Arte/ L’esposizione internazionale di Venezia - Approdano a Venezia due curatrici dopo una lunga serie di direzioni maschili
Redazione Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2005
È donna la “51 Esposizione internazionale di Venezia”. La svolta è avvenuta a cominciare dalla direzione composta per la prima volta nella storia da due curatrici, le spagnole Rosa Martínez e María de Corral. La scelta ha avuto una ricaduta benefica sull’intero impianto della manifestazione che finalmente vede la partecipazione di un buon numero di artiste.
Negli spazi dell’Arsenale si è accolti da un “Benvenuti alla Biennale femminista”, scritto sul manifesto delle Guerrilla Girls, gruppo di artiste americane che dal 1985 organizzano azioni di guerriglia cittadina mascherate da gorilla, attaccando manifesti contro il maschilismo dei direttori di musei e dei galleristi occidentali.
Poi l’attenzione dei visitatori è calamitata da altre scritte: “Non dirmi cosa fare. Non dirmi dove andare. Non guardarmi così. Non farmi promesse”. E ancora: “Liberate le donne artiste di Venezia. I musei tengono il 91% delle donne nei depositi. Ditegli che volete più donne allo scoperto”.
La campagna per il referendum sulla procreazione assistita, che ha coinciso con i giorni dell’inaugurazione della Mostra internazionale, ha reso di maggiore impatto il messaggio di marca femminista di alcune opere. Come il grande lampadario della franco-portoghese Joana Vasconcelos (classe 1971), assemblato con 25mila assorbenti igienici interni: l’intimità del ciclo femminile esplode e cala dall’alto come un bianco, soave abito da sposa reso con sfacciata ironia. Dall’altra parte del canale, all’ingresso del Padiglione Italia, Monica Bonvicini accoglie i visitatori con un altro lampadario: un assordante ‘Mitra-trapano’ appeso al soffitto, mentre l’ambiente intorno è rivestito dall’americana Barbara Kruger con un originale ‘Tatuaggio murale’.
Il padiglione Italia è intitolato da Marìa de Corral ‘L’esperienza dell’arte’. “Non c’è un tema - spiega la de Corral - ma una cosmologia. Gli artisti sono legati da un fil rouge che è il loro modo di vedere il mondo e raccontarlo. La mia mostra non vuole essere uno spettacolo, ma un viaggio nell’intimo dell’artista".
Mentre Rosa Martínez - che ha al suo attivo le biennali di Istanbul, Mosca, Manifesta I e Pusan in Corea – ha allestito i nove mila metri quadrati dell’Arsenale, tra Corderie e Gaggiandre, con "Sempre un po’ più lontano": "Un titolo – spiega - che cita la mia fonte d’ispirazione: Corto Maltese, il personaggio d’avventure ideato dal fumettista veneziano Hugo Pratt".
Tra le opere di 419 artisti, presentate nelle 105 esibizioni che compongono l’intera Biennale, spicca il video-polittico della coreana Kimsooja, dove l’artista si autoritrae immobile di spalle in mezzo ad una massa di persone che le camminano controcorrente, una sorta di invito poetico ad un bagno di folla, a rendersi disponibili all’incontro con città e civiltà del mondo. E c’è l’americana Jennifer Allora e il cubano Guillermo Calzadilla portano un ippopotamo gigante di fango, con una ragazza seduta in groppa a leggere quotidiani suonare un fischietto ogni volta che legge un’ingiustizia.
La giapponese Mariko Mori regala "Wave Ufo" la gigantesca balena-astronave lucida e piombata piena di effetti speciali elettronici e digitali. È una sorta di Ufo in mezzo alla Biennale che si trasforma nella camera dei sogni e delle allucinazioni del pubblico. Registra le onde cerebrali, paure, ansie e deviazioni del pensiero collegando la persona al circuito visionario e si parte per sette/otto minuti di «trip» inconscio.
C’è poi l’arte di denuncia, nel funerale in presa diretta con scelta di colonna sonora nel memorial per i caduti della ex Jugoslavia ed i torturati universali della tedesca Paloma Varga Weisz che rimandano a Abu Ghraib.
E c'è la body-artist Regina José Galindo, guatemalteca, che riporta alla presa di contatto con il personale, mettendo in mostra una operazione di imenoplastica, un vero shock per lo sguardo e poi si fustiga dentro un'architettura di cemento che la seppellisce nel suo dolore-martirio.
Da non perdere, le opere pittoriche. I due grandi e suggestivi trittici, targati anni ’79 e ’80, di Francis Bacon, provenienti da collezioni private; i sette meravigliosi dipinti mai visti prima della sudafricana, ma olandese d’adozione, Marlene Dumas, alcuni realizzati per l’occasione e altri attinti dalla sua collezione privata; le opere fumettistiche di Philip Guston, le potenze materiche di Antoni Tàpies sempre vertiginose, i giochi di incastri geometrici e colori primari del messicano Gabriel Orozco; gli interni metafisici-pop del tedesco Matthias Weischer.
Tra i video, c’è un delizioso "La Vista" dell’ex enfant-prodige argentino Leandro Erlich, oggi trentaduenne, realizzato tra il 1997 e il 2004, che strizza un occhio all’idea della "Finestra sul cortile"; e c’è un claustrofobico "Factory", il lavoro del taiwanese di culto Chen Chieh-jen che propone un video del 2003 sulla rioccupazione di una fabbrica di indumenti. Elegante e poetico il sudafricano William Kentridge, che presenta una grande installazione composta da nove video singoli del 2003 montati insieme per l’evento veneziano. Ipnotico è invece l’americano Bruce Nauman, con una videoinstallazione che induce a riflettere sulla natura del potere, dove una cantilenante voce fuori campo impartisce indicazioni ad mimi-pagliacci che diventano sempre più improbabili. G.S.
(16 giugno 2005)
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