Sabato, 24/07/2010 - 23 luglio 2010. Sulla decisione della Corte Costituzionale che permette misure cautelari alternative al carcere per i reati sessuali, le reazioni della Ministra Carfagna sono inutili e ancora una volta espressione della politica del Governo Berlusconi che cerca di stravolgere i principi fondamentali del nostro ordinamento con la legislazione dell’emergenza.
Prevedere per legge la misura cautelare più gravosa, quella della custodia in carcere, come obbligatoria, vuole solo rassicurare la collettività ma di fatto non tutela davvero chi è vittima di questa tipologia di reati, che spesso si ritrova da sola ad affrontare le fasi del processo e quelle successive. Anzi, paradossalmente danneggia le donne vittime di violenze sessuali commesse da conoscenti, compaesani, amici. Ad esempio nei reati di violenza sessuale la valutazione della gravità della condotta è più severa quando l’azione è commessa da un estraneo e su strada; al contrario, per le violenze che avvengono all’interno delle relazioni di lavoro, familiari, amicali, molto spesso viene riconosciuto un minore disvalore sociale, che a volte si traduce addirittura nella applicazione di una pena nei limiti della sospensione condizionale. E le violenze sessuali commesse da uomini conosciuti sono quelle statisticamente prevalenti. Quale tutela allora per la maggior parte delle vittime di violenza sessuale?
Si deve prendere atto che in Italia c’è un diffuso clima culturale sessista che permea non solo chi commette questi reati, ma qualche volta anche chi è chiamato a decidere sugli stessi.Tuttavia non si può pensare che il problema si risolva prevedendo la carcerazione come obbligatoria: il problema è culturale, e si risolve da un lato decostruendo gli stereotipi patriarcali sul ruolo della donna all’interno della società, e dall’altro con una adeguata formazione dei magistrati.
Anziché imporre ai magistrati la carcerazione obbligatoria dell’indagato è decisamente più opportuno provvedere alla formazione specifica delle forze dell’ordine e della magistratura affinché venga garantita la protezione delle vittime di tali reati, con un uso adeguato di tutte le misure cautelari previste dal nostro ordinamento.
Questo richiede molte più risorse ovviamente, forse è per questo che nessuno ha il coraggio di parlarne.
Ma è questo quello che le donne che denunciano si aspettano: non vendetta, ma protezione, e il ritorno a una vita libera dalla violenza. Questo è diritto fondamentale che lo Stato ha l’obbligo di garantire sì, ma con gli strumenti adeguati.
L’incolumità psico-fisica della vittima non trova la sua massima tutela nella sola privazione della libertà dell’indagato nella fase preliminare del procedimento, ma piuttosto e soprattutto in una adeguata rete di protezione che è obbligo del Governo prevedere, garantire e attuare.
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