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La collera e la speranza

La collera e la speranza

Biodiversità / 3 - Intervista a Chiara Campione, responsabile per la campagna foreste di Greenpeace

Capati Valentina Lunedi, 25/10/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2010

Chiara Campione è una di quelle che il mondo lo vuole cambiare. 

È palermitana, è impegnata, è un’attivista e, piena di vita fino alla voce, racconta a Noidonne l’importanza dell’educazione al rispetto di quella miniera che è la biodiversità e di come essere una ‘donna capace di indignarsi’ l’abbia aiutata nel suo importante lavoro.

“La mia campagna – ci spiega - come molte altre si incentra in maniera capillare sulla conservazione della biodiversità e quindi sul mantenimento degli ecosistemi. Nel particolare per le foreste l’attività che svolgo è focalizzata a far passare questo messaggio: non possiamo più permetterci di consumare prodotti e derivati di origine forestale che non siano ecosostenibili. Noi italiani siamo divoratori di foreste”.

Poi dipinge l’affresco di un’Italia da ‘primato’.

“Siamo -continua- il primo porto per l’ingresso illegale di legni africani che vengono poi utilizzati per i mobili, gli infissi o per i ponti delle barche a vela. Siamo i primi importatori di carta dall’Indonesia, stiamo effettivamente distruggendo le foreste indonesiane che sono forse le meno conosciute ma anche le più importanti in termini di biodiversità e specie in via di estinzione. Alle foreste si stanno sostituendo le coltivazioni di acacia dalla quale si ricava la carta che diventa libri che regaliamo ai nostri figli e quaderni…e poi c’è l’olio di palma. L’Italia è tra le più influenti importatrici di questo olio che finisce nei cosmetici e nei prodotti agroalimentari. Le nostre scarpe, il cuoio. In gran parte sono proprio gli allevamenti bovini a contribuire alla deforestazione amazzonica. Il punto focale del mio lavoro è quello di veicolare un chiaro messaggio ai consumatori: dobbiamo responsabilizzarci sin dalla scelta delle cose base, sin dalla scelta della carta igienica”.

“Certo -sottolinea- la responsabilità non è solo sulle spalle dei consumatori, il nostro impegno è rivolto anche alla sensibilizzazione dei governi al fine di incentivare mercati regolamentati e certificazioni”.

Una laurea in agronomia, un dottorato in sistemi arborei e una buona eredità, quella dei nonni. I materni, come si legge nella sua biografia, amavano la natura, il mare, i parchi e, da siciliani, l’Etna. Quelli paterni erano agricoltori e le hanno inculcato il rispetto per madre terra.

Non è un lavoro semplice quello di Chiara, forse non è un lavoro quanto piuttosto una missione, dove ci vuole impegno e competenza, ma soprattutto passione e quel pizzico di sale che lei descrive così: “Sono un’attivista ancora prima di Greenpeace, sono di Palermo e mi sono sempre impegnata sul fronte dell’educazione alla legalità soprattutto dopo le stragi del 1992. C’è una qualità derivata dal mio gender, una qualità di noi donne che è molto importante per un’attivista, è la capacità di indignazione costruttiva. È grazie a questo che siamo capaci di trovare soluzioni”.

“C’è un grande insegnamento -continua- che ho trovato tra le righe delle inchieste di Giuliana Saladino, palermitana pure lei e grande giornalista “finché non c’è collera non c’è speranza”. È il mio motto. Senza indignazione non c’è reazione, non si individua cosa c’è veramente che non va”.

“L’attivismo- rassicura- ha spazio e margine d’azione per le donne, tra i nostri migliori climber e dialogatori ci sono proprio loro, grandi coraggiose. L’attivista donna in Greenpeace è una figura diffusa. Nel mondo e anche in Italia”.

È proprio vero le buone notizie hanno sempre messaggeri speciali.



Lei chi è


Chiara Campione è in Greenpeace dal 2007. E stata quella che definisce ‘la mail della vita’ ad aprire la strada: “a Greenpeace si è aperta la posizione campaigner foreste”. Un colloquio di successo e poi l’impegno nell’Onlus che considera una vera e propria famiglia.

Il momento più duro della sua esperienza nel 2009, in Indonesia.

Era lì per raggiungere il Campo di resistenza climatica nella penisola di Kampar, costruito nel cuore della foresta pluviale per chiedere ai leader mondiali di fermare la deforestazione. La polizia ha bloccato lei ed altri attivisti, li ha minacciati di ispezioni corporali e poi espulsi dal paese accusandoli ingiustamente di attività illegali che non hanno mai commesso.

Una prova dura, da cui esce più forte e più ‘indignata’ che mai.

 

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