzare e di andare a teatro.

Lo spettacolo, per la regia di Anna di Francisca, mette in scena alcune interviste, tra le tantissime registrate da Nuto Revelli, lo scrittore partigiano piemontese che fu tra i primi a raccogliere la testimonianza dei dimenticati e degli oppressi, dando un contributo decisivo allo sviluppo della storia orale in Italia. Le interviste da cui questo spettacolo trae ispirazione sono quelle poi confluite nel libro L’Anello Forte (Einaudi 1985), un grande affresco di memorie autobiografiche di donne che vivevano in piccoli centri, frazioni o cascine isolate in Piemonte. Laura Curino e Lucia Vasini si alternano nel mettere in scena questi scampoli di vita vissuta che sembrano così antichi e distanti, ma che invece risalgono soltanto all’altro ieri.

Donne che subivano, stavano sempre zitte per evitare di litigare, lavoravano come bestie da soma, nei campi, in cascina, oppure come stagionali, in Francia, a raccogliere fiori per una paga da fame. Giornate infinite, che iniziavano con la mungitura, prima dell’alba, e continuavano fino a che i bambini si addormentavano, se si addormentavano. Fatica, umiliazioni, rabbia, sfruttamento. Ma anche qualche spiraglio per l’allegria, miracolosamente: il sapersi ritagliare uno spazio per sé, per ballare alla fine della massacrante giornata in filanda con l’inesauribile energia della giovinezza, o per innamorarsi di un trapezista del circo, anche se si sa che cerca moglie dichiaratamente per evitare la tassa sul celibato. C’è anche la forza e il coraggio di non volersi arrendere in queste storie, di guardare avanti e dare valore all’aspetto positivo delle cose. C’è la capacità di sognare, di conquistarsi uno squarcio di libertà, fosse anche solo farsi un giro in macchina senza meta ogni tanto o sfoggiare una minigonna, in barba ai pettegolezzi delle bigotte del paese che ti stanno con gli occhi addosso.Per dire che, anche se non si è potute diventare sarte come si voleva, anche se si è dovute emigrare al nord e sposarsi uno sconosciuto visto una volta in fotografia, almeno si è ancora in controllo di qualcosa.

I monologhi si susseguono, sempre in dialogo con le parole e le immagini documentarie, in un flusso che scorre tra fotografie e filmati, d’epoca e non. Il ritmo fa affondare il pubblico nelle storie delle protagoniste, ma lo fa poi sempre tornare all’origine, cioè alle donne in carne ed ossa, che si sono raccontate per la prima volta. Ed è davvero commovente sentire le voci vere di queste donne, tutte straordinarie in un modo o nell’altro, così come è toccante ascoltare le domande del grande scrittore che sapeva essere uno di loro, capiva il dialetto piemontese, partecipava, ma sapeva farsi da parte e ascoltare. Parole che restano dentro, nella loro spontaneità e immediatezza. E nel nostro essere spettatrici e spettatori, siamo anche noi un po’ Nuto Revelli: non si può rimanere impassibili davanti a questa folla di persone sfruttate e maltrattate, spesso a fianco di uomini violenti o semplicemente insensibili, spesso vittime delle angherie della suocera, talvolta spietata capo-clan in una società con residui di matriarcato. Ci lasciamo coinvolgere in un ascolto partecipato, che è poi quello che ha consentito il candore e la sincerità delle centinaia di testimonianze rilasciate a Revelli.

Uno dei temi centrali delle interviste raccolte e dello spettacolo attuale è quello della migrazione, che il Piemonte ha visto in varie epoche storiche: quella dalle campagne e dalle montagne alle città, quello dal Meridione al Settentrione in epoca di boom economico, che rispecchia in tutto quello di oggi, dal sud del mondo alla ricchezza dell’Occidente. Nostalgia e spaesamento, solitudini e disperazioni, tradizioni e necessità di adattamento. Però, come dice il titolo, a parlare qui non è l’anello debole della società, è l’anello forte, è la tenacia, la testardaggine, la voglia di rivincita, l’indistruttibile coraggio femminile che resiste.

Applausi lunghi, da un pubblico in buona parte maschile. Anche questo è un risultato importante: queste storie, che un tempo sarebbero state ascoltate da una audience molto circoscritta, oggi interessano a tutti. Questo non è solo l’apprezzamento ad uno spettacolo riuscito e splendidamente interpretato, è la prova che il messaggio arriva, i diritti negati alle donne del passato sono un tema che coinvolge e commuove.La parità è un passo più vicina.

 


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