La contrattazione di genere: una visione per il possibile
"Contrattare significa prima di tutto aver consapevolezza del valore che abbiamo a disposizione, per la collettività delle donne significa affermare nuovi criteri di attribuzione del valore e renderne visibile l’oggettiva presenza nella vita..."
Venerdi, 23/07/2021 - Piattaforma per una contrattazione di genere: questo è il titolo che abbiamo dato a un testo elaborato nel 2017 da un gruppo nazionale dell’UDI al termine di un percorso, durato tre anni, che ha visto il momento culminante nel seminario “Lasciateci lavorare”, di cui sono disponibili gli atti.
A tre anni di distanza ci troviamo collocate nella discontinuità introdotta dal Covid19 e quindi in un tempo che richiede almeno la revisione e aggiornamento dei criteri con i quali ci siamo mosse nella politica.
Nella storia dell’Udi considero questo testo il punto d’arrivo di una lunga storia di contrattazioni efficaci che hanno contribuito a conquistare una democrazia paritaria, come si usa dire, vincendo la lunga lotta per l’emancipazione, parola che la mia generazione, le femministe degli anni ’70, ha compreso pienamente solo nell’età adulta, quando abbiamo imparato a conoscere e vedere le lotte delle donne e la loro lungimiranza dentro il contesto di epoche e leggi che, proprio grazie a loro, ci sono state risparmiate.
Il testo (allegato in fondo) è già di per sé il frutto di una contrattazione collettiva sul significato dei termini come sulle richieste e se da un lato rappresenta una significativa elaborazione dell’associazione dall’altro non ha trovato realizzazione per la mancanza di condizioni concrete che consentano davvero la contrattazione, che non può mai essere solo un atto unilaterale, una dichiarazione di piazza, un piano attuabile direttamente, ma ha bisogno di pratiche agite da soggetti dentro luoghi, istituzionali e sociali, e perfino privati.
Questo testo non ha trovato una sua utilizzazione concreta ed è stato di fatto accantonato, spero temporaneamente, anche dall’Udi, perciò mi assumo la responsabilità di rendere visibili alcuni pensieri sparsi che mi hanno accompagnata nel lavoro e che non ho avuto modo di condividere.
Un contratto, come sappiamo, è più di un accordo e persino di un patto perché nella legislazione è anche un istituto giuridico regolato che riguarda prevalentemente il patrimonio.
Il patrimonio è, nel significato originario, il dovere del padre, ciò che spetta di fare al padre e a lungo la legislazione ha protetto la linea paterna e maschile delle proprietà ed eredità dei patrimoni.
La contrattazione stessa era ambito e prerogativa maschile, mentre le donne erano costrette a muoversi sul terreno ambiguo della manipolazione, dissimulazione, compiacenza, menzogna, servilismo, ancillarità per godere dei benefici dei capitali in circolazione, non solo di quelli economici ma anche dei capitali culturali e sociali, perfino minuscoli.
Imparare o meno a scrivere, anche in una famiglia proletaria, faceva la differenza tra maschi e femmine, così come poter accedere liberamente a luoghi esterni alla famiglia, fruendo di quel piccolo capitale sociale di conoscenze umane che favoriva le relazioni tra maschi mentre quelle tra donne, spesso molto più significative proprio ai fini della sopravvivenza individuale e famigliare, restavano invisibili e senza valore.
La maggior parte delle donne si è mossa a lungo in forme di contrattazione sommersa, implicita, allusiva più che prescrittiva e quando donne e gruppi hanno voluto presentarsi sulla scena politica hanno conosciuto la repressione violenta.
Del resto anche oggi i femminicidi sono sempre l’esito dell’incapacità da parte dell’assassino di tollerare l’autonomia femminile, rappresentano il rifiuto della contrattazione perfino quando è definita dalla legge.
Mi limito a questi cenni frettolosi per evocare una lunga e complessa storia che riguarda l’uscita delle donne dallo stato di minorità al quale erano state condannate dalla legislazione moderna e i diversi posizionamenti di donne e gruppi femminili dentro questa storia politica e sociale.
Tutta la storia umana può essere riletta anche dal punto di vista della capacità contrattuale delle soggettività sociali e politiche in relazione all’acquisizione delle risorse per la vita, quelle risorse che Bordieu definisce e rilegge appunto come la complessa intersezione di piani tra capitale economico culturale e sociale dentro il mondo che noi definiamo come “storia accumulata”[1].
Il contratto passa da pratica economica al pensiero politico proprio attraverso quella locuzione di contratto sociale che ipotizza il processo di contrattazione nell’emergere della società dallo stato di natura.
Chi ha potere assoluto fa un piano e lo impone, diversamente si contratta a tutti i livelli delle relazioni umane a cominciare da quelle più intime, da legami che sembrano naturali ma passano immediatamente dalla cosiddetta natura alla cultura sociale acquisita e poi rielaborata.
Chiunque abbia cresciuto una bambina o un bambino, anche in una relazione non genitoriale, conosce bene la complessità dialogica che si instaura quando emerge nelle piccole persone il bisogno di affermare la propria esistenza e l’intuizione che i propri sentimenti riguardano la vita e quindi la libertà di esprimerla nella sua potenzialità.
Il termine contrattazione riesce a nominare il confronto tra parti che misurano il reciproco interesse, perfino attraverso una valutazione non sempre cosciente, e quindi spesso difficile da esplicitare, delle proprie istanze fondamentali e del loro valore.
La contrattazione infatti riguarda sempre uno scambio di valore, che sia economico, simbolico o sociale e l’abilità delle parti riguarda il potere di stabilire i criteri del valore.
L’operazione sembra essere più facile sul piano economico ma i piani si intersecano e l’esempio più vistoso è proprio quello dell’appropriazione di tutto il lavoro o attività erogate prevalentemente dalle donne a sostegno invisibile, e quindi non riconosciuto, di tutto il piano economico degli scambi e accumulazione della ricchezza.
La parola contratto viene ripresa da Carol Pateman nel 1988[2] con l’intento di dimostrare in che modo proprio la narrazione che attiene al contratto sociale come fondamento del mondo politico moderno sia solo metà della storia, perché occulta il contratto sessuale respinto nell’oscurità del dato naturale per il quale il processo della riproduzione umana è analogo alla fertilità della terra, ricchezze naturali appunto di cui si regola l’appropriazione da parte degli uomini.
La cultura politica moderna è la strada maestra attraverso la quale il patriarcato si conserva modificando e adattando le strutture del dominio che restano prevalentemente inconsce, frutto di dispositivi che scattano prima che possiamo perfino pensarli, come avviene del resto per la lingua che parliamo, prima e più importante forma di espressione dell’essere umano e umana e deposito della cultura di lunghissima durata.
Aver presente la cultura implicita dentro la quale emerge ogni nuova contrattazione, anche la più minuta e concreta è quel processo che noi femministe abbiamo definito autocoscienza e significa affinare continuamente la capacità di ripercorrere le strutture simboliche e reali del dominio non solo nelle grandi scelte di vita ma nelle minuzie del vivere quotidiano e dell’interazione continua con persone istituzioni e complessità delle reti sociali nelle quali siamo inserite.
Per questo a me sembra utile la parola CONTRATTAZIONE per definire la cornice delle questioni che possiamo considerare ancora aperte per la piena esistenza sociale delle donne.
Contrattare significa prima di tutto aver consapevolezza di sé e del valore che abbiamo a disposizione, per la collettività delle donne significa affermare nuovi criteri di attribuzione del valore e renderne visibile l’oggettiva presenza nella vita reale.
Il fatto che lo sciopero, azione nonviolenta potente inventata dal movimento operaio, che dovremmo cominciare a definire anche in modo diverso per rendere visibile l’apporto fondamentale delle donne e quella presenza che, soprattutto in Italia, vide il protagonismo di categorie capaci di sfidare anche il fascismo, come quella delle mondine, non sia del tutto praticabile per i lavori della riproduzione, da quella biologica e domestica ad alcuni lavori sociali come la sanità e l’assistenza, ci deve suggerire che dobbiamo cercare un’altra strada collettiva e molto più incisiva e potente perché il tempo è arrivato.
Non mi dilungo su questa parte, sulla quale ho già scritto molto, ma l’ho accennata solo per ricordare che le lotte vincenti sono quelle che hanno radici profonde nella vita reale e quindi nella vita reale delle donne.
Una lotta può richiedere impegno e fatica, non mi piace usare la parola sacrificio che ha un’aura sacrale pericolosa, soprattutto per le donne alle quali il sacrificio è stato per secoli indicato come copione di vita, ma una lotta collettiva deve saper commisurare impegno e fatica con la meta e i risultati possibili.
Per questo avere chiara una piattaforma per la contrattazione è, a mio avviso, necessario per definire un percorso, le tappe, le azioni ma anche, non meno importante, le alleanze e, fondamentale, la rete di legami solidali che storicamente abbiamo definito sorellanza, anche e soprattutto per chiarire che la parola fratellanza, nella famosa trilogia politica rivoluzionaria, non ci comprendeva e quindi non ci riguardava.
Legami spesso ancora invisibili e fragili, tanto più oggi che la raggiunta emancipazione ha immesso le generazioni delle donne cresciute a partire dagli anni ’80 nell’opportunità di acquisire posizioni sociali pari agli uomini e di questa parità giuridica farne anche, purtroppo, omologazione al maschile, quando non direttamente asservimento e perfino approvazione acclamazione consenso, tornando inconsapevolmente proprio a quelle forme di dipendenza o addirittura subalternità, non del tutto occultate dallo status raggiunto, che le lotte per la parità volevano comunque superare.
Dal crollo del fascismo in Italia fino alla fine degli anni ’90 del Novecento le lotte delle donne, sparse, organizzate in associazioni, riunite in varie aggregazioni fino a quello che abbiamo definito Movimento, hanno conquistato la cittadinanza giuridica modificando gli accessi sociali come la cultura delle relazioni anche attraverso pratiche di contrattazione efficaci tra pensieri e condizioni diverse ma soprattutto tra donne con ruoli istituzionali e donne della società civile organizzata.
Una storia per molti versi invisibile che investe proprio la capacità di incontro, mediazione e quindi contrattazione tra donne per darsi reciprocamente forza e valore e farne buon uso nei luoghi istituzionali dove la presenza era numericamente scarsa.
L’incontro tra UDI e femminismo fu visibile nelle piazze ma trovò piena espressione al X congresso, dove le delegate provinciali regolarmente espresse dai circoli, così si chiamavano i gruppi dell’UDI che facevano riferimento a un Comitato provinciale, sono state invitate a portare una femminista, che nella maggior parte dei casi si iscrisse all’Udi mutandone in parte la rappresentazione politica.
Resta ancora sconosciuta e invisibile, nonostante pubblicazioni e testimonianza, anche a causa delle gravi deficienze di scuola e università, la storia delle relazioni tra donne dentro il Parlamento, dalla Costituente agli anni ’90, appunto, che si fondava anche su vaste e consolidate relazioni con l’associazionismo femminile.
L’UDI stessa è stata a lungo il luogo di forza per le donne elette nelle istituzioni da un partito per la contrattazione dentro il partito stesso. Ricordo sempre che nella comunicazione informale del PCI si distingueva tra le donne comuniste e le comuniste dell’Udi.
Una storia ancora da indagare, che ci sarebbe utile conoscere proprio per le competenze inventate e accumulate sul piano della capacità di contrattazione, dietro la quale c’era la consapevolezza dell’esistenza collettiva che, pur nelle multiformi differenze, riusciva a costruire condivisioni vincenti.
La stessa contrattazione ha attraversato il cattolicesimo grazie alle donne dentro le associazioni tradizionali e poi, soprattutto, nelle riflessioni e pratiche religiose di molti luoghi, come ad esempio le Comunità di base.
Con il femminismo abbiamo reso visibile l’intollerabilità dei vissuti femminili nelle relazioni più intime e abbiamo reso visibile la contrattazione dentro le coppie e le famiglie, riassumendo la pratica disseminata nelle tante storie di vita con lo slogan “il personale è politico”.
Personale per dire che tutto ciò che attiene all’esistere come persone ha un aspetto politico, a cominciare dall’attribuzione del genere alla nascita e dal significato sociale attribuito alla differenza sessuale femmina-maschio in relazione alla sessualità e riproduzione.
Abbiamo contrattato continuamente, ma non abbiamo quasi mai usato la parola contrattazione per definire l’azione politica che agivamo, politica anche quando era personale.
La vita viene prima delle parole che la raccontano perché la vita accade e le parole ci servono per comunicarla, dovrebbero servirci per comprenderla ed esprimerla ma qualche volta la cancellano, la camuffano, la distorcono.
Per questo trovare la parola efficace per dire, come evocava il bel titolo di un libro di Marie Cardinal, ci porta su un piano di esistenza e, per noi, di esistenza politica.
Entriamo nella vita sociale con un nome e un cognome che indicano una contrattazione avvenuta, in privato per il nome, dentro le leggi che disegnano il patto sociale per il cognome.
L’attribuzione del cognome indica l’affiliazione da parte di adulti e adulte nei confronti di un/una minore e indica sempre il piano simbolico delle relazioni umane innanzitutto tra i due generi maschile e femminile, e di conseguenza il piano materiale delle condizioni in cui veniamo collocate e collocati con la concretezza dei diritti ereditari economici, determinati nelle leggi, ma anche l’accesso ai capitali culturali e sociali veicolato dalla prossimità e appartenenza famigliare.
La democrazia è prima di tutto un sistema di regole condivise per la costruzione di un terreno di contrattazione, sempre mobile e aperto all’invenzione delle soggettività politiche.
Inizialmente escluse come genere, incluse in forme paritarie che ci assomigliano poco, ora forse è tempo di inventare il nuovo, proprio a partire dalla consapevolezza della nostra capacità contrattuale.
La Piattaforma dell’Udi è stata un tentativo in questa direzione e può avere un valore perfino oltre la mera testimonianza storica, me lo auguro.
In DONNE E POLITICA IERI OGGI E DOMANI: UNIAMOCI PER ESSERE LIBERE TUTTE, Atti del Convegno dell’A.DO.C. Assemblea Donne del PCI, Milano 3 ottobre 2020, Ed. La città del sole, 2021
[1] Cfr.: Pierre Bourdieu, Forme di capitale, Armando editore, Roma 2015
[2] Cfr.: Carol Pateman, Il contratto sessuale, Editori Riuniti, Roma 1997
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