Occupazione femminile - Per l’Italia l’obiettivo di Lisbona del 60% di occupazione femminile nel 2010 è ancora lontano. Siamo molto al di sotto della media dell’Unione Europea. E il Sud ancora di più
Donatella Orioli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2008
Donne al lavoro in Italia: ancora troppo poche, pagate meno degli uomini e ostacolate nei percorsi di carriera, per colpa anche di servizi sociali insufficienti. È questo lo stato dell’occupazione femminile in Italia, ancora in coda a quasi tutte le classifiche europee e non, sulle pari opportunità.
Su questi temi si è tenuta a Bologna una giornata di lavoro per confrontarsi sulle soluzioni operative volte a migliorare lo stato dell’occupazione femminile, a partire dal documento “Donne, Innovazione, Crescita”, Nota aggiuntiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri al Rapporto sullo stato di attuazione del programma nazionale di riforma 2006-2008, sulle iniziative per l’occupazione e la qualità del lavoro femminile nel quadro degli obiettivi europei di Lisbona. Al seminario di studio, tenutosi nei giorni scorsi e coordinato da Alessandra Servidori del Collegio Istruttorio del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, sono intervenuti rappresentanti del mondo economico e sociale, con una particolare attenzione alla componente femminile.
La prof.ssa Melina De Caro, Capo Dipartimento per le Politiche Europee della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha presentato la Nota da cui emerge un quadro poco confortante. L’Italia è ancora lontana dall’obiettivo di raggiungere il 60% di occupazione femminile nel 2010 come previsto dagli accordi di Lisbona. Nel 2006 questo tasso era del 46,3%, molto al di sotto della media dell’Unione Europea del 57,4% e lontano anche dall’obiettivo intermedio del 57% che era previsto per il 2005. È soprattutto al Sud che le donne incontrano maggiori difficoltà: qui il tasso di occupazione femminile è infatti del 31,1%.
Esiste ancora per le donne il “tetto di cristallo” che non consente loro di raggiungere ruoli di responsabilità e quando invece riescono a raggiungere i vertici, guadagnano in media il 26,3% in meno rispetto ai colleghi uomini. In generale il pay gap in Italia è del 23,3%
L’occupazione femminile è considerata una risorsa per l’economia ed è ormai dimostrato che non è più un ostacolo alla natalità: si fanno infatti più figli nei Paesi in cui le donne lavorano di più e in cui si investe maggiormente in politiche di conciliazione e servizi. In Italia resiste invece una cultura di discriminazione che relega le donne a lavori di servizio “femminili”, meno pagati, più precari dove l’avanzamento di carriera è più difficile.
Tra le misure a sostegno dell’occupazione femminile ipotizzate dalla Nota vi sono anche le politiche fiscali sia sul versante delle imprese che assumono personale femminile (riducendo il carico fiscale sulle aziende che assumono donne in aree svantaggiate), sia attraverso riduzioni fiscali sul reddito percepito dalle donne che lavorano, così da incentivarle a restare nel mercato del lavoro.
Alcune cose si sono già fatte e si stanno facendo: disposizioni della scorsa finanziaria prevedono infatti il sostegno all’imprenditoria femminile, stanziamenti per la diffusione della cultura e delle politiche di responsabilità sociale d’impresa, l’introduzione del congedo di maternità e parentale nei casi di adozione e affidamento, lo sviluppo di un piano contro la violenza alle donne, il contenimento degli incarichi, del lavoro flessibile e straordinario nelle pubbliche amministrazioni (favorendo invece il telelavoro e la riorganizzazione dei tempi di lavoro), il miglioramento dei parametri di calcolo della contribuzione figurativa.
È la maternità ancora oggi il primo problema per le lavoratrici che devono conciliare gli impegni familiari con quelli lavorativi in un contesto sociale che ancora non sostiene a sufficienza le famiglie. Ecco quindi che aumentano le dimissioni delle lavoratrici madri e i cambi di mansione al rientro dopo la gravidanza. Oltre ai problemi di conciliazione vi sono quelli legati alle discriminazioni che ancora colpiscono le giovani donne che devono affacciarsi al mondo del lavoro, considerate un potenziale costo per l’azienda perché “a rischio maternità”. Solo una cultura e una società miopi possono considerare la maternità un costo e non un valore, un investimento nell’attuale scenario di deficit demografico che stiamo attraversando e che rende la nostra società vecchia.
Il carico di cura che grava sulle spalle delle donne non riguarda soltanto i figli, ma anche i genitori anziani. Come ha osservato Flavio Delbono, Vice Presidente della Regione Emila-Romagna, nei prossimi anni la popolazione sarà polarizzata sui segmenti demografici con maggiori necessità di cura ed è necessario che la rete di welfare se ne prenda carico. Nella stessa Regione Emilia-Romagna, come spiegato da Paola Cicognani, Responsabile del Servizio Lavoro della Regione, nonostante i tassi di occupazione femminile abbiano ormai superato gli obiettivi di Lisbona, permangono degli squilibri per quanto riguarda la qualità del lavoro femminile, in termini di retribuzioni e stabilità occupazionale.
La scarsa occupazione femminile e la segregazione che coinvolge le donne nel mondo del lavoro rappresentano un danno per l’intera società e per l’economia in generale, perché rappresentano uno spreco di risorse e talenti che non possiamo più permetterci.
PROGETTO DONNA
Un modello organizzativo per metta al centro le persone
Negli ultimi decenni il mercato del lavoro ha subito dei cambiamenti macroscopici, e l’entrata massiccia delle donne nel mondo del lavoro è senz’altro uno degli elementi più innovativi. A questi mutamenti sociali ed economici non è però seguito un cambiamento nell’organizzazione del lavoro che è rimasta sostanzialmente invariata, poco attenta alla componente di genere e ai diversi bisogni e motivazioni delle donne. La convinzione che le aziende debbano essere “neutre” per garantire le pari opportunità al proprio interno, in realtà non è altro che una difesa del modello tradizionale che non è affatto neutro, ma risponde ad una cultura maschile.
La gestione delle organizzazioni è uno dei temi su cui si concentra l’impegno e l’attività del Centro Studi Progetto Donna, che opera a Bologna dal 1989 e che oggi è un network attivo su tutto il territorio nazionale, svolgendo attività di ricerca, formazione, consulenza per promuovere le pari opportunità nel mondo del lavoro.
L’idea alla base degli interventi di Progetto Donna è che il modello organizzativo vada rovesciato. Al centro delle organizzazioni devono essere collocate le persone, che sono le vere risorse in grado di generare creatività e innovazione. Il modello organizzativo tradizionale si ispira a procedure rigide da portare a termine senza tenere conto delle necessità e delle specificità di chi deve eseguirle, ossia le donne e gli uomini che lavorano. È necessario quindi passare ad un modello organizzativo che metta al centro le Risorse Umane, identificandone i diversi bisogni e le diverse motivazioni, perché più le persone sono motivate e soddisfatte del loro lavoro, più aumenta la qualità delle loro prestazioni. Si tratta di una strategia d’impresa che lega le Risorse Umane al business (il modello che si vuole diffondere è infatti denominato R.U.B.ess – Risorse Umane Business), con un’ottica particolare al genere e ai bisogni delle donne, che consenta loro di avanzare di carriera, conciliare al meglio la vita professionale e quella lavorativa, e portare all’azienda e all’organizzazione i vantaggi che la diversità di genere e l’impiego dei talenti di tutti possono apportare.
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