Torino, stagione d'opera 2007/2008 - Lo spettacolo ha suscitato interesse continuo, non solo per le qualità vocali e interpretative degli artisti...
Mirella Caveggia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2008
Dalla Roma imperiale dell’era cristiana alla Roma anni Venti dell’era fascista: una transizione azzardata, ma geniale, quella del regista inglese Graham Vick, che per il Teatro Regio di Torino ha allestito La Clemenza di Tito di Mozart. Grandi consensi e qualche mugugno per i benpensanti tradizionalisti sconcertati da camicie nere, gagliardetti e manganelli anche in azione.
Composta in poco più di un mese nel 1970 per celebrare l’ascesa al trono boemo di Leopoldo II, La Clemenza, definita all’epoca “una porcheria tedesca” dalla poco benevola sposa del sovrano, ma anche “l’opera più perfetta di Mozart” dal suo biografo Niemetschek, contiene alcune arie fra le più felici del grande salisburghese. Se da un lato l’impertinente mutazione, non esente da ironici tratti caricaturali, può disorientare, dall’altro, con la sostituzione della fissa luminosità classica con la luce ambigua di un’epoca più recente, rivitalizza un’opera segnata dal suo tempo e poco rappresentabile per la profusione dei recitativi e la presenza dei cantori castrati. Ormai introvabili, queste voci un tempo alla moda, nella modernissima e audace edizione del Regio di Torino sono state sostituite da soprani eccellenti perfettamente calati in travestimenti maschili.
Nella scena superba di Jon Morrell - un interno di lusso senza arredi, dalle ampie linee curve, che lascia intravedere la monumentalità delle architetture esterne e persino un incendio autentico - si svolge la vicenda (libretto di Caterino Mazzolà su un testo di Metastasio). L’imperatore Tito Vespasiano (tenore Giuseppe Filianoti, in pastrano militare, stivali, berretto a visiera o in smoking bianco) esce incolume da un attentato ordito per vendetta amorosa da Vitella (Carmela Remigo, soprano) e messo in atto senza esito da Sesto (Monica Baccelli) pazzo d’amore per lei e grande amico di Tito. Preferendo essere amato piuttosto che temuto, il sovrano perdonerà infedeltà e tradimenti risparmiando la vita ai condannati. Lieto fine, dunque, ma nella cornice della solitudine e delle trame che insidiano i potenti.
Ottimo il cast in cui svetta la stupenda soprano “en travesti” Monica Baccelli, voce agile, vellutata e molto espressiva; felice l’esecuzione dell’Orchestra del Regio diretta da Roberto Abbado, che ha inserito strumenti d’epoca consoni all’opera. Stupendi i costumi anni Venti, delle signore del Fascio. Qualche riserva qualcuno l’ha avanzata sulla regia distaccata di un britannico che ha impresso un impeto gestuale e canoro forse eccessivo, e affondando nell’aggrovigliata matassa emotiva dei personaggi si è abbandonata a qualche stranezza. Ma lo spettacolo ha suscitato interesse continuo, non solo per le qualità vocali e interpretative degli artisti, ma anche per l’evocazione accurata e la resa perfettamente oleografica di un clima che ha dato qualche brivido e si è rivelato molto gustoso e di sicura presa. Tanto che in alcune scene di quest’opera Dario Argento ha trovato spunti per il thriller intitolato Giallo che sta girando a Torino, mentre Raitre lo richiamerà con “Prima della prima” e Canale5 lo ha inserito il 31 maggio alle ore 8,50 nell’ultima puntata di “Loggione”, l’appuntamento televisivo con la grande musica.
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