La dovuta chiarezza sulla tragica morte di Valentina Milluzzo
Dalle risultanze di una nuova perizia medica, disposta dal Tribunale di Catania, nuovi interrogativi sulla morte della giovane puerpera aspettano le conseguenti risposte
Venerdi, 03/05/2019 - Pochi giorni fa si sono nuovamente accesi i riflettori mediatici sul caso drammatico di Valentina Milluzzo, la giovane donna deceduta, insieme ai due gemelli che portava in grembo, il 16 ottobre 2016 presso il reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale Cannizzaro di Catania dopo oltre due settimane di degenza. In uno studio televisivo della Rai, più precisamente durante la trasmissione Storie italiane, i familiari hanno reso pubbliche le motivazioni della perizia medica affidata dal Tribunale di Catania a due esperte, le dottoresse Claudia Giuffrida e Maura Francesca Berlich. Vi si può leggere che "La possibilità della prosecuzione della gravidanza era veramente scarsa. Si ritiene che l'aborto fosse inevitabile dal 5 ottobre 2016 (11 giorni prima della morte per arresto cardiocircolatorio, consecutivo a shock settico in soggetto con sepsi, ndc)”. Conseguentemente si desumerebbe che Valentina avrebbe potuto essere salvata per tempo, solo che si fosse effettuato l’aborto terapeutico da approntare nell’immediatezza della situazione clinica riguardante i due feti in grembo alla giovane donna.
Invece, trascorsero invano altri 11 giorni, caratterizzati purtroppo da una terapia antibiotica inadeguata, come scrivono gli esperti. Questi riscontri specialistici disposti dal Tribunale di Catania difatti sembrano convalidare le risultanze degli esami autoptici decisi dalla Procura della Repubblica di Catania dopo il decesso della giovane puerpera, dai quali nel maggio del 2017 si evidenziò che Valentina Milluzzo fosse deceduta per “mancato tempestivo riconoscimento della sepsi; mancata instaurazione tempestiva di antibioticoterapia efficace; mancata raccolta di campioni per gli esami microbiologici; mancata tempestiva rimozione della fonte d’infezione (feti e placenta); mancata somministrazione di unità di emazie lavate durante l’intervento del 16 ottobre 2016”.
Le professioniste incaricate dal Tribunale di Catania, però, mettono nero su bianco anche qualcos’altro imputabile ai sette sanitari rinviati a giudizio per omicidio colposo plurimo, la cui prima udienza si terrà il prossimo 2 luglio. Ossia, che la paziente non sarebbe stata informata sulla impossibilità di proseguire la gestazione e sui rischi di sopravvivenza, tant’è che nella perizia scrivono che "la richiesta di un'interruzione della gravidanza, secondo l'articolo 6 della legge 194, In tale evenienza, non poteva che essere accolta. E con elevatissima verosimiglianza, il decesso non si sarebbe verificato”. Salvatore Milluzzo, padre di Valentina, durante la trasmissione televisiva ha usato parole dure contro i medici, che costrinsero la figlia ad un calvario durato oltre due settimane. La madre, Giusi Moschetto, inoltre ci ha tenuto a precisare più volte che la congiunta era morta ”in un ospedale e non in una baracca”. Rimarcando in maniera ferma e decisa: “Non si può consegnare una figlia nelle mani di professionisti per poi vedersela riconsegnare in una bara”.
Senonchè nel corso del confronto televisivo tra gli ospiti presenti in studio si è assistito ad uno scontro verbale tra due medici. Il primo, ginecologo, il dott. Cerusico, ha affermato che: “L’obiezione di coscienza ha portato ad un ritardo. In cosa si obietta? Non c’è la preziosità della vita? E’ vero che la tempestività è determinante nella vita della persona”. Il secondo, il prof. Falconi, ha replicato: ”Non dire in televisione cose che non si possono dire….. La Procura ha eliminato l’ipotesi dell’obiezione”. Già precedentemente un altro convocato al dibattito, Rosario Trefiletti, aveva puntualizzato: “L’obiezione di coscienza non ci può essere nel caso di grave situazione della madre”, come anche un sacerdote presente in studio aveva avuto modo di ribadire che: “Fosse molto strano parlare di obiezione di coscienza di fronte al caso di un’infezione. Se c’è pericolo di vita, non ci può essere obiezione”.
Questa affermazione era stata esplicitata, subito dopo l’intervento in studio della sorella di Valentina, Angela, che aveva precisato come avessero costretto la puerpera “17 giorni a letto senza dirle niente, facendole covare un’infezione”, che la portò alla morte tra atroci sofferenze. Durante una delle prime comparse televisive dei familiari si ebbe modo di ascoltare le strazianti parole di Giusi Moschetto, rivolte alla figlia che la supplicava, dicendo: “Mamma sto morendo”. Impotente la madre, per rassicurarla, replicò: “No, non si muore di parto”, perché anche Giusi credeva che fosse così, come ha pure rimarcato il dott. Cerusico durante il suo intervento in trasmissione.
Ebbene, durante il processo si dovrebbe rispondere alla domanda che pare aleggiare pesantemente sulla condotta dei sanitari che hanno seguito Valentina durante il suo ricovero. Cosa realmente li ha mossi nella propria condotta professionale, superficialità, imprudenza, negligenza, imperizia o altro? Ossia l’attendere che anche il secondo feto si avviasse a morte sicura per procedere all’aborto terapeutico? Eppure il primo feto era già deceduto e questo di per sé avrebbe dovuto indurre i medici ad intervenire tempestivamente per evitare “lo shock settico in soggetto con sepsi”, come dichiarano le perite nominate dal Tribunale di Catania. Valentina avrebbe dovuto essere a sua volta informata della sua condizione clinica, per scegliere l’aborto come soluzione di vita per sé stessa. Il destino dei due figli che portava in grembo era difatti già segnato dalla circostanza che non sarebbero potuti sopravvivere, considerato che erano alla ventunesima settimana di gestazione e che a tre giorni dal ricovero la giovane donna aveva già il sacco amniotico disceso in vagina ed una dilatazione importante.
Appare sempre più evidente che, al di là di questo drammatico caso, ci sia bisogno di offrire alle puerpere le giuste informazioni, che consentano di approntare le conseguenti scelte, perchè di malasanità non si dovrebbe morire ed ancor meno di ignoranza. Giusi Moschetto ha concluso il suo intervento a Storie italiane dicendo: “I figli non devono essere consegnati in bara. Noi lottiamo per tutte le ragazze, perché a noi Valentina non ce la ridanno più”. Un’encomiabile battaglia, fatta in nome della figlia, per sentire di meno il dolore di una morte ingiusta che ha gettato tutti i familiari in un dramma senza fine. Ma una battaglia che va al di là del caso personale, perché ambisce ad aprire uno squarcio di verità sugli aborti terapeutici eseguiti in ritardo con conseguenze finanche letali per le madri.
Elisabetta Canitano, ginecologa e presidente dell’associazione Vita di donna, più volte ha ribadito che: “Bisogna dirlo con chiarezza che in presenza del sacco amniotico rotto prima delle 21 settimane di gestazione, stiamo parlando di feti che non hanno alcuna possibilità di sopravvivere. In nome di cosa allora si invoca l'obiezione di coscienza? Il battito cardiaco di un feto destinato comunque alla morte viene considerato più importante della vita della madre che lo porta in grembo?”. Dal processo penale che inizierà tra pochi mesi a Catania c’è da auspicarsi che si faccia la dovuta chiarezza sulla morte di Valentina Milluzzo, per accertarne la conseguente verità ed arrivare a tributarle la giustizia che i familiari rivendicano a gran voce. Non solo nel suo nome, ma anche per evitare che altre donne possano essere coinvolte nella sua stessa tragica morte.
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