Guerre e pace - Quando “difendere” diventa “presuntuoso”, occorre ritrovare una politica ponderata
Giancarla Codrignani Lunedi, 27/06/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2011
Non credo che dimenticherò mai la mano sulla bocca di Hillary Clinton a reprimere un senso di orrore nel vedere le immagini di Bin Laden ucciso. Una mano che rivela l'umanità di una donna che è anche "un" politico e non si adatta alle atrocità che siamo in grado di compiere quando diventiamo soldati e finiamo per farci del male. Ma non dimenticherò neppure la ritrattazione: non era "debolezza", ma allergia alle polveri d'ambiente. Così noi donne, quando diventiamo "pari" nel potere, omologhiamo anche i sentimenti, senza pensare che, forse, sarebbe meglio che i maschi smettessero di stringere i denti (e i pugni).
Tuttavia quel gesto rappresentava orrore immediato, ma anche istintiva esorcizzazione di un futuro, che, tutte le volte che usiamo la violenza, può diventare direttamente temibile.
Non so come mi accada, ma quando la realtà induce a parlare di pace, sento il bisogno di confrontarmi con la guerra; se, invece, si profila anche solo l'ipotesi dello scontro diretto, sento necessaria la contrapposizione con quello che anche per i giuristi è un fondamentale nell'ultima generazione dei diritti, la pace. Ad Abbottabad l'eliminazione di Bin Laden non è stato un segno di pace: la coscienza ha percepito il pericolo. Speriamo anche noi di riconoscere che non intendevamo essere le solite donne paurose.
Quando l'orrore ci mette una mano sulla bocca, significa anche riconoscere che non c'è più possibilità di ritorno indietro: la violenza non risolve mai nessun problema, a partire da quelli familiari. Eppure le violenze si replicano e devastano le storie, sia degli individui, sia dei popoli: tutti vogliono la pace e tutti - poco o tanto - "scelgono" la guerra.
In realtà il mondo vive coprendosi con quella che don Milani chiamava l'aggravante della buona fede. Parliamo di noi, gente comune che sta ad aspettare che le cose "succedano", senza accorgerci che siamo esclusi dall'informazione sugli altri paesi. Eppure non siamo più analfabeti come un tempo; eppure i giovani della generazione digitale potrebbero cercare su internet di superare i confini del piccolo territorio conosciuto. Anche chi fa costante riferimento all'etica o alla religione astrae i principi dalle evidenze della storia reale. Nessuno, insomma, capisce quando la presunzione di "difendere la pace" porta direttamente alle guerre.
Ma non ci sono soltanto i cittadini "normali". Sono talmente tanti anni che mi occupo di problemi internazionali da essere indotta a interrogativi più gravi: i governi conoscono davvero ragioni e problematiche che fondano le decisioni che prendono a nome di tutti? Che i comuni mortali siano così ignoranti da credere che la guerra, dopo essere stata "fredda" senza troppo gravi conseguenze, possa diventare "difensiva" o "umanitaria", può essere perfino accettabile. Ma i governi non possono "ignorare". Eppure, nonostante la crescita tecnologica, sembra che fosse più attrezzato Kennedy, che in tutte le sedi di rappresentanza aveva collocato intellettuali di vasta cultura, che non Obama che ha confidato in militari sperimentati a tutte le tecniche marziali ma incapaci di giudizio politico sui modi dell'esecuzione della missione e capaci, invece, di rendere mitizzabile un nemico non più mitico.
Anche nel Mediterraneo, dove una reazione a catena ha messo in moto le opposizioni in paesi arabi strutturalmente diversi, non solo i governi europei - tra cui l'Italia era la più interessata - hanno lasciato passare mesi senza indire una conferenza dei paesi arabi interessati in accordo con l'Unione Africana, ma hanno deciso la guerra - e non la no fly zone - contro la sola Libia, senza pensare a come avrebbero "difeso" i democratici se attaccati altrove. La diplomazia sembra ignorasse le dinamiche potenziali interne a questi paesi e i nomi di gruppi o leaders dei diversi movimenti. Tenendo conto della fobia antiterroristica dei ministri degli interni occidentali, che fiducia possiamo avere sull'intelligence dei nostri servizi? Viene il sospetto che la professionalità non sia più all'altezza di un mondo più complesso nel quale la prevenzione della guerra e la cura della pace esigono analisi preordinate, studi strategici, decisioni ponderate. Ricordate per caso il nostro povero ministro della "difesa", che non sapeva che cosa fossero Lukashenko e la Bielorussia?
Le donne sono sempre disposte a sperare. Ma troppe volte debbono sperimentare la resistenza sulla loro pelle. Quelle che amano la pace stanno con la mano sulla bocca? Riprendiamo a fare una nostra politica mite, che potrebbe essere davvero forza di pace.
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