I nostri soldi - Investimenti pubblici solo nelle fabbriche? E perchè no nella cultura?
Bertani Graziella Mercoledi, 13/05/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2009
Troppo spesso mi trovo in situazioni nelle quali persone che, pur appartenendo a gruppi sociali diversi, pronunciano le stesse frasi: “Ma quando si portano a casa pochi soldi cosa vuoi pensare alla cultura! Solo quando si sarà superata la crisi, allora si potrà pensare alla cultura e anche andare a teatro!”, oppure “ma la cultura sono solo le grandi mostre!”
A queste affermazioni io ho ancora la capacità di indignarmi.
Se molto probabilmente il modello di sviluppo e la società dei consumi sono riusciti ad imporre comportamenti tali da far percepire disgiunti e separati i valori dall’agire che hanno portato all’esclusione di una fetta sociale importante della società e della cultura del lavoro come strumento di cittadinanza, perchè adesso il dibattito sulla cultura e sulla difesa del suo pubblico finanziamento sono così serrati?
Difendere la cultura significa solamente difendere un posto di lavoro all’interno di un piccolo - talvolta insondabile - mondo di cui si può fare a meno, oppure difendere la cultura è un dovere per non rinunciare a dei diritti irrinunciabili e promuovere le identità, le diversità, la creatività, la partecipazione, un modello di sviluppo umano sostenibile e il benessere delle cittadine e dei cittadini?
Si dice anche che la cultura costituisca un volano non indifferente per lo sviluppo economico.
Proviamo, solo per fare qualche esempio, a pensare alla filiera e ai tanti saperi e processi coinvolti nell’editoria del libro stampato e nello spettacolo. Provate a pensare all’Arena di Verona.. Non la penserete come una rovina, ma come un grande teatro all’aperto e subito comincerete ad immaginarvi un allestimento dell’Aida o un concerto di Bob Dylan. Provate a pensare a Roberto Benigni che recita Dante e Dario Fo che spiega l’arte nelle grandi piazze del nostro Paese... e subito penserete anche ai turisti che vanno agli spettacoli, i quali pernottano, visitano i dintorni accompagnati da guide capaci ecc.ecc.
Tempo fa un’indagine aveva evidenziato che nel nostro Paese la percezione del ruolo occupazionale dell’industria cinematografica fosse pressoché assente: eppure ogni giorno a Cinecittà lavora un numero di addetti paragonabile a quello della produzione di automezzi al gruppo Fiat.
Che cos’è successo alla cultura perchè si potesse arrivare a pronunciare la frase “Rinunciamoci, abbiamo cose più importanti a cui pensare...” se la cultura produce anche momenti di straordinaria partecipazione fisica ed emotiva, di aggregazione, di pensiero, di riflessione, di consapevolezza e di critica, di benessere, di sensazione di minore fragilità e di maggiore sicurezza?
Che cos’è che da fastidio? Il fatto che richieda contributi pubblici? Ma anche altre diverse industrie del nostro paese vi accedono!
La nostra Costituzione all’articolo 9 recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Niente da eccepire, quindi. Va bene, siamo in un contesto di crisi profonda, ma tutto questo non ci impedisce di andare a votare a giugno, di vestirci, di rinunciare ai nostri diritti. Sempre rimanendo alla Costituzione il secondo comma dell’articolo 3 recita: “... È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Ma chi è, chi sono la Repubblica? Non si tratta per caso di noi? Questo secondo comma assegna e riconosce a ciascuno di noi un ruolo, un diritto ed un dovere straordinari: quello di poter essere padroni ed artefici dei destini delle nostre vite promuovendoci a protagonisti per la rimozione degli ostacoli che impediscono la nostra felicità, il nostro benessere. Nelle librerie è in vendita “L’Italia dei doveri” e tra le tante riflessioni dell’autore Maurizio Viroli vi propongo di condividere queste: “La prova più eloquente dell’importanza della libertà interiore è data dai molteplici tentativi, da parte dei regimi totalitari, di inibire le libertà civili, politiche e quella interiore, per dominare non solo le azioni ma anche le coscienze... Del resto, il primo passo dei regimi totalitari, fascismo in testa, è stato quello di minare la libertà di parola. Ma se tale diritto non è accompagnato dal dovere di ascoltare, la democrazia degenera nel governo dei ciarlatani dove tutti parlano e nessuno ascolta... Educare persone libere vuol dire educare persone che non solo non saranno mai sotto il nostro domino, ma sceglieranno forse una strada diversa da quella che avremmo desiderato che esse prendessero...”. Ecco perchè è un dovere difendere la Cultura ed un diritto viverla. Ma quella cultura che ci permette di interagire, non quella che ci vuole solo “clientes”.
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