Leggi amiche - "Conseguenze negative sulla qualità e sulla quantità dell’occupazione femminile"...
Natalia Maramotti Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2008
Qualche numero addietro titolavo questa rubrica “Dimissioni in bianco: addio!”. Era l’occasione per commentare il contenuto della Legge 188/07, quella che cercava di mettere un fremo ai licenziamenti mascherati da dimissioni, quella che ci era sembrata un provvedimento con un favorevole impatto soprattutto sul genere femminile, sulle donne lavoratrici.
All’epoca le presentatrici della legge cercarono il consenso delle parlamentari militanti di tutti i partiti dell’arco costituzionale, all’epoca la legge aveva qualche nemico fuori, la Confindustria, e qualche nemico dentro al Parlamento, l’allora non ancora Ministro, Sacconi.
Ce lo ricordano le firmatarie per l’appello a difesa della legge 188/07, oggi che il decreto legge 112/2008 ha con l’art 39 abrogato l’obbligo delle dimissioni volontarie su modulo del Ministero.
Pare che il decreto legge citato, così come la legge di conversione del decreto, ossia la Legge 133/08, non sia molto attento all’impatto di genere che le norme sul lavoro possono provocare determinando conseguenze negative sulla qualità e sulla quantità dell’occupazione femminile.
Proviamo a scorrere alcune disposizioni partendo dall’art 39: la pratica della raccolta di fogli sottoscritti in bianco, di cui abusare compilandoli con una volontà di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro da parte del lavoratore, è diffusa soprattutto in concomitanza con l’assunzione di personale femminile. E’ una rozza “difesa” del datore di lavoro rispetto al “calo di produttività“ determinato dalla maternità. Troppe assenze perché il bambino è malato, una scadente propensione al lavoro straordinario, troppo frequenti le malattie di queste madri che contraggono continue patologie dai loro bambini e bambine.
Meglio rivolgersi nuovamente al mercato e cercare materiale più affidabile… che non manca.
Che dire poi del part time nel lavoro pubblico, ora che l’art 73 sostituisce all’espressione “avviene automaticamente”, riferita alla accettazione della richiesta di part- time, l’espressione “può essere concessa dall’amministrazione”; “potere” significa riservarsi una scelta, dunque se prima entro il limite della quota del 25% la richiesta era accolta automaticamente, ora “puo’” essere accolta. A chi pensate che possa nuocere maggiormente questa nuova disposizione? Senza dubbio alle lavoratrici che sono la percentuale di gran lunga maggiore di soggetti che usufruiscono del part-time, per esigenze di cura.
Contratto di lavoro a tempo determinato: non è trascorso nemmeno un anno dal protocollo del 23 luglio 2007 che introdusse le norme di stabilizzazione dei contratti a termine, rinnovabili fino alla durata massima di 36 mesi e successivamente un’ulteriore sola volta innanzi alla Direzione Provinciale del Lavoro; ora l’art 21 consente alle parti sociali, a ogni livello di contrattazione, di introdurre una disciplina ad hoc, anche in deroga alla norma di legge, sia rispetto alla stabilizzazione dopo 36 mesi, sia rispetto al diritto di precedenza delle lavoratrici e dei lavoratori a termine in caso di nuove assunzioni. Anche questa norma, in considerazione del fatto che il precariato è soprattutto femminile, inciderà maggiormente sulle donne lavoratrici.
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