Martedi, 01/03/2022 - La terza serie televisiva di "L’amica geniale", tratta dall’opera di Elena Ferrante, si è da poco conclusa e, ripercorrendo con la mente la storia di Elena (Lenù) e Raffaella (Lila), personaggi che vivono quarant’anni di amicizia in costante rivalità, dal boom economico della Napoli degli anni ’50 fino agli anni ’90, una particolare vicenda di questa ultimo appuntamento televisivo offre l’occasione di uno specifico approfondimento. Durante un episodio della saga, ambientato negli anni ’70, si è avuto modo di assistere ad un dialogo tra le due protagoniste ed una donna, che avrebbe a loro consegnato di lì a poco una prescrizione medica per un farmaco particolare, ossia la pillola contraccettiva. Alla richiesta di Lenù e Lila sui motivi concernenti la difficoltà a procurarsela, l’interlocutrice risponde: “La pillola si usa ma non è proprio legale. Facciamo finta che serve ad un’altra cosa. Qua siamo un po’ ipocriti, facciamo finta che si usa per fini terapeutici, ad esempio, per regolare il ciclo. E si dà alle donne sposate”.
Una fiction televisiva consente, dunque, di rappresentare quella che era la realtà della contraccezione di quegli anni in Italia, illegale fino al 10 marzo 1971, giorno che ha rappresentato una data storica per le donne che finalmente poterono utilizzare la pillola anticoncezionale, cominciando il fondamentale percorso verso l’acquisizione delle libertà di scelta in fatto di maternità, in piena autonomia dalla volontà di compagni, di fidanzati, di mariti. Difatti in quella data la Corte Costituzionale abrogò l'articolo 553 del codice Rocco, che vietava la produzione, il commercio e la pubblicità degli anticoncezionali. Il suddetto articolo così recitava “Chiunque pubblicamente incita a pratiche contro la procreazione o fa propaganda a favore di esse è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire quattrocentomila. Tali pene si applicano congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro”.
Quando nella puntata di L’amica geniale abbiamo sentito la donna definire ipocriti gli italiani era perché la pillola contraccettiva, in vendita come tale negli Stati Uniti fin dal 1960 e arrivata nel nostro Paese solo nel 1967, era somministrata come terapia delle irregolarità mestruali. In tal modo si aggirava l’ostacolo dell’illecito penale previsto e della conseguente sanzione, ma comunque poteva essere prescritta solo alle donne sposate. Le ragioni di tale scelta erano puramente ideologiche e risiedevano anche nell’influenza perpetrata in quegli anni dalle gerarchie ecclesiastiche al riguardo della capacità riproduttiva delle donne, finalizzata a loro modo di vedere esclusivamente alla maternità. Ciò comportava che, pur in presenza della depenalizzazione della contraccezione a seguito della pronuncia della Corte costituzionale, essa fosse tutt’altro che praticabile.
Difatti era rimasto in vigore il divieto di vendita nelle farmacie dei contraccettivi, in virtù di norme risalenti al 1927 (Regolamento per la registrazione dei farmaci), che non permetteva la registrazione dei presidi medico-chirurgici con finalità anticoncezionali. Per tale motivo occorreva che i contraccettivi fossero somministrati sotto mentite spoglie e così la pillola fungeva da regolatrice del ciclo mestruale, mentre gli spermicidi da antisettici per l’igiene intima femminile. Fu l’AIED, l’Associazione Italiana per l’Educazione Demografica fondata nel 1953, a mettere in campo in quegli anni una rilevante mobilitazione, tale da indurre nell’ottobre del 1976 l’allora ministro della Sanità, Tina Anselmi, ad abrogare con decreto quelle norme, consentendo la vendita della pillola nelle farmacie come farmaco contraccettivo, in piena autonomia. Il clima ideologico era mutato anche a seguito del cambio di passo della Chiesa cattolica, che palesò un atteggiamento meno sfavorevole al controllo delle nascite, accettando però la sola contraccezione naturale.
Lo scorso anno, più precisamente il 10 marzo, si è commemorato il cinquantenario della pronuncia della Corte Costituzionale in tema di depenalizzazione della contraccezione, ma nel nostro Paese non possiamo dire che si sia affermata e diffusa in questo lasso di tempo una cultura contraccettiva degna di tal nome, in quanto idonea ad impedire il ricorso delle donne all’aborto e capace di creare consapevolezza in tema di pianificazione familiare e scelte di genitorialità. L’Atlas europeo 2019, che misura l’accesso alla contraccezione in 45 Stati del nostro continente, colloca l’Italia in ventiseiesima posizione con un tasso del 58%, molto distante da Gran Bretagna, Francia e Spagna e molto vicino a Paesi come la Turchia e l’Ucraina. A questo dato si aggiunge la consolidata tendenza ad optare per sistemi contraccettivi meno efficaci e più arretrati come, ad esempio, il coito interrotto, che al proposito occupa ancora il terzo posto (20%).
Una situazione del genere è originata in Italia dalla mancanza d’informazioni istituzionali sulle tecniche contraccettive e dalla insufficienti politiche di rimborso dei contraccettivi o di loro distribuzione gratuita. La prima causa è dovuta al continuo e pervicace depotenziamento dei consultori familiari, nati nel 1975 con la funzione di tutelare la salute riproduttiva delle donne e che invece negli ultimi anni sono stati scarsamente finanziati e sprovvisti del necessario personale, con rilevanti diversità tra regioni settentrionali e meridionali, ad eccezione della Puglia. La scelta del coito interrotto come metodo contraccettivo risiede invece nel rilevante costo dei contraccettivi e nella loro complicata reperibilità. Il prezzo di un diaframma, ad esempio, si aggira intorno ai 50 euro circa, mentre una spirale ormonale può arrivare a costare oltre i 240 euro. Nello specifico è tutta la contraccezione ormonale ad avere un prezzo elevato e dal 2016 non è più rimborsabile dal sistema sanitario nazionale. Infatti l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha classificato la pillola ormonale in fascia C, ossia interamente a carico delle donne, finanche laddove si prenda per motivi terapeutici.
A queste criticità deve, necessariamente, aggiungersi che l’89% dei ragazzi e 84% delle ragazze ricerca online le informazioni di cui abbisogna al riguardo della salute sessuale e riproduttiva, a riprova, semmai ce ne fosse ulteriormente bisogno, dell’impellente necessità di introdurre l’educazione sessuale e affettiva come materia di insegnamento sui banchi di scuola. «Siamo del tutto inadempienti rispetto agli standard europei che seguono linee guida Oms in materia di modalità “formali” per l’educazione sessuale, affettiva ed emotiva dei giovani nelle scuole. Alle nostre figlie, e ai nostri figli non restano che i modi “informali” che arrivano da amici o genitori, più spesso dal web e ovviamente anche dai siti pornografici», chiarisce Mario Puiatti, presidente AIED. Come possiamo comprendere da questo quadro, fin qui delineato sulla situazione odierna della contraccezione in Italia, continuiamo ad essere un Paese di “ipocriti”, anche a distanza di quarant’anni dalla rappresentazione televisiva operata da L’amica geniale. Il motivo risiede nella circostanza che rimaniamo ambigui sui temi della maternità consapevole, che è invece un diritto di libertà, nonché un patrimonio comune di civiltà.
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