- Venerate da tutta la popolazione, indu e buddista, le Kumārī sono simbolo dell’unità nazionale. Una tradizione che non rispetta i diritti delle bambine
Di Pietro Maria Elisa Domenica, 24/02/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2013
È mezzogiorno, ma la Kumārī Reale di Kathmandu non è ancora apparsa. L’abbiamo vista solo in cartolina, nei ritratti ad acquarello e nei manifesti che tappezzano la città. L’attendiamo con ansia nel cortile della Kumārī Ghar, il palazzo che la ospita. Turisti e fedeli si accalcano sotto la finestra del terzo piano. Non appena si scorge un movimento, cade il silenzio e un fruscio attira l’attenzione: è la veste di seta rossa della dea bambina, che a passo lento e austero si avvicina al davanzale. Capelli raccolti, labbra serrate e inespressive, occhi truccati, sguardo fisso oltre gli astanti, verso il vuoto. Pare annoiata, indifferente. Muove lievemente il capo e subito riscompare. Emozione? No, piuttosto delusione e tristezza. Mi rassicurano: la Kumārī deve essere seria e impassibile, se ridesse fragorosamente, o peggio piangesse, sarebbe un pessimo segno! Kumārī, o meglio Kumārī Devi, è l’appellativo della bambina nepalese riconosciuta come incarnazione della dea protettrice Taleju, emanazione di Kalì, conosciuta in India come Durga, l’antica dea madre. Il significato letterale di vergine ne esalta purezza e castità. Deriva dal culto della dea vergine, sorto in India 2.600 anni fa e insediato nella Valle di Kathmandu nel XVII secolo. Il numero delle Kumārī è imprecisato, se ne contano almeno tredici, designate in modi e per periodi diversi, ma sono probabilmente di più, una per ogni villaggio Newar, l’etnia leggendaria discendente da Budda. Le più importanti sono le Kumārī Reali, insediate nelle capitali dei tre Regni storici della Valle, Kathmandu, Patan e Bhaktapur, per conferire legittimazione al potere reale. Solo la prima ha mantenuto il titolo reale dopo l’unificazione del Regno (1789). Venerata da tutta la popolazione, indu e buddista, è simbolo dell’unità nazionale e dall’avvento della Repubblica (2008) legittima il potere del governo, anziché del sovrano. Nelle vesti della Kumārī Reale che ho incontrato nel 2007 c’era Preeti Shakya, una dodicenne in carica da almeno 7 anni, sostituita il 7 ottobre 2008 da Matina Shakya, di soli 3 anni. Fino a poco tempo fa la condizione di Kumārī non era invidiabile, ma costellata di incombenze cerimoniali, obblighi e divieti. Sradicata dal luogo natio e allontanata dalla famiglia, viveva reclusa per tutto il periodo di reggenza. Non aveva vita di relazione: la famiglia poteva farle visita raramente, solo in modo formale; non frequentava coetanei ed era priva di istruzione, perché ritenuta onnisciente; non poteva nemmeno ricevere cure mediche; anche oggi non può toccare animali, né svolgere alcun lavoro. Durante i riti non può piangere, né muoversi, né dimostrarsi disinteressata o irrequieta. Una volta designata, i suoi piedi divengono sacri e non possono più toccare il suolo, salvo il pavimento dei suoi appartamenti, perciò all’esterno è sempre trasportata su una portantina dorata. I governanti possono baciarli in segno di devozione e fedeli toccarli per ottenere buoni auspici o guarigioni. Non indossa scarpe, solo calze rosse. Le è proibito sposarsi: una superstizione ammonisce che chi la sposa muore entro 6 mesi dalle nozze espettorando sangue. A parte questi vincoli, conduce una vita del tutto priva di difficoltà materiali: ogni suo desiderio è un ordine divino da assecondare, compresi giochi e attività quotidiane. Tra le cause di detronizzazione: comparsa del menarca, ferite con perdita di sangue e infermità, in quanto segni che la dea ha lasciato il corpo della bambina, infine morte del re o caduta del governo. Il passaggio alla vita secolare è traumatico: in 4 giorni perde ogni privilegio e ritorna in un mondo a lei completamente estraneo. I capelli le vengono sciolti, i simboli della divinità sottratti. In passato le si consegnavano soltanto una moneta d’oro e un pezzo di tessuto rosso fabbricato durante la sua reggenza. Era quindi destinata a povertà assoluta, solitudine, addirittura a mutismo e immobilismo. Le regole sono state progressivamente ammorbidite e la Repubblica ha voluto coniugare tradizione e modernità: la famiglia convive con lei; un tutore con funzioni di precettore la invita a studiare, ma senza obbligarla; pochi bambini (Kumārīni), della stessa casta, le tengono compagnia come guardiani e compagni di gioco. Lo Stato la congeda con un vitalizio mensile di 6000 rupie (circa 800 euro), il quadruplo del reddito medio nepalese. La superstizione non ostacola più il matrimonio: la maggior parte delle Kumārī si sposa e ha figli. In regime monarchico era scelta per ratificare un nuovo sovrano; oggi per l’insediamento del governo. La procedura di selezione è seguita da gruppo di saggi: cinque alti sacerdoti buddisti, il sacerdote reale, il sacerdote di Taleju e l’astrologo reale. Le candidate sono di età compresa tra lo svezzamento e la fase prepuberale. Il primo requisito di eleggibilità è l’appartenenza all’alta casta buddista di argentieri e orafi Śakya, di etnia Newar. Le famiglie devono risiedere a Kathmandu da almeno 3 generazioni e dimostrare lealtà ai governanti. Il secondo è un requisito di bellezza, che richiede 32 perfezioni come: occhi neri da cerbiatto, ciglia lunghe come quelle della mucca, cosce da daino, piedi proporzionati, braccia lunghe, guance come quelle di un leone, dentatura perfetta, lingua piccola, voce limpida e morbida, pelle chiara e profumata, senza segni, ferite o cicatrici, bell’ombra. Il terzo requisito, il più importante, è caratteriale e dimostra il possesso di prerogative divine (controllo delle emozioni, calma e serenità, capacità divinatoria e preveggenza) superando ardue prove. La più temuta è la Notte Nera: le candidate devono dormire senza piangere in una stanza buia, tra oltre un centinaio di teste di capre e bufali sacrificati a Kalì, mentre uomini mascherati cercano di spaventarle. La prova finale, per analogia con la ricerca di piccoli Budda, è il riconoscimento di oggetti appartenenti alla Kumārī precedente come segno di predestinazione. Accertati i requisiti, segue la purificazione: corpo e spirito dell’eletta sono depurati delle esperienze precedenti, come se fosse un vuoto simulacro in cui la personalità della dea discende. La consacrazione avviene dopo che l’astrologo verifica la compatibilità tra l’oroscopo della Kumārī e quello dei governanti, se è incompatibile viene subito detronizzata. Segue la vestizione: la bambina vestirà sempre di rosso e oro, acconcerà i capelli in alto, come la cupola di un tempio; avrà il terzo occhio disegnato sulla fronte, simbolo dei suoi speciali poteri. Infine è trasportata nella piazza principale su un panno bianco e condotta nella nuova casa. Le apparizioni quotidiane non appartengono al rito tradizionale, ma sono concordate con le guide turistiche. Durano pochi secondi, ma creano un’atmosfera carica di eccitazione e devozione. Le udienze private sono riservate ai più ricchi, per chiedere grazie in cambio di offerte in denaro, alimenti e regali. La Kumārī li riceve in rigoroso silenzio, seduta su un trono ricoperto in pelle di leone. Le apparizioni solenni in pubblico sono poche, la più importante (India Jātrā) si celebra in tre giorni a settembre: la bambina è condotta in processione lungo le vie principali, fino alla piazza del palazzo reale, dove in epoca monarchica la Kumārī apponeva un sigillo di povere rossa (tikka) sulla fronte del re e gli porgeva una ghirlanda di fiori, per legittimarlo a governare per un anno, mentre dall’instaurazione della Repubblica (2008) il rito è rivolto al capo del governo. È sotto osservazione perché ogni suo gesto va interpretato: il sorriso dispensa fortuna agli astanti; altre espressioni son causa di sciagure per il paese o il governo; battito di ciglia, pianto o lamento son segni di disgrazia, grave infermità o morte; occhi lucidi portano morte imminente; un tremore annuncia prigionia; un applauso ammonisce di temere i governanti; la scelta tra offerte di cibo indica perdite finanziarie; invece, se resta immobile e impassibile le richieste saranno esaudite. Quali implicazioni ha il ruolo della Kumārī sulla sua vita di bambina, ragazza e infine adulta? Le obiezioni alla prosecuzione del culto si fondano su esigenze di tutela e rispetto dei diritti dell’infanzia, oltre che sulla caduta della monarchia, che lo avrebbe svuotato di senso. Eppure la tradizione funziona ancora e giova al turismo, alla politica ed alla religione, che si sta adeguando al rispetto dei diritti e della personalità della bambina.
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