Oltre le sbarre - Un laboratorio per le signore detenute nel carcere di Bollate. Grazie alla lungimiranza della direttrice Lucia Castellano
Prota Giurleo Antonella Lunedi, 22/02/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2010
L’utilizzo creativo delle tecniche artistiche è stato ed è spesso utilizzato a fini terapeutici sia per sorreggere percorsi di uscita da situazioni di disagio che per consolidare percorsi di analisi di sé e di ricerca di benessere psichico.
L’esercizio della pittura libera rivolta a personalità in crescita, come le bambine e i bambini che creano nei laboratori di pittura creativa seguendo il metodo di Arno Stern, o ad adulte ed adulti di qualsiasi condizione psicologica e sociale, ha un effetto calmante e liberatorio.
Così è anche per l’esercizio della manipolazione, non è un caso infatti che all’Accademia di Brera, a Milano, dal 2004 si svolga un corso biennale di perfezionamento in Teoria e Pratica della Terapeutica Artistica. L’esercizio di realizzare la carta a mano e di realizzare, impastando, non solo fogli di supporto per dipinti e disegni, ma opere bidimensionali e tridimensionali comporta un impegno complessivo del corpo, quel tenere insieme mani mente e cuore che produce generalmente calma e serenità interiori.
Ricordo di essere rimasta colpita quando mi è stato raccontato che detenute della sezione femminile del carcere di Bollate, la casa circondariale II di Milano, provenienti da una situazione di chiusura, rimanevano nelle celle anche quando queste erano aperte.
Mi è venuto in mente quanto avevo letto in ‘Donne che corrono coi lupi’, di Clarissa Pinkola Estes; la scrittrice riportava un esperimento condotto sui lupi. Un lupo, animale libero e selvaggio per eccellenza, rinchiuso in una gabbia e sottoposto, ora su una metà, ora sull’altra metà, a stimoli elettrici, una volta aperta la gabbia rimaneva all’interno di essa, incapace, dopo la lunga costrizione, di recepire anche solo l’idea di libertà.
Al di là dell’orrore provato all’idea di simili “esperimenti” sugli animali, avevo pensato che mancava un pezzo a questo esperimento: l’animale libero che, fuori dalla gabbia, con la sua presenza invitasse l’animale imprigionato ad uscire. Mi era sembrato che l’esperimento, privo della mano amica, della possibilità di una donna (questa era la similitudine) che aiutasse l’altra donna, priva di libertà, a superare la paura per uscire nel mondo, fosse monco.
Bollate è stato la riprova di questo. Lucia Castellano, direttrice lungimirante e intelligente, convinta assertrice del concetto di assunzione di responsabilità personale e collettiva, ha saputo continuare ad offrire alle donne detenute, come già era stato fatto rispetto agli uomini sino a che il carcere era stato solo maschile, una serie di opportunità che hanno permesso l’uscita dalle celle.
Conducendo quest’anno con Angela Gandolfi per ‘agesol’ (associazione diretta da Licia Roselli che si occupa di inserimento a lavoro di persone che escono dal carcere) un laboratorio creativo rivolto alle signore detenute a Bollate mi è parso evidente, una volta di più, come anche le donne adulte in condizioni di esercizio di libertà, poste di fronte a superfici di grandi dimensioni (fogli, stoffe, muri), libere di muovere mano e braccio senza le costrizioni esercitate rispetto ai limiti spaziali dei comuni fogli da disegno e senza l’impiccio – impaccio dell’utilizzo della matita (che implica l’esercizio della motricità fine e obbliga poi al rispetto dei contorni) possano ricavare serenità e gioia dall’esercizio della pittura.
Ricevuto un invito dalla Fira Magica, un’associazione culturale spagnola che ha proposto, per l’estate di quest’anno, una mostra di stendardi sul tema dei diritti umani intorno al castello di Can Ratés in Catalogna, ho pensato: “Perchè non proporre l’idea anche alle signore di Bollate?”
È nato un telo che, su proposta di Angelica, vuole dire il diritto alla libertà; un telo con le impronte delle mani di ciascuna. E, dopo il telo, spinte dall’entusiasmo di Angela, tutte a creare il ‘Muro delle mani’, un muro di impronte colorate. L’atto di lasciare le proprie impronte dovrebbe essere doloroso per donne detenute perchè legato alla detenzione, invece la realizzazione della parete ha costituito momento di ironia e di allegria.
Ma una parete non è bastata, così si è invasa anche quella vicina, questa volta con un progetto: una fila di mani, curando di intercalare i colori, talvolta inserendo composizioni regolari, sempre realizzate con le impronte delle mani (e anche di qualche piede).
Anche i piedi hanno poi svolto un loro ruolo, camminando nello spazio d’aria alcune giovani donne hanno seguito i contorni dei piedi tracciando un percorso che è diventato anche una corsa a chi arrivava prima, prima alla porta, per uscire, andare, fuori, almeno simbolicamente.
Lascia un Commento