Presentato alla Casa Internazionale delle donne di Roma C'era una volta la fabbrica, primo incontro del progetto multimediale I Racconti del lavoro invisibile
Giovanna e Rosa sono due operaie. La prima è tra le protagoniste dell’omonimo mediometraggio realizzato nel 1957 da Gillo Pontecorvo e Franco Solinas; la seconda, Rosa, è una delle lavoratrici raccontate dalla cinepresa di Atlantis, documentario del 2013 diretto da Massimo Ferrari e prodotto da Gaia Gapurso. C’è, tra le due donne, uno scorrere di generazioni; eppure, le loro vicende si uniscono dando forma a una stessa storia. Perché Giovanna organizza l’occupazione della propria fabbrica, rivendicando il diritto al lavoro e alla sua dignità, e Rosa Giancola è tra le occupanti della Tacconi Sud, fabbrica di Latina simbolo della più lunga occupazione femminile italiana con i suoi 550 giorni di presidio e di assemblea permanente.
Le storie delle due operaie aprono la strada al tema della femminilizzazione della fabbrica, della forma lavoro che cambia quando ad agirla è la forza lavoro costituita dalle donne, collocata al centro della riflessione proposta da C’era una volta la fabbrica, il primo incontro della serie Parole e immagini presentato all’interno del più ampio percorso I raccontidellavoroinvisibile. Organizzato presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma dall’associazione Per, il progetto decide di raccontare il lavoro attraverso la scelta della multimedialità, ottenuta nella forma di una simbiosi tra presentazioni di libri, reportage fotografici, documentari e le preziose, nonché inedite, fonti storiche dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico. Ciascuno dei quattro incontri prevede la presentazione di uno dei film conservati dall’Aamod e di un documentario di produzione recente, affidando poi il dibattito ad autrici e autori che, nella forma di romanzi o lavori giornalistici, abbiano affrontato la trasformazione del lavoro determinata dalle pratiche femminili. ElisaCancellieri, ex operaia della Voxcom e sindacalista, e ChiaraIngrao, nelle vesti dell’autrice del romanzo Ditadidama, partecipano al primo incontro, arricchendolo con le proprie testimonianze.
Accanto ai lavori non visibili, che sono il portato delle forme nuove realizzate dal precariato, parlare della relazione necessaria tra donne e lavoro perché “le donne per prime hanno riflettuto sulla questione complessa della rappresentazione di sé e dei tempi lavorativi”. Come spiega Cristiana Scoppa, tra le organizzatrici dell’iniziativa, “guardiamo alla femminilizzazione del lavoro perché oggi il precariato richiede quelle stesse capacità introdotte dalle donne sul posto di lavoro nel momento in cui hanno iniziato ad accedervi in massa”. Infatti, come si legge nel manifesto del progetto, la capacità di risolvere i problemi e gestire relazioni, il multitasking, la flessibilità sono tra le caratteristiche proprie di quel lavoro della cura che, storicamente, le donne hanno prima esercitato in casa. “Quando siamo entrate nell’Archivio”, racconta Cristiana, “abbiamo scoperto come le donne non solo hanno portato sul posto di lavoro il loro modo di essere e di prendersi cura, ma anche la loro forma di gestione delle relazioni. Un modo di essere su lavoro diverso da quello maschile”. Da qui l’idea di costruire un percorso che, se i lavori precari di oggi non sono visibili, li nomini a voce aperta e, capendoli, li possa riconoscere.
La differenza femminile in fabbrica, così come nelle pratiche di lotta per il diritto al lavoro, non può che essere colta di fronte alle due storie proposte da Parole e immagini, quelle di Giovanna e Rosa. Sebbene inventata, la prima prende spunto da vicende reali, e molte delle operaie presenti nel mediometraggio sperimentano sullo schermo quanto vissuto poco prima. L’occupazione della fabbrica per impedire i licenziamenti – nella forma, tipica del Novecento, di non bloccare ma continuare la produzione – secolarizza l’etica della cura, facendola uscire dai confini domestici. Tra le operaie la solidarietà è immediata, così come la necessità di proseguire fino a quando sarà garantita la ripresa del lavoro. E la solidarietà operaia è immediata anche tra le lavoratrici della Tacconi Sud, raccontate nella loro indomabile occupazione dal documentario Atlantis. Sono il segno di una forza lavoro che non si piega alle disumane necessità del mercato, che risponde alla precarietà con la forza di una pratica collettiva e di una coscienza di classe ricostruita.
Attraverso l’etica della cura, che non esclude il darsi di una sua reinvenzione, Giovanna e Rosa mostrano come sia possibile ricostruire una solidarietà tra lavoratori e lavoratrici. Come sul posto di lavoro, anche di un lavoro invisibile, la solitudine dell’azione possa essere superata. Allora, in questo senso la femminilizzazione del lavoro, a patto che non diventi sessualizzata, può trasformare i modelli lavorativi imposti da un’economia neoliberista, mettendo al centro l’importanza delle relazioni e del farsi politico del personale.
Lascia un Commento