Sabato, 11/07/2020 - La danza sfrenata, il racconto di Matilde Tortora
Una neonata che odorava di arance non so quanto fosse consuetudine a quel tempo. Io a quel tempo odoravo di arance. Dal numero delle operaie addette a scegliere quelle conformi alle norme per la spedizione all’estero, di quelle che scartavano le non conformi, con qualche ammaccatura e le rivestivano di una carta che era quasi trasparente ma non troppo, ne veniva scelta una e mandata a dare una mano alla giovane puerpera che era mia madre.
I treni merci sostavano sui binari. Degli altri se ne poteva udire il fischio, lo stridio ad ogni fermata, la forza e lo stremo che ogni cosa in cammino porta con sé.
Doveva venire facile per lei prendersi cura di una purtualluzza, che non presentava imperfezioni e che non doveva essere incartata se non nelle fasce strette, che non le venissero poi gambe non adatte al camminare, all’andare.
Casse su casse di arance e di altra frutta, a seconda delle stagioni, venivano caricate su quei treni merci e spedite all’estero, per lo più in Germania, a Monaco di Baviera.
Se anche il nonno a volte partiva, di quei viaggi conservo ancora bambole di squisita fattura, che da lì venivano e che ancora oggi per me contraddicono quel che Kant scrisse: la bellezza è senza concetto, è senza scopo, è inutile. Pur intendendo egli dire, è ovvio, anche che tutti noi, saremmo caduti dalle braccia della sfrenata danzatrice (1), nonostante tutto.
In dialetto napoletano chiamano l’arancia purtuallo, ci sono varie versioni del perché la chiamino in tal modo. Alcuni fanno derivare questo termine a quando, durante la dominazione francese i soldati distribuivano arance alla popolazione, esclamando in francese “pour toi”. Altri fanno derivare l’origine del nome dal Portogallo da cui le arance provenivano. Altri dal greco portokalòs, che significa appunto arancia.
O quel kalòs nella parola! Crescendo ne ho conosciuto ogni variante, ogni versione declinata su un corpo di donna e, per dirla alla Kant, ogni perversa inanità, come ogni donna d’altronde ha poi nella sua vita sperimentato.
E lunghi percorsi mi sono stati destinati, o meglio mi sono data da me per allontanare quell’odore che dalle mani dell’operaia che aveva due mansioni, ma era pagata per una sola di esse, trasmigrava sul mio corpo, su quelle fasce strette, sul mio futuro destino.
Pensare che in famiglia erano socialisti, uomini giusti, padri amorevoli che mandavano in soccorso alla figlia che aveva da poco partorito una donna che le avrebbe dato una mano per la neonata!
Mi chiedevo giorni fa, di che odore serberanno ricordo ancestrale le neonate di oggi. Bene che vada, di amuchina mi sono detta. E di che stridii, di che merci serberanno ricordo. E che tipo di kalòs le sta aspettando?
Ora che lungamente mi è parso di intravedere dalla mia fissa postazione la grande danzatrice, senza fedeltà, senza memoria, ancor più agitare le braccia, scrollarsi le mani.
1)La natura come una grande danzatrice che porta sulle braccia e sulle mani tanti individui, ma li perde nel movimento, nella sua danza sfrenata li perde, senza fedeltà né memoria. (Goethe, 1798)
L’immagine a corredo del racconto è tratta da Annabelle Serpentine Dance, un cortometraggio muto americano, creato per il kinetoscopio di Thomas Edison, 1895. Interprete Annabelle Whitford Moore
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