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La cura dei figli non è un diritto

La cura dei figli non è un diritto

Sentenza del Tribunale di Civitavecchia sul ricorso di una lavoratrice CAI

Venerdi, 27/01/2012 - L’articolo 18 non è un tabù, dice il Presidente del Consiglio. Meno che mai lo è la legge 151 sulla maternità nella parte in cui (art. 53) stabilisce che è vietato “adibire le donne al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6, dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino” e che “non sono obbligati a prestare lavoro notturno: a) la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la stessa; b) la lavoratrice o il lavoratore che sia l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni.”

Il Tribunale di Civitavecchia infatti ha dato torto a Sabrina Vidotto, una lavoratrice della CAI (ex Alitalia) che aveva fatto ricorso contro l’azienda perché non le veniva riconosciuto l’esonero al lavoro notturno.

Torniamo quindi alla vicenda delle lavoratrici madri della CAI a cui non viene riconosciuto il diritto all’esonero dal lavoro notturno, (vedi qui) così come previsto dalla legge sulla maternità, in seguito alla firma di una lettera di assunzione, nel momento del passaggio da Alitalia a CAI, che contiene una clausola, diretta a quei lavoratori e lavoratrici che avrebbero potuto usufruire dell’articolo 53 della legge 151 sulla maternità e cioè l’esonero dal lavoro notturno, in cui lo stesso lavoratore rinunciava a questo diritto. Come ci aveva raccontato una lavoratrice qualche mese fa “al momento della firma della lettera di assunzione non c’era con noi né un sindacalista né un rappresentante dei lavoratori. Accanto alla lettera di assunzione c’era un altro documento che spiegava che, nel caso in cui non avessi firmato, avrei perso anche il diritto alla cassa integrazione”.

Quello di Vidotto è il primo ricorso ordinario rivolto alla Procura di Civitavecchia ed entra quindi nel merito della questione dando torto alla lavoratrice ricorrente sulla base di una interpretazione che pone un contratto di lavoro gerarchicamente superiore alla legislazione vigente nella nostra Repubblica.

In particolare il Tribunale ha stabilito che, nel momento in cui la lavoratrice ha firmato il nuovo contratto (abbiamo descritto in quali condizioni) “ha espressamente e liberamente manifestato ‘la propria disponibilità ad effettuare la prestazione lavorativa su turni di lavoro che comportino avvicendamenti sull’intero arco della giornata lavorativa, ivi compresi eventuali pernottamenti’” rinunciando quindi ad usufruire della possibilità di esonero dal lavoro notturno così come previsto dalla legge 151, tuttora vigente. E la sentenza prosegue rilevando che nel caso in cui si ritenesse “necessario l’assenso del lavoratore per ogni singola prestazione notturna, significherebbe imporre alla società datrice oneri organizzativi particolarmente complessi e onerosi, difficilmente conciliabili con la garanzia costituzionale della libertà di iniziativa economica privata”.

Un’interpretazione che lascia di sasso secondo la quale la Costituzione italiana garantirebbe la libertà di iniziativa economica privata e la collocherebbe al di sopra dei diritti delle persone.

E mentre Vidotto annuncia di voler ricorrere in appello, CAI continua a usare due pesi e due misure. C’è chi viene esonerato dai turni di notte perché richiede ‘personalmente’ ai capi servizio ‘l’attenzione gestionale’ e chi non ci sta a far passare un diritto come una concessione e si rifiuta di fare una richiesta personale.

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