Intenso racconto di una saga familiare che ruota intorno a storie di emigrazione, per ricordare che anche noi siamo stati un popolo di migranti in cerca di migliori condizioni di vita, con la sua dose di disagio, amarezze, nostalgia e creatività.
Mercoledi, 30/09/2015 - La passione per la scrittura di Sina Merino, immigrata figlia di Italiani in Svizzera, la conduce a intraprendere un viaggio in Argentina per esplorare la vita di una “zia speciale”. Ormai anziana pensionata, Anna, nata a Caposele (provincia di Avellino), classe 1934, è sempre stata una donna volitiva, che pur avendo soltanto la seconda elementare, ha imparato a fare i calcoli a mente, a scrivere e a leggere, ma ancor più, dall’esperienza. Acuta e intraprendente, ha sacrificato l’intera esistenza per aiutare la famiglia. Indagando sul suo passato, Sina ne srotola, come il filo di una matassa, i “segreti” che disvelano una saga familiare. Anna le racconta usi e costumi di quel paese di origine dell’hinterland irpino, all’epoca arretrato, delle usanze prematrimoniali, della verginità delle ragazze, delle ipocrisie, della povertà, della mancanza di acqua, corrente, e strade. Le svela che sua madre aveva voluto seguire il padre innamorandosi dell’idea di emigrare in Svizzera ed era fuggita con lui, appena sedicenne. Quando il nonno scoprì che erano scappati insieme, picchiò il ragazzo e, per salvare l’onore della famiglia, lo costrinse a riparare. Una volta sposati, entrambi poterono cominciare una nuova vita in Svizzera. Dopo la sua nascita, però, mentre lui socializzava, eccelleva con la fisarmonica e componeva canzoni, vestiva elegantemente e usciva, la madre si rifiutava di seguirlo: era caduta in depressione. Nel 1961 Anna, contrariando il padre, che perdeva il suo “asino da lavoro”, affrontò un lungo viaggio in treno per raggiungere la ricca Svizzera, dove, grazie ai fratelli che l’avevano preceduta, poté lavorare in una cartiera. Coi primi guadagni comprò scarpe buone e tutte per sé, non più costretta a dividerle con le sorelle o a calzarle solo di domenica. Come poté comprarsi vestiti, cappelli, borse, biancheria intima, collant e persino un orologio. Tutta la famiglia lavorava nella cartiera: si era ben trattati, ma si lavorava sodo e per molte ore. Vivevano tutti in una grande casa panoramica, in collina: il mercato immobiliare scarseggiava e per di più, agli stranieri non affittavano gli appartamenti di buon grado. Al benessere economico faticosamente conquistato, si contrapponeva la nostalgia per la propria terra e la difficoltà a imparare la lingua, ma si riusciva a stare insieme in allegria, insospettendo gli Svizzeri, che non ne comprendevano il temperamento aperto e la lingua. Ma la vita di Anna stava per cambiare di nuovo, per onorare una promessa fatta nel 1954, allorquando, su insistenza della di lui madre e della sorella, sposò per procura un amico conterraneo emigrato in Argentina. La procura firmata da lei tornò indietro un anno dopo con la firma dell’uomo e così i due erano sposati: quel giorno Anna si vestì da sposa senza lo sposo e le fecero una foto… Avrebbe dovuto seguirlo poco dopo, ma quell’arco temporale durò dieci anni, durante i quali non si videro né sentirono. Per lettera lui le sconsigliava di raggiungerlo perché non poteva mantenerla: viveva in un capanna di lamiera nel quartiere povero degli Italiani. Anna, che intanto aveva guadagnato abbastanza in Svizzera, fu sollecitata dal fratello maggiore a raggiungere e aiutare il marito. Nel 1964 s’imbarcò da Napoli per l’Argentina in terza classe con un biglietto di sola andata, molte incognite e tanta tristezza. Diciassette lunghi giorni in cui soffrì il mal di mare, che non aveva medicine per curare e in cui si ripromise che mai più avrebbe viaggiato in nave. Nonostante i tentativi della cognata di farle spezzare la promessa, non se l’era sentita di venir meno al suo dovere: avrebbe “perso la reputazione” e ingannato la sua famiglia. Con il marito imparò a volersi bene, ma non era certo amore passionale. Non senza malinconia, cominciò la vita matrimoniale e nacquero due figlie. Fu lei ad aiutare il marito indebitato e il resto della famiglia, acquistando la prima casa, dove l’uomo impiantò una falegnameria. Nel 1975 decise di aprire una sua attività e, forte dell’esperienza maturata in Svizzera, fondò una cartiera, che le avrebbe consentito di diventare ricca, comprare immobili e viaggiare. L’incontro intenso ed emozionante tra zia e nipote, fornisce l’occasione per parlare della storia dell’Argentina, terra “negli ultimi quarant’anni delusa e torturata”, racconta l’anziana donna, da avvenimenti politici cruenti. Da Peron alla Junta militare che nel 1976 lo rovesciò, per instaurare con Videla un regime corrotto e immorale, responsabile di violenze e torture inaudite sui civili, dissidenti e oppositori, nonché della scomparsa di migliaia di oppositori, i Desaparecidos. Anna allora avrebbe voluto lasciare il Paese, ma per diversi impedimenti, non ci riuscì. Il viaggio di Anna è anche nei rimpianti, nella nostalgia per la terra natia, per la Svizzera e per la sua famiglia, sacrifici mitigati solo in parte dal benessere economico raggiunto, insufficiente a colmare quelle profonde, incancellabili lacune dell’anima.
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