LA "MADONNA FILIPPA" DEL BOCCACCIO ED IL "FEMMINICIDIO"
Nel suo "Decameron", il letterato di Certaldo accorda alle donne una nuova importanza rispetto ai due predecessori (Dante e Petrarca), evidenziata dal fatto che l'opera delle "Cento Novelle" è a queste dedicata.
Domenica, 16/02/2014 - Fra le tre corone d'alloro del Trecento - che hanno inaugurato una tradizione veramente illustre per la nostra letteratura - l'autore più sbarazzino, il meno "santo" e "canonico", il più realista è senza ombra di dubbio Giovanni Boccaccio (1313-1375).
Nel suo "Decameron", il letterato di Certaldo accorda alle donne una nuova importanza rispetto ai due predecessori (Dante e Petrarca), evidenziata dal fatto che l'opera delle "Cento Novelle" è a queste dedicata.
Nel proemio del Decameron, infatti, Boccaccio si rivolge ai suoi lettori, osservando quanto sia virtuoso e umano avere compassione dei sofferenti d'amore. Dato poi, che le donne sono le maggiori sofferenti delle pene amorose - costrette come sono dai divieti familiari a tenere nascosti gelosamente nei propri cuori, e nelle proprie camerette tutti i loro tormenti - è alle donne che Boccaccio vuole appunto arrecare conforto.
La critica letteraria conosce bene questa dedica, l'analizza da secoli e la intende in tutto il suo potere di lusinga. Ma forse, non si può dire lo stesso per un'altra donna del Decameron: Madonna Filippa.
Basterebbe Madonna Filippa, da sola, a rovesciare millenni di stereotipi sulle donne, incrostati nelle rappresentazioni collettive europee.
Nel settimo racconto della Giornata Sesta, Filippa, colta in flagrante adulterio, è costretta a difendersi in tribunale. Ebbene, Filippa non solo persuade lo stesso giudice grazie alla sua schietta e dotta "eloquentia", ma si scagiona da una pesantissima condanna a morte per adulterio prevista dallo statuto di Prato. Inoltre - massimo trionfo - adduce argomenti probanti per dimostrare quanto sia inadeguata la legge in vigore sull'autorizzato "femminicidio". Madonna Filippa è tanto sicura di sé e della propria ragionevolezza che riuscirà a far correggere la norma vigente.
Donna Filippa, legittimando altresì l'adulterio, lascia allibito il giudice quando esige che le leggi vengano approvate col "consentimento" delle donne, cui pur "tocca" di rispettarle.
"Messere, egli è vero che Rinaldo è mio marito, e che egli questa notte passata mi trovò nelle braccia di Lazzarino, nelle quali io sono, per buono e per perfetto amore che io gli porto, molte volte stata; né questo negherei mai; ma come io son certa che voi sapete, le leggi deono esser comuni e fatte con consentimento di coloro a cui toccano. Le quali cose di questa non avvengono, ché essa solamente le donne costrigne, le quali molto meglio che gli uomini potrebbero a molti sodisfare; e oltre a questo, non che alcuna donna, quando fatta fu, ci prestasse consentimento, ma niuna ce ne fu mai chiamata; per le quali cose meritamente malvagia si può chiamare. E se voi volete, in pregiudicio del mio corpo e della vostra anima, esser di quella esecutore, a voi sta; ma, avanti che ad alcuna cosa giudicar procediate, vi prego che una piccola grazia mi facciate, cioè che voi il mio marito domandiate se io ogni volta e quante volte a lui piaceva, senza dir mai di no, io di me stessa gli concedeva intera copia o no".
Sarebbe interessante rileggere con gli occhi di oggi qualche novella del Decameron, per scoprire, con un onesto discernimento senza pregiudizi, se siamo, in fin dei conti, più retrogradi e rigidi degli stessi medievali.
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