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La crisi del maschio competitivo -  di Maria Fabbricatore

La crisi del maschio competitivo - di Maria Fabbricatore

I padri, oggi / 3 - Qual è, se c’è, una figura dominante del padre oggi? Come sta evolvendo e a quale ambito culturale si ispira? Ne parliamo con lo psicanalista Luigi Zoja

Maria Fabbricatore Domenica, 27/05/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2012

“La ricerca del padre si presenta nella letteratura e nel mito in tutte le epoche e in tutte le culture, questo mi fa pensare quindi che sia qualcosa di archetipico e di non legato ai tempi o ad altri”. Luigi Zoja, psicanalista junghiano, nel suo libro ‘Il gesto di Ettore’ ha affrontato il tema della figura paterna a partire dai miti fondativi. L’abbiamo intervistato per cogliere pienamente le sue riflessioni. “Nell’Odissea c’è la cosiddetta telemachia, ossia la ricerca di Telemaco del padre. Poi il ventesimo secolo ha compromesso la figura del padre sotto due aspetti. Da un lato, statistico, ha influito la novità dell’aumento dei divorzi e delle separazioni, accompagnata però dal fatto che i figli restano con le madri; ciò ha comportato che numericamente ci siano pochi padri di tipo nuovo. Poi c’è la crisi dell’autorità, del patriarcato, che trascina con sé anche la figura del padre, cioè il prestigio, il dare per scontato che la famiglia abbia una struttura un po’ piramidale. L’idea che il padre sia al vertice salta completamente”.

La figura del padre come autorità è importante nella attuale struttura sociale?

La figura del padre è importante in tutti i tempi, ma non può essere un’autorità superiore ad altre e, nella fattispecie, superiore a quella della madre. Nella modernità per una serie di motivi di critica culturale, sociologica perde l’autorità, e poi perde autorità anche per una serie di motivi simbolici. Sul piano simbolico il ventesimo secolo vede avanzare molto la laicizzazione, non ci si rivolge a “Dio padre onnipotente che sta nei cieli” quindi abbiamo una carenza di simboli. L’altra è la carenza simbolica più vicina, i padri “terribili” o “distruttivi”, quelli che hanno dato la morte invece la vita: i dittatori. Si era parlato ingenuamente di un ritorno del padre con le dittature (prima i fascisti, ma anche il comunismo nell’Unione Sovietica), in realtà quello che è avvenuto è il contrario. Le dittature, che si diceva potevano essere un ritorno simbolico del padre della patria, in realtà hanno accelerato una scomparsa del padre proprio perché si sono dimostrate distruttive. L’altro discorso che facevo nel mio libro dieci anni fa, e che sembra di valore non mutato e sostanzialmente attuale, rimane il fatto che con la critica al patriarcato, con la critica agli abusi dell’autorità paterna ecc, si è fragilizzata la figura paterna.

Mi può spiegare meglio questo concetto del padre fragile dei tempi moderni?

Non si sente più dotato di autorità e non c’è una base nuova che sostituisca quella vecchia.

Può essere solo questo? Nella nostra società il modello maschile è predominante rispetto a quello femminile, e nonostante questo la figura del padre come autorità è in crisi, e allora questo uomo fragile da dove viene fuori?

Non c’entra con il padre, ma c’entra con il maschile e non è la stessa cosa. Per schematizzare: nel femminile la madre e la compagna sono unite dai secoli e dai millenni, sono nella stessa persona, non ha difficoltà a passare da un ruolo all’altro, è un’idea più rotonda. Il padre è una costruzione moderna, culturale dell’occidente, quindi con i cambiamenti culturali viene messa in crisi l’identità maschile più dell’identità femminile. E quando viene messa in crisi torna fuori il maschile più animale, cioè il maschio competitivo. Da quando c’è la famiglia con quel minimo di strutturazione di società dovrebbe esserci un maschio che fa una scelta di vita e che è impegnato a stare con quella femmina, e soprattutto con quei piccoli, e ad assumersi responsabilità costantemente fino a che i piccoli crescono. Per una serie di circostanze, prima di tutto economiche, la nostra società favorisce molto questo tipo di maschio competitivo. Il padre nella tradizione è quello che limita i bisogni non in modo “castrante”. Il padre giusto dovrebbe essere quello che pone dei limiti al figlio. Quello che è molto interessante è che le statistiche ci dicono che esiste una forte relazione tra assenza di padri e un tipo di criminalità, infatti al sud la mafia recluta i giovani facendoli sentire dei duri. Accade che il padre è quello che da lo scapaccione, ma la madre non ce la fa a tenerli in casa. La mafia quindi fa appello a questo maschile animale combattente e va sottolineato che la nostra società valorizza molto questo maschile combattente.

Però questa competitività del maschio non aiuta a trovare un’autorevolezza all’interno della società è solo un istinto che conserva e basta…

Esatto, è solo un istinto senza programmi per il futuro. Penso ad una figura come Berlusconi, che voleva fare il padre della patria ma era solo un bambino. Al di là di ogni altra considerazione, era proprio da psicologia infantile.

In base alla sua esperienza questo padre si interroga sulla sua mancanza?

Sì, assolutamente. Molto spesso quelli che vengono in analisi sono padri separati che tristemente scoprono la paternità solo dopo la separazione. Si sentono in colpa, non sanno cosa inventare, sbagliano se fanno troppi regali ai propri figli…

E allora secondo lei qual è l’equilibrio che un padre dovrebbe avere?

Faccio l’analista e non il guru, bisognerebbe cambiare il mondo.

Quando un padre trova un equilibrio?

Quando ha un rapporto personale con i figli anche se ha perso il rapporto la compagna. Margaret Mead in Maschio e femmina di quasi cinquant’anni fa dice semplificando ‘a meno che un certo tipo di società e di cultura facciano disimparare alla madre a essere madre in linea di massima per cultura e istinto la madre è madre’. Invece per essere padre bisogna insegnarlo, bisogna che ci siano delle culture che coltivino questo e lei spiega la degenerazione molto bene. Lo svantaggio che hanno avuto gli afroamericani sradicati dai loro luoghi con la schiavitù è che avevano disimparato a fare il padre. Tra gli schiavi per centinaia d’anni non c’era una cultura che comportasse di essere padri. Lo svantaggio delle famiglie afroamericane non è solo economica ma è proprio questa antica perdita culturale.

I giovani padri di oggi sono più consapevoli

I giovani padri di oggi sono più coscienti e sempre più spesso li vediamo alle prese con carrozzine e pannolini.

Come se si volessero sostituire alla figura materna, forse più in competizione che in una ricerca di ruolo…

Esatto, è proprio il mio ragionamento. Come analista junghiano parlo di madre e padre come due figure psicologiche, c’è un’espressione che si usa spesso che è il “mammo”, ma è diciamo una vice madre, che va benissimo, ma prolunga quello che tradizionalmente è l’accudimento materno.

Ma l’accudimento del padre è una parentesi dei primi tempi perché alla fine i ruoli ritornano…

Si, ma è una parentesi anche gratificante per il padre, e poi tra l’altro in una società in cui lavorano anche molto di più le donne diventa necessario. Il problema che il ruolo tradizionale del padre nel senso più classico che è venuto a mancare entrava in funzione più tardi. Quella che ho chiamato una fase secondaria dell’educazione che poneva dei limiti, questo è venuto a mancare. Prima di fare l’applauso ai nuovi padri dobbiamo vedere se sono padri a ciclo completo oppure solo nella parte primaria. Perché poi con il figlio adolescente, al quale vanno posti dei limiti, lì resta scoperto col padre molto mammo.















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