Parliamo di bioetica - Di quali istanze si fanno portatrici le donne nel volontariato? Potrebbe essere importante per tutti promuovere più partecipazione attiva delle donne nel e col mondo del volontariato?
Cola Natasha Lunedi, 08/02/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2010
È possibile, prendendo le dovute distanze dalle stereotipie che purtroppo ancora oggi pervadono la rappresentazione dell’universo femminile ed indicano la donna in quanto tale come essere sottomesso, poco ancorato alla realtà, irrazionale e sentimentale, affermare l’esistenza di motivazioni e modalità di volontariato specificatamente femminili? Di quali istanze si fanno portatrici le donne nel volontariato? Potrebbe essere importante per tutti promuovere più partecipazione attiva delle donne nel e col mondo del volontariato?
Possono le organizzazioni di volontariato essere considerate laboratori di democrazia e di promozione delle diversità, apprendendo qualcosa proprio dal mondo del volontariato delle donne?
Sebbene recenti indagini Istat sul mondo del Volontariato abbiano evidenziato come a livello nazionale la partecipazione maschile prevalga su quella femminile, occorre precisare che vi sono circa due milioni di italiane impegnate nel mondo del volontariato che, in diverse regioni distribuite lungo la penisola, superano la presenza maschile.
Dati analoghi sono stati elaborati anche dalla Fivol (dati 2001, pubblicati l’8/3/2004) che nel volontariato sociale ha registrato tra la fine degli anni ‘90 ed i primi anni del 2000, un tasso di partecipazione femminile, tra il 60% ed il 70% .
La presenza delle donne decresce gradualmente però al crescere dell’età e la maggior parte di coloro che si allontanano dall’organizzazione del volontariato di appartenenza denuncia una minore compatibilità tra volontariato ed altri impegni quotidiani (famiglia e lavoro), tornando ad aumentare in anziana età.
La partecipazione femminile al mondo del volontariato è un fenomeno in crescita, un fenomeno che coinvolge anche le giovani generazioni, ma che non sembra comunque aver comportato significativi risultati in termini di rappresentanze poiché, nella versione migliore dei fatti, solo un’associazione su tre ha una presenza femminile negli organi di rappresentanza.
I dati sopra citati permettono di evidenziare un mondo del volontariato nazionale e regionale nel quale le donne, pur costituendo una parte sempre più rilevante, faticano ad assumere ruoli di responsabilità, con una scarsa presenza negli organismi di rappresentanza a tutti i livelli. Tale situazione si inserisce in una più ampia situazione presente in numerosi altri campi della vita sociale italiana, in cui alle donne viene riservata una emarginazione ai vertici delle organizzazioni. Il tema della rappresentanza nelle Organizzazioni del Volontariato non può quindi essere considerato al di fuori della più generale questione della rappresentanza politica delle donne.
Questo fenomeno è stato spesso chiamato “segregazione verticale”.
Le spiegazioni fornite dagli studi e ricerche sul tema si muovono, in estrema sintesi, in due diverse direzioni.
1) In base alla prima ipotesi interpretativa questo “freno” interiore potrebbe essere comprensibile “storicamente”: poiché le donne hanno subito costantemente, soprattutto in passato, l’emarginazione dalla vita pubblica esse si tengono alla lontana da quello stesso potere con cui stentano a riconoscersi e ad identificarsi, assumendo talora comportamenti “ambivalenti”.
2) In base alla seconda ipotesi interpretativa invece il problema non si tratterebbe tanto di una sorta di diffidenza delle donne dal potere e dalla politica che comporterebbe una sorta di loro autoesclusione, ma di un modo diverso di fare e rapportarsi col potere da parte delle donne, di cui non ci si è ancora accorti veramente del significato innovativo, e che ha difficoltà ad affermarsi perché incontra le resistenze al cambiamento nelle sedi decisionali. In sostanza, un modo di fare politica e di rapportarsi col potere diverso. Le sedi del potere politiche invece sarebbero costituite, secondo questa ipotesi, “a misura di uomo” più che di donna. Ma starebbe proprio in questa diversità il significato di maggiore innovazione sociale che le donne potrebbero apportare alla democrazia .
Come, nella pratica concreta del volontariato, si inseriscono le donne? Potremmo rappresentare tale presenza seguendo una linea retta contraddistinta da tre punti nella quale troviamo ad un estremo le associazioni con presenza esclusiva o quasi di donne, e dall’altro estremo associazioni con presenza quasi esclusiva di uomini.
Il primo gruppo comprende tutte le associazioni di donne per donne che sono caratterizzate da un volontariato quasi esclusivamente femminile rivolto alle donne. Tale tipologia di volontariato non esiste in ambito maschile: in questo senso è una specificità del volontariato delle donne in quanto è costituito solo da donne che offrono servizi alle altre donne, mentre altri tipi di associazioni a quasi esclusiva presenza maschile non hanno la specificità di offrirli solo alla parte della popolazione maschile. Nel gruppo sono comprese tutte le realtà associative connesse ai centri antiviolenza, o che si occupano della promozione della donna e della difesa dei loro diritti, di problematiche connesse alle violenze domestiche e extradomestiche, della tratta delle donne e delle “case di fuga”, delle loro discriminazioni, sia con attività di tipo culturale ed educativo, sia offrendo servizi alle donne anche di tipo pratico o di sostegno psicologico sono comprese in questo tipo di associazioni anche alcune organizzazioni che si occupano della salute delle donne ed i centri di aiuto alla vita.
La seconda tipologia di associazioni comprende quelle organizzazioni connotate da una marcata presenza femminile ma che offrono i propri servizi/attività indistintamente a uomini e donne e che rivolgono la cura agli ambiti più disparati: marginalità estreme, disabilità psico-fisiche, cura del malato e dei suoi diritti…
In questa tipologia rientrano anche le associazioni che operano nell’ambito culturale ed educativo le quali contemplano spesso una netta prevalenza femminile ma ciò non accade uniformemente sul territorio nazionale.
Troviamo infine, al lato opposto della nostra linea immaginaria, quelle associazioni in cui la rappresentanza femminile è minoritaria, che ha registrato un incremento nel corso degli anni più recenti, ma in cui le donne hanno ed hanno avuto più difficoltà ad inserirsi come volontarie o in termini di rappresentanze ai vertici delle organizzazioni.
Una delle motivazioni del fare volontariato è, certamente, quella legata alla volontà del prendersi cura di qualcuno o di qualcosa: tale aspetto è tipico del ruolo femminile tradizionalmente assegnato alle donne anche in passato, spesso al chiuso delle mura domestiche, ma che nel mondo del volontariato assume una dimensione sociale e pubblica.
Se il lavoro di cura è più tipicamente femminile, è anche vero che questo è alla base di gran parte del mondo del volontariato, ma sembra esservi talora una distinzione di fondo che le donne fanno rispetto alla dimensione femminile e maschile del prendersi cura. Il fatto che esista un volontariato di donne per donne, e non esistendo un equivalente per uomini, permette in prima facie di intuire che esiste un modo di prendersi cura da parte di una donna nei confronti degli altri diversa rispetto alla modalità maschile: si tratta di una comunanza di sensibilità, di esperienze, di visione dei rapporti e relazioni, che accomuna e tende a diventare associazione e servizio. Il prendersi cura all’interno degli ospedali, delle case di riposo, delle strutture residenziali per disabili psico - fisici è per gran parte delle donne connesso ad un ruolo che spesso hanno svolto nell’ambito famigliare ma che nel mondo del volontariato assume un significato pubblico. Il “Prendersi cura” ha un significato esteso: non ci si riferisce solo alla dimensione di cura delle persone, ma anche di tradizioni, cultura, dell’ambiente in cui si vive, finalizzata alla promozione della qualità di vita per tutti.
Emerge inoltre che la cultura delle “cure” ha assunto per molte donne un significato di partecipazione attiva ed impegno sociale che certamente trova uno spazio più favorevole nelle organizzazioni di volontariato rispetto ad altri contesti politici o istituzionali.
Tale partecipazione attiva significa per molte donne creare maggiore benessere anche per sé stesse, oltre che per gli altri: porsi in modo attivo, significa sviluppare un atteggiamento culturale e di intervento sui problemi, per segnarne un cambiamento nel modo in cui tali problemi sono vissuti dai diretti interessati, anziché subirli, per favorire cambiamenti nelle condizioni stesse in cui tali problemi si sviluppano nelle famiglie, nella comunità, nelle istituzioni . Occuparsi attivamente delle politiche sociali da parte delle donne significa quindi un’opportunità importante di cambiamenti che mettono in discussione la divisione sociale dei ruoli, talora rafforzando, per tale via, anche il ruolo di rappresentanza politica.
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